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fava micari cancelleri musumecidi Saverio Lodato
Una lista si ispira al "diventerà bellissima", la frase augurale di Paolo Borsellino all’indirizzo di una terra, la Sicilia, tradizionalmente disgraziata.
Un’altra lista si ispira ai "cento passi", ché tanti, qualcuno più qualcuno meno, erano quelli che separavano il balcone di Peppino Impastato da quello della carogna, che divenne il suo carnefice, "don" Tano Badalamenti.
Un’altra lista, ancora, mette in lista il figlio di un grande dirigente di un partito siciliano di opposizione che finì assassinato dalla mafia e non solo dalla mafia.
Simboli evocativi. Richiami accattivanti. Biglietti da visita blasonati. Una pompa magna di intenti che fa riflettere.
Infatti, per quante corbellerie possano scrivere e ripetere certe anime belle, pur capaci di leggere e scrivere, per le quali la mafia ormai è passata, e rappresenta il passato, così che il futuro non può più appartenere ai "nemici della contentezza", la maggior parte delle forze politiche che si preparano per le elezioni siciliane sanno benissimo che la mafia resta un Moloch assai ingombrante dal quale non si può facilmente prescindere.
Il siciliano la mafia la respira, quando smetterà di respirarla capirà che non c’è più.
Ma tutto ciò - questa è la domanda - ha molto a che vedere con la mafia e la lotta alla mafia?
Può ridursi a ghirigori di belle intenzioni una competizione che chiama al voto una Regione guidata negli ultimi vent’anni da Salvatore Cuffaro, Raffaele Lombardo e Rosario Crocetta, tutti tanto diversi fra loro, quanto consimili per gli effetti nefasti dei governi da loro presieduti?
La Sicilia avrebbe avuto bisogno di una competizione virtuosa.
Non di uno strappo, una scucitura, uno sbrego, come dicono i veneti, rispetto al passato, ma di una rottura traumatica, visibile, vistosa agli occhi della gente. Colonne d’Ercole oltre le quali costruire per davvero un nuovo "mondo" siciliano. Questo ci si sarebbe aspettati. Questa la sfida che meritava di essere combattuta. E questa, e la previsione è facile, sarà un’altra occasione perduta.
Occorreva insomma una competizione virtuosa fra tutti i partiti, nel rifiutare per principio non solo tutti quei candidati "in odor di mafia" - e purtroppo ci saranno anche questi - ma anche, più semplicemente,  in "odor" di clientele e combriccole, mazzette e parentele, e famiglie, e clan e potentati che da decenni e decenni si tengono per mano perpetuandosi in eterno.
Ecco allora perché è stucchevole la polemica fra chi ha il candidato o il nome della lista più antimafiosi dell’altro.
Perché fanno cascare le braccia le querelles notarili su chi può usare un "copyright", che si considera di sicuro effetto simbolico, e su chi, invece, non può usarlo.
Perché, infine, ci lasciano freddini i tuoni e fulmini, minacciati di qua e di là, sulla nutrita serie degli "impresentabili" che alla fine, invece, saranno presentati e "presenti". Eccome se lo saranno. Se ne occuperà persino la commissione parlamentare "antimafia". Ma neanche questo annuncio riesce più ad emozionarci.
I sondaggi prevedono già la composizione del podio e la ripartizione delle medaglie fra le forze in campo. Staremo a vedere se ci azzeccano. Ma i sondaggi prevedono anche che la maggioranza dei siciliani non andrà a votare. E su questo aspetto, a nostro avviso, hanno maggiori possibilità di azzeccarla.
E’ il senso del titolo di quest’articolo: i siciliani hanno capito che in questa campagna elettorale mafia e antimafia c’entrano molto poco.
Sono soltanto specchietti per le allodole.

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La rubrica di Saverio Lodato

In foto da sinistra: Claudio Fava, Fabrizio Micari, Giancarlo Cancelleri e Nello Musumeci