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berlusconi silvio rideLa Mafia e i giornalisti a quattro zampe
di Saverio Lodato
Dicono che Silvio Berlusconi sia cambiato. Che sia risorto. Che si stia dedicando a una vita sentimentalmente e sessualmente morigerata. Che mai più froderà il fisco. Che non cederà alla tentazione della compravendita dei parlamentari per far cadere questo o quel governo. Che si prepara a vivere i suoi prossimi cento anni di vita politica al servizio dell'Italia e mettendo definitivamente da canto i suoi giganteschi conflitti di interesse. Che non fonderà più partiti politici facendosi aiutare da mafiosi, come Marcello Dell'Utri. Che non assumerà più stallieri mafiosi per accudire i suoi cavalli, come Vittorio Mangano. Che sarà perfino l’argine del populismo.
I commentatori politici applaudono. Gli credono sulla parola. Lo considerano il leader che sarà lo snodo decisivo il giorno dopo il voto quando si capirà che nessuno ha raggiunto il fatidico 51 per cento.
Sull’argomento abbiamo poco da dire. E - purtroppo - nulla da fare.
Colpisce, però, che siano già tornati alla ribalta quei giornalisti a quattro zampe che negli ultimi tempi si erano un po' mimetizzati, in qualche modo ripuliti, finalmente liberi dal guinzaglio del padrone.
E come?
Facendo il mestiere che gli riusciva tanto bene nel passato: insultando i simboli dell’antimafia.
Intendiamoci: della materia mafiosa sono superprofessionisti, avendo partecipato in passato a tutte le campagne del giornalismo militare che,  adoperando lo scudo del "garantismo" e del "processo giusto", finiva con il difendere il fior fiore dei lestofanti in circolazione.
Farei partire la nascita del giornalismo a quattro zampe da quel servizio televisivo che quasi 40 anni fa definì la buonanima di Michele Greco, allora capo della cupola di Cosa Nostra, nient’altro che un bonario "coltivatore di limoni". Quanta acqua è passata sotto i ponti.
Allora erano boss e picciotti che andavano difesi dalle accuse rivolte loro da gentaglia come Falcone, Borsellino, Costa e Chinnici, Boris Giuliano e Cassarà, Basile e D’Aleo, poi tutti pragmaticamente fatti a pezzi. E  si potrebbe elencare ancora.
Oggi, il giornalismo militare deve difendere altre categorie di lestofanti. Lestofanti in guanti bianchi. Lestofanti in divisa e pennacchi. Lestofanti cresciuti nella culla delle istituzioni. Lestofanti che non si sono mai pentiti, che non si pentono e mai si pentiranno. Lestofanti che non impugnano pistole e mitragliette perché non c’è più bisogno di spargimenti di sangue.
Calunniare, infangare, dileggiare, strattonare di qua e di là i familiari delle vittime di mafia, oggi è più che sufficiente.  
Fra l’altro va detto che gli odierni giornalisti a quattro zampe sono diventati gli sdolcinati cantori "live" proprio di quei giudici, poliziotti, carabinieri, giornalisti, anche uomini politici, che in questi decenni vennero massacrati proprio da schiere di bonari "coltivatori di limoni" come Michele Greco.
Ecco perché i giornalisti a quattro zampe creano in rete testatine giornalistiche (si fa per dire) dove, per scrivere, al redattore viene richiesto l’uso del veleno, piuttosto che quello dell’ inchiostro.
E il veleno contro chi viene spruzzato?
Ma si capisce: contro quei pubblici ministeri, cocciuti e testardi, che vorrebbero portare a condanna i Lestofanti in guanti bianchi. E Nino Di Matteo, valga il suo nome per tutti, ne sa qualcosa.   
Vi chiederete. Ma oltre al veleno che c’è nel kit di sopravvivenza di certi giornalisti a quattro zampe?
Poche cose, ma buone.
Le parole del mafioso Graviano, che ha tirato in ballo responsabilità di Silvio Berlusconi nelle stragi, vanno gettate al più presto nel cesso.
I giudici devono occuparsi all’infinito del "caso Scarantino", possibilmente incastrando Nino Di Matteo, "benevolmente" ascoltato su sua richiesta dalla commissione antimafia dopo che per settimane era stato messo alla gogna.
Il processo in corso a Palermo sulla Trattativa fra lo Stato e la Mafia diventa, nel kit del giornalista a quattro zampe, "boiata pazzesca".
Le "menti raffinatissime" di cui parlava Falcone diventano un ippocampo giudiziario, mostro con il corpo di cavallo e la coda di pesce,  che per ciò stesso è difficile ritrovare in natura. Figurarsi se l’ippocampo, di falconiana memoria, può essere portato alla sbarra.
E anche i "mandanti", come le "menti raffinatissime", diventano figure processuali di zoologia fantastica.  
L’agenda rossa di Paolo Borsellino non è nient’altro che il simbolo di quei ragazzacci ("i ragazzi dell’agenda rossa") che ogni anno vanno a rompere i coglioni in via D’Amelio.
C’è ancora dell’altro nel kit del giornalista a quattro zampe.
C’è, per esempio, una venerazione (ma questa risale ai tempi di Michele Greco) per gli avvocati dei mafiosi che difendono - ieri come oggi - i mafiosi "con scienza e coscienza". E i mafiosi, oggi, sono i Lestofanti in guanti bianchi di cui sopra. E anche loro oggi trovano avvocati che li difendono "con scienza e coscienza".
C’è l’uso disinvolto di quelle famiglie di vittime di mafia, o di componenti di esse, quando le loro dichiarazioni possono far brodo contro Di Matteo e tutti quelli come lui.
Ma diciamo la verità. Il povero Silvio Berlusconi questa volta non c’entra nulla.  
E’ "il berlusconismo dei servi" che, al solo sentire tornar di moda il nome del padrone, torna ad avere nostalgia del guinzaglio. E l’argomento dell’antimafia è un ottimo banco di esercizio.

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La rubrica di Saverio Lodato