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Tutti - e ci mancherebbe altro - lamentano che dopo venticinque anni si giri ancora a vuoto sulla spiegazione definitiva di ciò che rappresentò la strage di via D’Amelio.
Perché la strage a soli 57 giorni da quella di Capaci? Perché quell’accelerazione dell’ escalation? Cosa Nostra fece davvero tutto in solitudine? O in ottima compagnia di altre forze e altri poteri occulti? E dove sono finiti i mandanti? E dov’è finita l’Agenda rossa di Paolo Borsellino?
Eccetera, eccetera.
L’indignazione scatta quasi a comando, in giorno di anniversario - il che significa una volta l’anno - in una babele di prese di posizione, enunciazioni di verità sacrosante, altre un po’ meno, constatazioni amareggiate del tempo perduto da parte dei familiari, j’accuse al calor bianco. Ma chi occultò, insabbiò, sottrasse dolosamente pezzi di verità (l’Agenda rossa docet), in una parola: depistò, questo "chi" - dicevamo - resta sempre nell’ombra, incappucciato e nascosto.
Ma davvero le istituzioni italiane sono interessate all’ accertamento della verità? Davvero vengono incoraggiati quelli che si ostinano a cercarla?
A noi non sembra.
Semmai, sembra il contrario.
Un silenzio assordante ha coperto le dichiarazioni di due esponenti della magistratura, che sull’argomento non sono proprio gli ultimi arrivati: il procuratore nazionale antimafia, Franco Roberti, che ha parlato di fronte al CSM che commemorava il sacrificio di Paolo Borsellino, e il procuratore generale di Palermo, Roberto Scarpinato.
Sentite il primo: "La nomina di Borsellino alla Procura Antimafia avrebbe, altresì, costituito la pietra tombale sulla trattativa Stato-Mafia, che in quei primi di giugno era stata sciaguratamente avviata".
E ora sentite il secondo: "Le persone che conoscono questi fatti continuano ad avere paura di parlarne… quando un segreto condiviso da tante persone continua a permanere, l’esperienza insegna che dietro c’è il sigillo del potere... Ho elencato tutte le risultanze probatorie che inducono a ritenere che dietro (la strage di Via D’Amelio n.d.r.) ci fosse un piano preordinato di destabilizzazione politica".
Ma Scarpinato non vuole che rimangano dubbi: "Non voglio entrare nei dettagli, ma credo ci sia la consapevolezza che questa sia una storia aperta, non chiusa, e sia uno degli elementi oscuri della prima Repubblica. Del resto, la sua storia si apre con una strage, quella di Portella della ginestra, e si chiude con quella di Via D’Amelio, dove ancora mancano pezzi importanti di verità, forse per le stesse ragioni per cui non sono state portate alla luce le ragioni della strage di Portella."
Non basta?
C’è altro da dire e aggiungere?
Roberti e Scarpinato devono farci un disegno per farcelo capire?
E non ci dice niente il fatto che i media abbiano ignorato le dirompenti parole di Roberti e Scarpinato?
Queste sono parole che fanno paura. Che terrorizzano proprio chi giocò sporco ai tempi di via D’Amelio e oggi partecipa in prima fila alla "partita", affinché quella sporcizia, che non fu solo "mafiosa", resti occultata per sempre.
Se le istituzioni volessero la verità dovrebbero fare un appello "al chi sa parli". Dovrebbero fare in quattro e quattr’otto una legge a tutela dei "Pentiti di Stato".
Garantendo loro - in cambio della verità sui "pezzi mancanti" della verità - protezione, incolumità, soldi (anche tanti soldi), nuove identità, per loro stessi e i loro familiari.
Il "sigillo del potere", osserva Scarpinato. E’ questo "sigillo" che va scardinato.
Se no, non se ne esce.
Se no, continueremo tutti (nessuno escluso) a fare chiacchiere. E le faremo per altri venticinque anni.
Ed è sufficiente far riferimento al processo che si celebra a Palermo sulla Trattativa Stato-Mafia, alle vergogne che lo hanno preceduto e lo hanno accompagnato, alle volgari strumentalizzazioni, di stampa, e non solo di stampa, che cercano disperatamente di farlo deragliare: è sufficiente tutto questo - dicevamo - per rendersi conto che l’indignazione, in giorno di anniversario, non serve davvero a nulla.
Ma chi ha il Potere per rompere il "sigillo" del Potere?
Il Capo dello Stato, Sergio Mattarella, che giustamente ha lamentato i troppi "errori" e le "incertezze" nelle indagini su via D’Amelio, convochi a quattr’occhi, in qualità di presidente del CSM, sia Franco Roberti, sia Roberto Scarpinato.
E dopo averli ascoltati, decida il da farsi.
Noi - che non siamo il Capo dello Stato - se fossimo il Capo dello Stato, faremmo così.

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La rubrica di Saverio Lodato

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