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lodato c giorgio barbagallo 2014Parlare purché si parli
di Saverio Lodato
Non sappiamo se abbia alcun fondamento la violenta polemica sulle Ong che tiene banco in questi giorni sui media. Non sappiamo, cioé, se qualcuno, furbescamente, approfittando dell’ombrello umanitario, abbia trovato la maniera di mettere su un business per lucrare su finanziamenti italiani e europei, interessi pecuniari degli scafisti e dei mercanti di carne umana, in una parola sulla piaga di un esodo di massa che ha costi e ricavi. Non lo sappiamo per davvero. Né le dietrologie, quando si è a corto di elementi di conoscenza, possono venire in soccorso, né in un senso né nell’altro.
Allora potremmo starcene buoni buoni, restando alla finestra, in attesa che il tempo sia galantuomo dando ragione a quelli che enfaticamente affermano esista il fattaccio, o a quelli che, altrettanto enfaticamente, lo negano.
Invece, una cosa da dire ce l’abbiamo.
Ed è questa: che qualsiasi argomento, in Italia, se per sua disgrazia si trova a incrociare il versante giudiziario, della magistratura per intenderci, diventa immediatamente "altro", occasione cioé per regolamenti di conti che con l’argomento che li ha scatenati hanno poco a che vedere.
Vediamo.
Carmelo Zuccaro, il procuratore capo di Catania, fa delle dichiarazioni per sostenere che gli risulta un collegamento diretto fra alcune Ong e alcuni contrabbandieri di esseri umani. La sua Procura è competente per territorio, indagini ne hanno fatte e continuano a farne e – presumibilmente – viste le dimensioni del fenomeno, ne faranno ancora. Qualche titolo per parlare, insomma, gli andrebbe riconosciuto. E qualche ragione per essere ascoltato, l’avrebbe.
Ma è inutile nasconderlo: il tema è delicato, "sensibile" si direbbe oggi, tanto è vero che ha scatenato una valanga di reazioni politiche e ecclesiastiche; e perfino dello stesso CSM, su diretto interessamento del ministro della giustizia, Andrea Orlando, candidato alle "primarie" del Pd.
A quel punto, il procuratore di Catania si è visto costretto a precisare che le sue erano solo "ipotesi investigative", non disponendo di prove concrete e compiute; ché se no avrebbe già firmato i mandati di cattura.
Di contro, si è registrata analoga valanga di reazione a suo sostegno, da parte di tutti coloro i quali, invece, ritengono che Zuccaro abbia finalmente detto la cosa che tutti sapevano e che una volta per tutte andava detta.
La storia, per l’opinione pubblica, poteva chiudersi qui. Gli schieramenti in campo erano chiari, si trattava solo di aspettare per capire se fosse stato alzato un polverone o se sotto quel polverone cose ben più gravi si nascondessero. Ma in Italia il buon senso, quando di mezzo c’entrano magistrati e pubblici ministeri, è la prima vittima a cadere.
Così si è aggiunta al coro la voce del procuratore di Siracusa, il quale ha negato che gli risulti nulla del genere e di avere indagini aperte che vanno in direzione delle preoccupazioni manifestate dal collega della città etnea. Anche lui – non ne dubitiamo – saprà bene quel che dice.
Ma è sconcertante che le dichiarazioni del procuratore di Siracusa siano diventate, per molti politici e molti media, l’arma letale per colpire Zuccaro.
Dove sta scritto che a entrambi i procuratori debbano risultare le stesse cose?
Dove sta scritto che indagini diverse e su persone diverse debbano rispondere alla logica della "fotocopia"?
Cosa hanno in comune i due magistrati in questione?
E se davvero il procuratore di Catania ha perso una buona occasione per stare zitto, identica occasione non l’ha perduta forse anche quello di Siracusa?
Il buon senso, quello che da noi manca, appunto.

Foto © Giorgio Barbagallo

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La rubrica di Saverio Lodato