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mattarella gentiloni 600I 5 Stelle? Hanno la resistenza di un toro
di Saverio Lodato
Le letture semplicistiche (e interessate, interessatissime) sull’autentico significato del nuovo governo di Paolo Gentiloni, voluto dal presidente Sergio Mattarella, iniziano visibilmente a traballare. Lo dicono, inoppugnabilmente, le odierne aspettative degli italiani fotografate dai sondaggi. Una per tutte: la spasmodica corsa alle urne perde lentamente fascino e si appanna.  
Ma torniamo adesso alla lettura più semplicistica: il governo Gentiloni è la fotocopia sbiadita del governo Renzi; Gentiloni e Mattarella, come due automi, hanno eseguito ordini e desiderata dell’ex premier sconfitto; è nato infatti un governo già scaduto, dipenderà solo dal PD staccare la spina o prolungarne l’agonia; gli ex ministri sono stati tutti riconfermati (tranne la Giannini), persino quelli che più avevano demeritato risultando indigesti agli elettori (Boschi, Madia e Lotti), a ennesima riprova che non si muove foglia se Renzi non voglia; qualche cambiamento di casella non è altro che un piccolo valzer fra una poltrona e l’altra, concesso per occhio di mondo. Insomma, secondo questo schema, il governo Gentiloni è un’interpretazione al ribasso persino dell’assioma del Gattopardo: nulla cambia perché nulla cambi. Tanto, poi, Renzi ritorna.
Il corollario mediatico di questa "lettura" viene rappresentato dal tentativo ossessivo di alcuni commentatori televisivi e giornalistici di mantenere una "centralità renziana", anche a dispetto dei santi, per evitare che la figura di Gentiloni e del suo governo finiscano inevitabilmente con l’apparire come un "presente", che poi non è tanto male, rispetto a un "passato", solennemente bocciato dagli elettori.
Sta funzionando questa vulgata? Sembrerebbe di no. Vediamo.
I ministri più renziani di Renzi, quelli che erano stati scelti per far da robusta cerniera con il passato, sono letteralmente scomparsi dalla scena politica. La Boschi e la Madia sono rimaste in classe, ma devono stare dietro la lavagna, e di loro non si sa che fine abbiano fatto; Poletti galleggia fra astiose gaffe sui giovani che fuggono all’estero per mancanza di lavoro e untuose scuse pur di salvarsi la pelliccia da ministro, e minacciose spade di Damocle del fuoco amico della minoranza dem, sulla questione voucher; Lotti è personalmente impegnato nella sua traversata nel deserto giudiziario, avendo ricevuto un avviso di garanzia, del quale il poco che si sa lo si deve al "Fatto Quotidiano", visto che i giornaloni d’Italia tengono sull’argomento la bocca cucita.  
Ma c’è dell’altro.
Il governo Gentiloni? Eppur si muove. Piaccia o non piaccia, si muove. E non ci riferiamo tanto alle firme del premier, appena dimesso dall’ospedale Gemelli, in calce ai provvedimenti che riguardano unioni civili, scuola e proroga degli incarichi ai massimi vertici militari.
Il governo si costituisce parte civile nel processo contro Denis Verdini, per il quale i pm hanno appena chiesto undici anni di galera, pretendendo 42 milioni di danni. Il grande "rottamatore" Renzi avrebbe mai fatto un passo simile? La ministra della sanità, Beatrice Lorenzin, pimpante, fa dimenticare per un attimo agli italiani la boiata pazzesca delle sue campagne sulla fertilità, annunciando che finalmente ci si può vaccinare gratuitamente. In materia di lotta al terrorismo Isis, al neo ministro degli interni, Marco Minniti, va riconosciuto che sta facendo impallidire la gestione mattacchiona di Angelino Alfano.
Se queste, appena fatte dal nuovo governo, siano cose o cosucce, si vedrà. E tante ne dovrà ancora fare in materia di banche e occupazione. Ma certo è che qualsiasi spiffero di novità introdotto dall’odierno governo appare indigeribile, come l’olio di ricino, al Grande Assente Renzi e all’attuale maggioranza che guida il PD. E tutti insieme, in effetti, scalpitano.
Mandano così in avanscoperta televisiva Deborah Serracchiani, finalmente felice e sorridente dopo le lacrime in Regione Friuli, per dire agli italiani che siccome Renzi si è assentato per qualche giorno, gli si può riconoscere la buona condotta, e si può tornare a votare e fargli fare (a Renzi) un altro giro.
Quando? Con quale legge elettorale? Subito, presto, anzi: al più presto.
E qui, concludendo, torniamo ai sondaggi. Quelli resi noti da Nando Paglioncelli sul "Corriere della Sera". Per il PD sono dolori. Gli italiani fiduciosi nel gran ritorno di Renzi sono appena il 22 per cento. Esattamente la metà di quanti votarono per il Sì al referendum: secca smentita di chi sosteneva che il 41 per cento era pronto a traghettare sotto le bandiere di un ipotetico Partito di Renzi. E anche questa fantasia sembra destinata a evaporare.
Ma vediamo il confronto con il grande antagonista, i 5 Stelle di Grillo. Bisogna tenersi forte: vanno avanti di quasi un punto. Raggiungono il 30,9, superando il PD che flette al 30,1.
Nonostante le vicende romane. Nonostante i colpi di scena europei. Dimostrando elettoralmente, contro qualunque logica sondaggistica, la forza di un toro. E il discorso si farebbe lungo in merito alla ventilata mordacchia che i rappresentanti del vecchio sistema vorrebbero introdurre nel mondo del web. E’ di solare evidenza, invece, che gli italiani non la pensano allo stesso modo. Per finire: sono diminuiti dell’otto per cento gli italiani che chiedevano di tornare immediatamente al voto. Mentre, in parallelo, sale, sia pur leggermente, la fiducia nel nuovo esecutivo.
Come andranno le elezioni politiche quando si voterà per davvero? Questo nessuno può saperlo. Sappiamo, però, che nella percezione degli italiani le elezioni si allontanano, e il progetto di Matteo Renzi e soci perde terreno.

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La rubrica di Saverio Lodato

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