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lodato saverio c paolo bassani bn 2014Fatti o Parole?
di Saverio Lodato
Molti osservatori di cose siciliane, i quali in età avanzata si sono specializzati in mafiologia con annessi e connessi, con la "vicenda Saguto" sembrano aver preso un terno; scrivono testi euforici, gridano alla scandalo, seppelliscono con pesantissime lapidi letterarie ciò che a loro giudizio resterebbe dell’antimafia, nella convinzione che tutto è da rifare e che così non si può più andare avanti. Di pretesti - intendiamoci - ne hanno a bizzeffe.
Si può forse condividere l’appropriazione personale del "bottino mafioso" da parte di quanti, istituzionalmente e per legge, dovrebbero invece essere preposti all’utilizzazione per fini sociali di quel "bottino" una volta che è passato nelle mani dello Stato? Certo che no.
Si può forse condividere che in nome di slogan "antipizzo" e "antiracket", si sia dato l’arrembaggio alla pletora di finanziamenti pubblici da parte di molti enti e associazioni e fondazioni e centri studi, immacolati sotto il profilo della "ragione sociale" ai tempi della loro fondazione, ma che oggi, nei fatti, sono scivolati molto in basso sotto il profilo della trasparenza e delle finalità effettivamente perseguite? Certo che no.
In altre parole, possono essere considerati paladini dell’"antimafia economica" gli Helg, i Montante, l’intera corte che ruotava e ruota attorno alla dottoressa Silvana Saguto? Certo che no.
Può lasciarci tranquilli la direzione della Confindustria siciliana che respinge, con sdegno rabbioso e immotivato spirito di corpo, qualsiasi interrogativo scaturito dall’enormità delle inchieste in corso? E può rasserenarci la difesa d’ufficio del Montante proclamata, con arroganza squisitamente confindustriale, dallo Squinzi, che della Confindustria nazionale è presidente? Certo che no.
Può essere considerato "antimafioso" il trattamento riservato a Lucia Borsellino dal governatore Rosario Crocetta, indipendentemente dall’ esistenza o meno della famigerata telefonata dello scandalo fra lui e Tutino, che costrinse la figlia del magistrato Paolo Borsellino a dimettersi da assessore della sanità di quel governo? Certo che no.
Si potrebbe continuare ma, per il momento, può bastare.
Ecco la prova provata - dicono gli osservatori di cose siciliane che hanno preso un terno - che dell’Antimafia ormai resta solo un cumulo di macerie. E siccome l’appetito vien mangiando, ci spiegano che sotto quelle macerie non è stata sepolta solo la magistratura e la classe politica, ma la stessa società civile che, alla prova dei fatti, non sarebbe stata capace di dimostrare d’essere fatta di un’altra pasta.
Cerchiamo di capirci bene: tutti questi "pretesti" letterari, che tali non sono essendo invece "macigni" posti sui binari di un treno che ormai a ogni passo è costretto a fermarsi per non deragliare e "macchie" destinate a sfregiare indelebilmente l’antimafia di buona volontà, noi li condividiamo tutti e sino in fondo. Sono innegabili. E’ impossibile nasconderli.
Ma, giunti a questo punto, ci piace prendere tutt’altra strada da quella intrapresa dagli osservatori che hanno preso un terno.
Lo facciamo dicendo - e ci sia consentito dire che lo scriviamo apertamente da qualche decennio - che era nella logica delle cose che questo accadesse.
Avere infatti costruito a tavolino, in appositi  laboratori di intelligence, e successivamente sponsorizzato, propagandato, sostenuto politicamente, economicamente, mediaticamente, editorialmente, l’Antimafia della retorica; l’evento perenne dell’"Anniversario Day", dedicato a questa o quella vittima perita per mano di mafia; l’"Antimafia degli Eroi", al di sopra del bene, del male e della grammatica, con brevetto governativo (rilasciato dai governi e dalle loro intelligence che in questi trent’anni si sono avvicendati); l’Antimafia della traslazione delle salme da un cimitero all’altro in cerca di superiore visibilità e gloria (la salma del povero Giovanni Falcone docet); insomma: l’Antimafia delle Parole piuttosto che l’Antimafia dei Fatti, della quale c’è sempre stato e ci sarebbe ancora oggi un gran bisogno; tutto ciò, dicevamo, alla lunga non poteva che generare "mostri".
Ed è con questi "mostri" che oggi siamo costretti a fare i conti. Ma come?
Dicendo immediatamente, per esempio, che molti di quegli osservatori che oggi gridano alla scandalo, in altre stagioni stavano dall’altra parte, essendo crociati del "Garantismo", valore supremo dell’Occidente da anteporre a qualsiasi tentativo di repulisti del mare magnum mafioso. E le note dell’INNO GARANTISTA riecheggiarono per anni e anni, anche quando Falcone e Borsellino erano vivi, a riprova del fatto che Falcone e Borsellino a certuni sarebbero stati molto più simpatici dopo: da morti, intendiamo.
Dicendo, immediatamente, che ci sono tornate alla memoria le parole di una intercettazione telefonica a carico di Corrado Carnevale, giudice di Cassazione in anni lontani, il quale diceva, più o meno, che Falcone e Borsellino erano due "dioscuri", e che lui la loro bara in spalla non se la sarebbe caricata proprio per niente. Confrontate queste parole con quelle della signora Saguto, a proposito di figlio e figlia di Paolo Borsellino (Manfredi e Lucia) e non troverete una gran differenza. Per inciso: niente di nuovo sotto il sole? D’accordo. Ma sino a un certo punto.
Carnevale esprimeva giudizi deliranti, ma restava - diciamo così - nell’ambito delle "opinioni". La Saguto invece, fra un’opinione e l’altra (altrettanto delirante), ci infila l’ordinativo di sei chili di ventresca di tonno, per le sue cene con il Prefetto di Palermo, Francesca Cannizzo, ad azienda ittica sotto sequestro, richieste di danaro all’avvocato Gaetano Cappellano Seminara, in un dedalo di conti che non tornano e stanno facendo ammattire gli agenti della guardia di finanza.
Ci chiederete: ma questa Antimafia dei Fatti, da contrapporre a quella delle Parole, quale sarebbe, in che consiste, dove sta di casa?
Non è facile rispondere.
L’Antimafia dei Fatti è quella che fa male. Che, di conseguenza, non può essere “ecumenica” e evitare di fare i nomi.
E fa male perché, nonostante tutto, cerca di individuare responsabilità di gruppi sociali e persone che sino a oggi l’hanno fatta franca, sono rimasti nell’ombra e non hanno pagato pegno.
L’Antimafia dei Fatti conduce diritta a lobby e gruppi di potenti, di oggi, di ieri e dell’altro ieri, che facevano da palo ai briganti mafiosi che azionavano i grilletti. Di questo stiamo parlando. E degli stessi ambientini, per riferirci all’attualità, che starebbero proteggendo la latitanza di Matteo Messina Denaro, come fatto capire da dichiarazioni del procuratore Teresa Principato che gli da la caccia.
Gli osservatori di cose siciliane che hanno preso un terno, e non sarà un caso, sono gli stessi che appena due anni fa inneggiavano alla prerogative del Capo dello Stato che sparava ad alzo zero contro la Procura di Palermo, "rea" di voler mettere il naso nei retroscena della secolare Trattativa Stato-Mafia. E tutto si tiene.   
Abbiamo a tal proposito ripescato la prima pagina dell’Unità (17 luglio 2012) che cosi titolava a caratteri cubitali: "Napolitano difende il Quirinale … Sono state lese le prerogative del Colle". Con il senno di poi, forse dovremmo chiederci se Giorgio Napolitano, più che il Quirinale, non difendesse se stesso …
Tiremm innanz (Andiamo avanti!, come disse Amatore Scesa mentre lo portavano al patibolo…).
O abbiamo forse dimenticato quei cervelloni dalla lunga coda, intellettualoni di area Pci, quali il Fiandaca e il Lupo, che torturarono la pagina bianca sino a farle dire che mai Trattativa ci fu fra lo Stato e la Mafia; mai gli americani si rivolsero ai mafiosi per il loro sbarco in Sicilia; e che se, in fin dei conti, la Trattativa ci fu, era fatta a fin di bene, per salvare vite umane?
Tal che, parafrasando Eduardo, a prestare ascolto a lorsignori, si potrebbe dire: "La Trattativa? E’ cosa e niente … ".
L’antimafia dei Fatti, dicevamo. E’ quella dei testardi. Di quei magistrati cocciuti che hanno memoria da elefante, e credono che certi patti scellerati non cadono mai in prescrizione.
E qui finiamo sempre con il parlare di Nino Di Matteo, il P. M. a rischio vita, che si è fatto la fama di aprifila dei magistrati testardi, che non si arrendono, che pretendono di continuare a indagare incuranti del "mostro" che possono scoprire nelle pieghe delle loro inchieste. E che per ciò devono passare di supplizio in supplizio (mediatico o di carriera che sia, sempre che non accada il peggio).
Quanti miliardi di anni luce corrono fra l’Antimafia rappresentata dalla dottoressa Saguto e dalla sua corte e da quella di certa Confindustria e politica siciliane e quella rappresentata dal Di Matteo? Giudicate voi.
Ma molti osservatori siciliani, di quelli che hanno preso un terno, di fronte a questo candido interrogativo, girano il capo dall’ altra parte, battono i piedi per terra, s’arrabbattono rossi di vergogna.
Per loro sarebbe troppo riconoscere che l’intera vicenda della Trattativa, con il corollario non proprio insignificante dell’isolamento di Nino Di Matteo e dei suoi colleghi, è un’autentica vergogna nazionale alla quale hanno dato il loro contributo massimi vertici anche istituzionali. Piuttosto sono disposti a chiedere, in un soprassalto di scapigliata indignazione, che venga abolito lo Statuto dell’Autonomia siciliana.
Loro, dopo un ventennio di vergogne siciliane, che risponde ai nomi di Cuffaro, Lombardo e Crocetta, individuano in ciò che sanno che non sarà mai concesso (l’abolizione dello Statuto, appunto) il loro divertente cavallo a dondolo. Ognuno combatte per quello che vuole, si capisce.
Di sostenere chi sta in trincea, insieme all’Antimafia dei Fatti, d’altra parte non se la sentono. Vien solo da chiedersi: e perché mai?
"Caso Saguto", "caso Montante", "caso Confindustria", "caso Di Matteo", "caso Matteo Messina Denaro", eccetera eccetera.
Ma lo volete capire che sono tutti capitoli dello stesso LIBRO NERO?
E che chi pretende di affrontarli isolatamente, uno per uno, è inesorabilmente destinato a non capire niente?

ANTIMAFIADuemila
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