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berlinguer-enrico-bnIl PD? Un dito nell'occhio di chi ci ha creduto.
di Saverio Lodato - 1° aprile 2015
Cominciamo dalla fine, affermando che questo PD, per ciò che è diventato, per quanto è dilaniato al suo interno, per quanto è visibilmente sordo alle istanze del Paese, per quanto è invischiato in vicende giudiziarie, fondate o meno fondate che siano, non serve più a niente e a nessuno. Di più: è un oltraggio permanente a tutti quanti hanno creduto, in passato, che questo partito potesse cambiare l’Italia, cambiandone la concezione della politica. Il Pd oggi è un dito nell’occhio per quelli che speravano di costruire qualcosa di nuovo rispetto al ventennio berlusconiano. Di più: è il principale responsabile di una melassa gelatinosa in cui è impossibile distinguere fra destra e sinistra, fra valori di cambiamento e valori di conservazione, fra gallerie di volti che ormai si assomigliano tutti al punto da essere sovrapponibili fra loro. E’ diventato un caravanserraglio di inquisiti, voltagabbana, vecchie glorie trinariciute e peones di nuovissimo conio, giocolieri da talk show, elegantissime prime donne sbucate da non si sa dove, piccoli nuovi tribuni che fanno il verso ai politici del passato, persone, magari per bene, terrorizzate da una eventuale mancata ricandidatura; cantori, tutti insieme, dell’ovvio e delle banalità. Esagerato?
Vediamo. E’ innegabile che la "diversità" rivendicata da Enrico Berlinguer più di trent’anni fa, appartiene ormai ai vecchi film Luce e ai giovani italiani di oggi non dice assolutamente nulla.
Walter Veltroni ha fatto un film su Berlinguer, ma forse dovrebbe ricavarne un Secondo Atto per spiegarci come sia andato tutto a ramengo. E, magari, approfittarne per regalare generosamente una citazione ad Achille Occhetto (che, forse, se la merita). Pier Luigi Bersani difende cocciutamente la "ditta", ma forse dovrebbe spiegarci a cosa serva ormai una "ditta" in cui gli azionisti son diventati come i capponi di Renzo. E - soprattutto - ciò che "produce" questa "ditta". Roberto Speranza, proprio l’altra sera, ci ha spiegato che la magistratura fa bene a "indagare a 360 gradi" e che se emergono responsabilità di dirigenti del PD anche loro "devono pagare". Davvero?

Massimo D’Alema si dice "offeso e indignato" da intercettazioni che lo riguardano ma che non lo incriminano, adoperando gli argomenti difensivi adoperati, pari pari, da Maurizio Lupi. Poi c’è "Roma capitale della mafia", con mondi di sopra, di sotto e di mezzo. Poi c’è il Mose. Poi c’è Giusi Ferrandino, il sindaco di Ischia e la "gloriosa" cooperativa modenese, la CPL Concordia. Poi c’è il presidente del Pd siciliano, Marco Zambuto costretto a dimettersi per aver incontrato Berlusconi nel tentativo di convincerlo che un suo carissimo amico è "ingiustamente" accusato di un omicidio. Poi c’era il segretario del PD siciliano, quel Francantonio Genovese, finito in manette per le truffe colossali dei fondi regionali destinati alla formazione. Poi ci sono le inchieste che hanno investito a tappeto la giunta regionale dell’Emilia Romagna. Poi ci sono quattro - dicasi quattro - sottosegretari dell’attuale governo, tutti PD, Francesca Barracciu, Umberto Del Basso de Caro, Vito De Filippo, Giuseppe Castiglione, a non voler menzionare deputati e senatori, i quali conservano poltrona e alamari in barba agli editti roboanti di Speranza. Poi ci stanno i "ministri", i Giuliano Poletti, i Graziano Delrio, le Maria Elena Boschi, e il presidente del PD, Matteo Orfini, e i vice segretari PD, Lorenzo Guerini e Debora Serracchiani, che ripetono - con aria un po’ scocciata -  il mantra che l’Italia sta cambiando, è cambiata e cambierà. Infine, ci stanno le "minoranze interne", gli Stefano Fassina, i Pippo Civati, i Gianni Cuperlo, gli Alfredo D’Attorre, le Rosi Bindi, insieme al sempiterno Nichi Vendola, a spiegarci che, "prima o poi", fusse che fusse la vorta bbona, come diceva il grande Nino Manfredi, il governo cadrà …
Non è colpa nostra se il "catalogo" è questo. E nessuno si indigna? Nessuno.
Qualche giorno fa, Raffaele Cantone, responsabile dell’Autorità Nazionale Anticorruzione, si è chiesto retoricamente perché le 80 - scusate se sono poche! - "fondazioni" politiche, che negli ultimi anni sono proliferate come funghi, devono sfuggire per principio a qualsiasi obbligo di un bilancio trasparente? E - ci permettiamo di aggiungere - a qualsiasi forma di tassazione che in Italia non si nega a nessuno (di quelli che lavorano, s’intende). Ma andiamo alla radice: a che servono le 80 fondazioni, visto lo schifo cui si è ridotta la politica? Sono scuole che forgiano gli Statisti del futuro? Ma a chi la raccontano? Andassero a quel paese, per dirla con Alberto Sordi!
Ed è possibile, o proibito per legge, dare un’occhiata anche a quei "centri studi" e a quelle "associazioni", profumatamente finanziate, che si sono intestate la titolarità dell’iniziativa "antimafia"? Cosa nasconde il caso di Antonello Montante, il paladino "antimafia" finito sotto i fari di due procure, e responsabile dell’agenzia per i beni sequestrati alla mafia su tutto il territorio nazionale, nonché delegato della Confindustria per "la legalità" e presidente degli industriali siciliani? Si moltiplicano le inchieste giornalistiche, spesso coraggiose (di una è autore Giuseppe Pipitone, del "Fatto quotidiano"), che spiegano, dati alla mano, come il "tesorone" - non il "tesoretto" -, delle ricchezze confiscate dallo Stato, marcisca o ritorni in mano, sotto mentite spoglie, agli stessi diretti "confiscati". Qualcuno che si indigna? Nessuno. Acqua in bocca. O, bene che vada, materia di veleni e ricatti incrociati.
Cosa nasconde il caso di Roberto Helg, l’imprenditore fallito messo alla guida della Camera di Commercio di Palermo, cavaliere del lavoro, l’uomo simbolo dell’antipizzo arrestato con le mani nel sacco mentre prendeva il pizzo? Siamo sicuri che dietro la buona fede dei ragazzi che ci credono non ci siano tanti altri imprenditori e commercianti che sull’argomento ci hanno marciato o ci stanno marciando?
L’Italia sembra che digerisca tutto. La tecnica propagandistica, adoperata dagli opinion leader di questo governo, è quella di minimizzare uno scenario spaventoso a sommatoria di "casi isolati", chirurgicamente risolvibili a suon di declamatorie, rigidissime o morbidissime a seconda che sia trave nell’occhio proprio o pagliuzza in quello altrui.
Matteo Renzi? Di quest’Italia, è il "fine dicitore". O - se si preferisce - l’imbellettatore. E, come lo spassoso "Gastone", ideato da Ettore Petrolini, ha tutta la prosopopea tipica di chi ha inventato "la macchinetta per tagliare il burro".

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