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napolitano-monti-friedman-effdi Saverio Lodato - 11 febbraio 2014
Tanto più uno "scoop" è forte, colpisce nel segno, solleva discussioni a non finire, si impone all’attenzione di tutto il mondo dei media, meglio se anche all’estero; del mondo della politica, dell’intera opinione pubblica; tanto più, quasi per un’inevitabile legge del contrappasso, troverà legioni di addetti ai lavori schierati a sminuirne la portata, a ridurne i contorni, a negarne, in una parola, la portata; ancorché evidente. E’una regola secolare del mondo dell’informazione, quasi un riflesso condizionato dall’istinto di sopravvivenza che impedisce di vedere quando la "concorrenza" ha fatto centro, pena il doversi interrogare: "ma allora, io, che ci sto a fare?".    
Ancor prima infatti che il libro "Uccidiamo il Gattopardo" sia uscito, la "polpa" in esso contenuta, chiamiamola così, è già diventata argomento di talk show, feroci prese di posizioni dell’etablishment, recriminazioni a posteriori, chiamate di correità, più o meno sincere, più o meno argomentate. Ma come accade sempre in casi del genere, e per la regola che dicevamo prima, si manifesta contemporaneamente anche una reazione di segno opposto, per lo più stizzita, all’insegna delle frasi fatidiche: "E che c’è di nuovo? Tutte cose che già si sapevano. Tutte cose che avevamo già scritto sul nostro giornale".

Ora, nel caso in questione, del libro del giornalista americano Alan Friedman, che ha investito la palude della politica italiana come un gigantesco meteorite cascato dall’alto, tutto si può dire tranne che contenga uno scoop di modesto profilo. Intanto, a riprova della validità della tesi dell’ autore - (Il capo dello Stato Giorgio Napolitano lavorava all’ipotesi di Monti premier, per sostituire Berlusconi, con sei mesi di anticipo rispetto a quando la sostituzione avvenne veramente) - ci sono le testimonianze concentriche di tre esponenti della politica e della finanza italiana che non sono proprio dei "pesi piuma": Carlo De Benedetti, Romano Prodi, Mario Monti.
Che poi il primo della lista, detto incidentalmente, sia l’editore del quotidiano "La Repubblica" spiega forse il risentimento proprio di Repubblica rispetto a una rivelazione che è finita sulla prima pagina del giornale principale concorrente, "Corriere della Sera", del quale, Alan Friedman è collaboratore. Ma questi sono dettagli.
Quanto vale lo "scoop" di Friedman? Quanto pesa? Era davvero tutto risaputo?
Secondo noi pesa parecchio proprio perché non era tutto affatto risaputo. E non soltanto perché De Benedetti, Prodi e Monti, hanno deciso di aprire solo oggi i cassetti della loro personale memoria dichiarando, e mettendoci la faccia, che Napolitano non recepì dalle consultazioni dei partiti, nel novembre 2011, il nome "Monti" (come da lui spesso ripetuto), poiché quel nome lo aveva in testa lui, Napolitano, e da circa sei mesi.
Si dirà, in molti lo stanno già dicendo, che in ciò non c’è nulla di scandaloso, non è ravvisabile alcuno strappo costituzionale (valga per tutti, in proposito, l’argomentare del costituzionalista Michele Ainis), meno che mai l’imbastitura di un complotto. Il tutto è riassumibile nella pittoresca formula usata dal capo dello Stato nella sua lettera a discolpa, al "Corriere della Sera": "fumo, nient’altro che fumo", che sembra riecheggiare l’Ecclesiaste.
Se tutto finisse qui, si potrebbe rispondere con il proverbiale "tanto rumore per nulla". E il discorso, in qualche modo, sarebbe chiuso.
Ma il fatto è che Friedman, che nel suo lavoro dimostra di essere cocciuto (e verrebbe da dire: troppo cocciuto, in un’Italia in cui non porta mai bene volere arrivare anima e corpo al fondo delle cose), è entrato in possesso di un documento scritto che circolava all’epoca fra tutti i protagonisti dell’"affaire".
Documento di politica economica, terapia possibile in un Paese allo stremo - è sempre Friedman, non smentito, a rivelarlo - che conobbe quattro versioni e che fece avanti e indietro dagli uffici del Quirinale mentre Berlusconi restava - inconsapevole - nella stanza dei bottoni.  
Questa, a nostro modestissimo parere, è faccenda alquanto diversa dall’aver legittimamente pensato, "per tempo", al nome di un altro eventuale premier nell’eventualità che Berlusconi non ce l’avesse fatta a proseguire. Questa circostanza - non sta a noi dire se "al limite della costituzionalità" o, abbondantemente, debordante - ci ha fatto venire in mente formule che si usavano nei tempi che furono: "governo ombra", "governo parallelo", "governo del presidente", eccetera, eccetera. E se queste formule non riguardano la fattispecie della quale stiamo parlando, qualcuno, autorevolmente, saprebbe dirci in quale caso diventerebbero calzanti?  
In conclusione: ognuno è libero di pensarla come vuole. Ma almeno ci sia consentito dire che le levate di scudi di Letta, Renzi e dell’intero Pd, in difesa dell’"onore offeso" di Giorgio Napolitano, ogni qual volta qualcuno si permette di stigmatizzarne i comportamenti, sanno ormai di stantio.
Napolitano ha già i suoi fedeli corazzieri, e anche a causa della spending review, l’Italia di tutto ha bisogno tranne che di altri "corazzieri di complemento", semmai ha bisogno - questo sì - di qualche testa pensante in più.

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