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ferrara-dalla-chiesadi Saverio Lodato - 10 novembre 2013
Si deve anche a registi come Giuseppe Ferrara se in Italia esiste qualche briciolo di coscienza civile. Almeno questo non dovrebbe essere dimenticato.
Lo conobbi a Palermo, in anni assai lontani, sul set del film "Cento giorni a Palermo" che rievocava epopea e morte del generale Carlo Alberto Dalla Chiesa, in cui volle affidarmi la  piccola parte di un giornalista che trasmetteva in diretta dal luogo della "strage della Circonvallazione". Strage – era il 16 giugno del 1982 e nessuno la ricorda più - con cui i mafiosi palermitani fecero un "favore" a quelli catanesi eliminando Alfio Ferlito (boss etneo in rotta di collisione con Nitto Santapaola del quale tentava di usurpare il predominio), che veniva tradotto dal carcere di Enna a quello di Trapani, passando per Palermo.  Insieme a Ferlito, furono assassinati tre carabinieri, Salvatore Raiti, Silvano Franzolin, Luigi Di Barca, e l’autista Giuseppe Di Lavore, che lavorava per una ditta privata che aveva in appalto il trasporto dei detenuti.  Questa strage rappresentò il fatto di sangue più eclatante che diede il "benvenuto" di mafia, se così si può dire, al prefetto Dalla Chiesa che si era insediato da appena qualche settimana.

Un Dalla Chiesa, interpretato nel film di Ferrara, scusate se è poco, da Lino Ventura, mostro sacro del cinema italo-francese (e quando Ventura arrivava sul set, dai primi attori all’ultime comparse, sembrava che per un attimo si bloccassero tutti in segno di istintivo rispetto verso chi, da solo, rappresentava un pezzo assai significativo del cinema migliore di quegli anni).  
Se non ricordo male, Ferrara mi fece rifare la parte una decina di volte. Il fatto è che dovevo fare i conti con un elicottero della polizia che volteggiava basso sul finto luogo della strage e l’assordante rumore copriva la mia voce che invece avrebbe dovuto - almeno nelle intenzioni di Ferrara - sentirsi forte e chiara, come ha da essere la voce dei giornalisti d’assalto e d’inchiesta … o, almeno, come dovrebbe essere... e come dovrebbe sentirsi … Ricordo Ferrara ripetere, quasi con ossessione professionale: "più forte, più forte … si sente troppo l’elicottero …". Come Dio volle, la scena andò e finì dentro il film. Dove ancora oggi riposa … E lo stesso Ferrara tirò un sospiro di sollievo.
"Cento giorni a Palermo" ebbe una vitalità straordinaria (il film è del 1984) e non ha smesso di andare avanti, di replica in replica, sui canali televisivi più disparati. Per i palermitani quel film equivalse a uno choc, perché talmente veritiero e aderente ai fatti che, ogni volta, che lo si rivedeva, era come assistere ancora una volta, dal vivo, all’autentica strage di via Carini, dove "era morta la speranza dei siciliani onesti", come mano anonima scrisse su un muro.
L’Italia dimentica tutto. Eroi, vittime e maestri.
Lunga vita a Giuseppe Ferrara. Si facciano conoscere i suoi film ai giovani, mille volte meglio di certe fiction di mafia sponsorizzate da una tv spazzatura. E lunga vita a Ferrara in una casa in cui potrà rimettere ordine nei suoi ricordi, nei suoi pensieri, nelle sue idee.
Ché ricordi ne avrà tanti, mentre per quanto riguarda le idee, parla la sua filmografia, sempre dalla parte dei deboli, dei poveri, degli ultimi. Una filmografia la cui voce, ancora oggi, si sente "forte" e "chiara".  Per chi la vuole ascoltare.

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