Questo sito utilizza cookie tecnici e di terze parti per migliorare la navigazione degli utenti e per raccogliere informazioni sull’uso del sito stesso. Per i dettagli o per disattivare i cookie consulta la nostra cookie policy. Chiudendo questo banner, scorrendo questa pagina o cliccando qualunque link del sito acconsenti all’uso dei cookie.

lodato-saverio-big2di Saverio Lodato
Vent’anni dopo la strage di via D’Amelio, si è scoperto che lo Stato trattava con la mafia. Vent’anni dopo, si è scoperto che Paolo Borsellino, venuto a conoscenza di quel patto scellerato, si era messo di traverso, dichiarandosi indisponibile ad un’intesa con i vertici di Cosa Nostra. Vent’anni dopo, i magistrati che indagano su quella strage, su quella trattativa e sui mandanti esterni alla mafia, sono giunti alla conclusione che la principale causa della morte di Borsellino fu rappresentata proprio dal suo rifiuto a scendere a compromessi con un esercito criminale che stava mettendo a ferro e fuoco l’Italia.

Ce ne sarebbe abbastanza per spalancare gli archivi che contengono le inconfessabili verità di Stato. Per  indagare a fondo - e definitivamente - su quei 57 giorni che separarono l’uccisione di Falcone da quella di Borsellino. Per chiamare a render conto dei loro comportamenti uomini politici, uomini delle istituzioni, uomini degli apparati che svolsero un ruolo da protagonisti in quella stagione di piombo mafioso e piombo di stato. Ma, vent’anni dopo, non accade nulla di tutto questo. Anzi. Accade che finiscono sul banco degli accusati proprio i magistrati che indagano, con l’accusa speciosa di volere destabilizzare lo Stato perché la loro indagine ormai si è spinta troppo in alto.

Il caso di Nicola Mancino, ministro degli interni nei giorni di via d’Amelio, è emblematico. Da anni sostiene di non ricordare di avere incontrato Borsellino nel giorno in cui si svolse la cerimonia per il suo insediamento al Viminale (1 luglio 1992). Si è così ritrovato iscritto nel registro degli indagati per falsa testimonianza, visto che i magistrati di Palermo sono invece convinti che sia provato il contrario ( sono dodici, in totale, le persone indagate). Ne è nato un “affaire” che ha coinvolto persino il Quirinale. Mancino, infatti, è stato ripetutamente intercettato mentre chiedeva aiuto e prospettava espedienti per arginare l’offensiva dei giudici.  E, dall’altro capo del filo, Loris D’Ambrosio, consigliere del Capo dello Stato, dispensava consigli e prospettava gli espedienti che a lui sembravano più praticabili. Vent’anni dopo, è ancora ben visibile la netta linea di demarcazione che separa chi, per principio, non intende trattare con la mafia e i poteri occulti e chi - invece- ora preferirebbe trattare sulla trattativa. Fra chi cerca la verità e chi cerca espedienti per nasconderla. Ovviamente, Borsellino, se fosse ancora vivo, starebbe con i primi. 

Questo indirizzo email è protetto dagli spambots. È necessario abilitare JavaScript per vederlo.

19 luglio 2012

Tratto da: libreriamo.it

                                                                                                                    Foto © Giorgio Barbagallo

ANTIMAFIADuemila
Associazione Culturale Falcone e Borsellino
Via Molino I°, 1824 - 63811 Sant'Elpidio a Mare (FM) - P. iva 01734340449
Testata giornalistica iscritta presso il Tribunale di Fermo n.032000 del 15/03/2000
Privacy e Cookie policy

Stock Photos provided by our partner Depositphotos