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borsellino-sal-agenda-webdi Salvatore Borsellino - 22 dicembre 2012
Quando si parla di politica e di competizioni elettorali non mi sono mai piaciute le frasi e i modi di dire mutuati dal mondo del calcio forse perché condizionato da quella sciagurata "discesa in campo" che ci è costata venti anni di governo da parte di un individuo che ha asservito il parlamento e ha utilizzato il governo per la gestione dei propri interessi personali spingendo a livelli mai visti, in senso negativo, la credibilità del nostro paese nel contesto internazionale.

Sono invece abituato ad utilizzare le metafore e i termini che fanno ricordare le lotte, le battaglie, la guerra.
Perché è una vera è propria guerra quella che io e i giovani, che spesso giovani anagraficamente non sono, del mio movimento delle Agende Rosse, stiamo combattendo da anni.
Una battaglia senza quartiere contro la congiura del silenzio, contro la mistificazione, contro la menzogna, contro l'oscuramento da parte dei mezzi di comunicazione, una battaglia per la Verità e per la Giustizia.
Il nostro grido è quello di RESISTENZA , perché ci sentiamo partigiani, partigiani della Costituzione, perché dobbiamo combattere contro un nemico che è peggiore di quello che combattevano i partigiani.
Perché il nostro nemico non veste una divisa e non sempre è riconoscibile a prima vista perché a volte assume addirittura l'aspetto di istituzioni che scatenano una guerra contro altre Istituzioni, che cercano di fermare dei magistrati quando questi finalmente, dopo anni di depistaggi e di occultamenti di prove, si avviano sulla difficile strada della Verità, che cercano di spegnere la luce per impedire di guardarsi attorno quando finalmente, come dice Antonio Ingroia, si arrivati nell'anticamera della Verità.
Ecco è di Antonio Ingroia che voglio parlarvi, della sua scelta di lasciare il suo incarico di Procuratore Aggiunto a Palermo, di lasciare il pool di magistrati che coordinava e che, insieme a lui e sotto la sua guida, ha istruito il processo che è appena iniziato a Palermo.
Il processo per "attentato al corpo politico dello Stato", comunemente detto "della trattative Stato.mafia", un processo nel quale, per la prima volta nella storia del nostro paese lo Stato sta processando se stesso, o almeno una parte di esso.
Sono rimasto molto turbato quando Ingroia ha preso questa decisione, ho voluto incontrarlo per capirne le ragioni e quelle che mi ha dato non mi hanno del tutto convinto.
Pensavo soprattutto alle maggiori difficoltà che avrebbero incontrato i suoi colleghi del pool di Palermo, Di Matteo in primis, senza la sua presenza ed il suo supporto.
Il giorno prima che partisse però, anzi quando era già a Roma nel suo viaggio di trasferimento in Guatemala, capiì che se aveva preso quella difficile decisione doveva avere dei buoni motivi, e in parte me li aveva dati, e non toccava a me giudicare.
Così lo chiamai e gli ribadii il mio affetto e la mia solidarietà.
Adesso Antonio Ingroia ha preso una decisione ancora più difficile, quella di mettersi in gioco, di metterci la faccia, di cambiare campo di battaglia, perché sa che come magistrato ha fatto tutto quello che poteva, fare, che il processo di Palermo tenteranno in ogni caso di fermarlo.
Lo stesso presidente della Repubblica, piuttosto che spianare la strada della Giustizia. ha messo sulla sua strada, la strada della Verità, l'ostacolo più grande e tutti quali che hanno partecipato a questa vergognosa congiura del silenzio durata venti anni si coalizzeranno, si sosterranno a vicenda con le loro menzogne nel comune intento di nascondere una verità che li condannerebbe al disprezzo del paese vero, di quello che ancora ha degli ideali. Ingroia ha fatto una scelta difficilissima, ancora più difficile di quella che tanti anni fa fece Giovanni Falcone quando, impossibilitato a proseguire il suo lavoro di magistrato a Palermo andò a Roma a dirigere la sezione Affari Penali del Ministero di Grazia e Giustizia.
Ma Falcone restava magistrato, Ingroia accetta di mettersi in gioco in una competizione politica, probabilmente non potrà più tornare a fare il magistrato, ma lo fa perché sa che solo così potrà continuare il suo lavoro, solo così potrà continuare a percorrere la strada della Verità, la strada della Giustizia.
Manca pochissimo tempo al giorno delle elezioni, c'è pochissimo tempo anche soltanto per raccogliere le firme, per organizzarsi.
E' una impresa quasi disperata e io ho sempre sostenuto all'interno del mio movimento delle Agende Rosse che non dobbiamo impegnarci nelle competizioni politiche.
Ma adesso sta succedendo qualcosa, è come se in una battaglia in cui l'esito è incerto uno squadrone di cavalleria si slanciasse improvvisamente in un attacco frontale verso il nemico
per cercare di sovvertirne le sorti.
Io non posso restare in trincea a guardare, ad aspettare l'esito di quell'assalto senza parteciparvi, senza sostenere, anche se dall'esterno, Antonio Ingroia e i suoi compagni di lotta, i miei compagni di lotta.
Non so se i miei soldati mi seguiranno ne posso ordinargli di farlo ma in quell'assalto ci devo essere anche io. anche io devo contribuire alle sorti della battaglia.
Non posso pronunciarmi a nome del mio movimento, non ho il diritto di farlo, ognuno di loro deciderà come combattere la sua battaglia, ma io devo andare.
Antonio, Luigi, Leoluca, non posso dirvi "noi ci stiamo" ma una cosa posso gridarla e la grido con tutte le mie forze: IO CI STO