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di Marco Lillo - 4 dicembre 2009
Vertigine. Salvatore Borsellino non trova altri termini per descrivere la sensazione provata quando si è affacciato sul passato di Renato Schifani.



“Quando ho letto le inchieste del vostro giornale sul presidente del Senato sono stato preso da una specie di vertigine nel vedere quanti e quali sono stati i coinvolgimenti di Schifani nel passato con persone che poi sono state arrestate con accuse gravissime”.

Cosa pensa dei fatti rivelati nelle nostre inchieste?
La mia considerazione è questa: è terribile che la seconda carica dello Stato, che potrebbe essere chiamata a fare supplenza al presidente della Repubblica, abbia avuto simili trascorsi societari con persone che poi sono state condannate per mafia e altri reati. È qualcosa di incredibile soprattutto perché rispetto a questi suoi trascorsi Schifani non ha dato spiegazioni. E quando qualcuno, come ha fatto Marco Travaglio, gli ha ricordato il suo passato   , lui si è ammantato della sua carica per denunciare una sorta di vilipendio delle istituzioni. Ma il vero vilipendio alle istituzioni è la sua permanenza in quella carica. Se non risponde deve dimettersi immediatamente.

Eppure nessuna voce critica si è levata dall’opposizione.
Io penso che in Italia l’opposizione ha rinunciato a fare il suo compito. A parte un piccolo partito come l’Idv, i cittadini si devono affidare a Veronica Lario o a Gianfranco Fini, per sentire qualcuno che richiami il presidente del Consiglio al rispetto delle istituzioni. Ecco, io un atteggiamento del genere non lo trovo nei partiti che dovrebbero rappresentare l’opposizione. Ed è proprio questa assenza che ci ha portati a vivere in un regime.

Schifani, ai suoi collaboratori, ha detto: sono storie vecchie e poi io ero solo un avvocato e non un politico.
Io ritengo che questa giustificazione può valere per un avvocato qualsiasi. Ma qui stiamo parlando del presidente del Senato. Schifani è coinvolto per esempio in una vicenda, quella del palazzo di piazza Leoni, nella quale c’è stata una prevaricazione di un costruttore poi condannato per mafia nei confronti di persone come le sorelle Pilliu che ora addirittura sono incriminate per il crollo delle loro case, avvenuto dopo che il costruttore mafioso gli aveva buttato giù il tetto. In questa vicenda, mi par di capire dai vostri articoli, ci sono stati provvedimenti amministrativi e condoni che implicavano quel palazzo. Siamo alla legge che tutela i forti e i prepotenti e si accanisce contro i deboli. 

Cosa dovrebbe fare Schifani?
Lasciamo perdere il passato, perché anche i delinquenti devono avere qualcuno che li difende. Ma ora è il presidente del Senato. Schifani deve prendere le distanze, rispondere alle domande e spiegare. Il suo silenzio è una cosa gravissima.

Schifani è stato socio nel 1979-1980 di soggetti poi condannati per mafia come Nino Mandalà e Benni D’Agostino. Lui si è giustificato dicendo che erano tutti “insospettabili” e “sulla breccia”. Addirittura “di grande spicco perché legati al presidente Giuseppe La Loggia.   Lei è palermitano. Davvero questo era il meglio della borghesia di Palermo?

Questa è veramente la cosa più grave della vicenda. Paolo diceva che la mafia non è forte perché ci sono Riina e Provenzano ma perché c’è una borghesia che con la mafia fa affari e collude. Il problema è proprio “il meglio di Palermo”, questa gente che con la mafia fa affari e mantiene le mani pulite. Se Schifani vuole giustificarsi dicendo che lui si è fidato di questa borghesia, non è una cosa a suo favore. E poi sono stufo di sentire   parlare di cose vecchie, come ha fatto anche Berlusconi sulle stragi. Bisogna ricordare che per noi queste cose non saranno mai vecchie. Anche perché non si tratta di mafiosi di piccolo calibro. Nella vicenda di piazza Leoni, per esempio, avete raccontato che Bagarella e Brusca, gli autori delle stragi, andavano lì per farsi adattare l’appartamento in costruzione e poi farci la latitanza. Parliamo di cose gravissime. Schifani non c’entra ma sulla sua frequentazione, anche per ragioni professionali, con i costruttori deve dare una risposta   .

C’è una coincidenza in questa storia. Paolo Borsellino, ha perso le ultime ore della sua vita ad ascoltare le sorelle Pilliu che parlavano del palazzo di piazza Leoni. Mancavano pochi giorni alla strage di via D’Amelio. E, proprio da piazza Leoni è partita, secondo la sentenza di condanna, la Fiat 126 imbottita di tritolo che lo ha ucciso. Suo fratello forse aveva intuito l’importanza di quel palazzo?

Certamente alcuni nomi che avrà sentito dalle Pilliu possono averlo interessato. Ma conoscendo la grande umanità di Paolo, gli sarà bastato vedere due persone deboli che denunciavano una simile prevaricazione per fare scattare una molla nella sua testa. 

Allora Schifani stava dall’altra parte e difendeva legalmente il costruttore.
E nessuno può condannarlo per questo. Ma Schifani oggi deve rispondere. Non come avvocato ma come presidente del Senato.

In passato Schifani ha commemorato   la morte di suo fratello e dei 5 agenti della scorta in via D’Amelio, dove abitava fino a pochi mesi fa. Il suo palazzo è stato costruito da una cooperativa nella quale Schifani è stato socio insieme con una trentina di persone, tra le quali c’erano alcuni familiari e affini di mafiosi, compreso un imprenditore legato al clan di Riina.
Il 19 luglio del 2008 io ero a via D’Amelio. Quando arrivò Schifani ebbi l’impulso fortissimo di andargli incontro per dirgli di non profanare quel luogo e per chiedergli di andare a deporre quella corona di fiori sulla tomba di Mangano. Mi fermai solo perché era arrivata in quel momento mia cognata Agnese e volevo evitarle un dispiacere. Quel giorno stesso giurai che quella profanazione non sarebbe mai   più avvenuta. Il 19 luglio di quest’anno ho organizzato la manifestazione delle agende rosse. Ed è bastata la notizia per far sì che nessuno si presentasse. Finché io sarò in vita Schifani non dovrà presentarsi a commemorare mio fratello. 

Tratto da:
Il Fatto Quotidiano

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