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di Giulietto Chiesa
Quella che segue è una notizia di qualche giorno fa, precisamente del 23 luglio. Credo sia interessante riprenderla perché è rimasta invisibile ai grandi media internazionali e, invece, credo che rappresenti un importante fatto.

Questo: in quel giorno, per la prima volta, le forze aerospaziali della Russia e quelle dell’Esercito di Liberazione della Cina, hanno compiuto un “pattugliamento congiunto” di aerei a largo raggio d’azione nella regione dell’Asia-Pacifico. Precisamente su una rotta che prevedeva il sorvolo del Mar del Giappone e il mare della Cina Orientale. 

La formazione dei velivoli comprendeva due bombardieri strategici russi del tipo Tu-95MS (Tupolev) e due bombardieri cinesi Xian-H-6K (che sono versioni aggiornate del più vecchio Tupolev 16 russo). Secondo altre fonti, tra cui l’agenzia TASS, gli aerei russi dell’operazione congiunta sarebbero stati tre, ma non è questo un particolare di rilievo. Sicuramente i quattro bombardieri erano accompagnati da parecchi caccia di supporto.

Di rilievo è il significato politico, oltre che militare, di una tale notizia. Cina e Russia, infatti, fanno sapere al resto del mondo, in particolare agli Stati Uniti e al Giappone, che stanno elevando di diversi ordini di grandezza la loro cooperazione militare in un’area che, fino a ieri, era considerata di pertinenza “regionale”. Naturalmente se si esclude la presenza americana sia in Giappone che nella Corea del Sud.

Ora, di fronte allo schieramento occidentale, appare una forza militare congiunta — o che mostra l’intenzione di divenire tale — composta da Cina e Russia. E non è un caso isolato. Evidentemente gli Stati Maggiori di Pechino e di Mosca stanno silenziosamente progettando un vasto mutamento delle loro forze complessive. Lo dimostra il dato che lo scorso aprile la Flotta russa del Pacifico ha inviato il suo incrociatore principale, insieme a tre vascelli di scorta, a Qingdao, per prendere parte alla ottava ripetizione delle esercitazioni “Mare Unito”. Una vasta “prova sperimentale” alla quale prendevano parte sette navi militari cinesi. L’anno precedente diverse migliaia di uomini dell’esercito cinese, comprendenti tutti i settori di terra, presero parte, insieme a grandi contingenti di truppe russe, alle esercitazioni congiunte Vostok 2018.

Il comunicato del Ministero della Difesa russo ha laconicamente parlato di esercitazioni per “rafforzare la stabilità strategica”. Ma l’episodio ha provocato parecchie dispute, anche tra le forze occidentali. Gli aerei russi e cinesi sono infatti penetrati all’interno delle “aree di identificazione difensiva” che, pur non coincidendo con gli spazi aerei statuali (cioè essendo assai più vaste di questi) costituiscono aree delicate, appunto ai fini di riconoscere il nemico assai prima che si avvicini ai potenziali obiettivi. Per esempio i giapponesi hanno segnalato il passaggio della squadriglia attraverso lo stretto di Miyato (secondo fonti di Tokyo).

La cosa curiosa è stata che non i caccia giapponesi ma quelli sudcoreani sono diventati particolarmente aggressivi quando gli aerei considerati “intrusi” hanno sorvolato l’isola contestata di Dokdo (per i giapponesi Taakeshima). A quel punto hanno sparato raffiche di messa in guardia. Ma Tokyo ha protestato: quelle sono isole nostre, e dunque toccava a noi.

Ma queste sono schermaglie politiche, non belliche. Segnali. Inquietanti ma segnali. La cosa più significativa è che la Russia resti per ora alla larga dal Mar Cinese Meridionale, dove è in corso una confrontazione a bassa intensità tra Cina, Stati Uniti e Giappone. Le mosse sono dunque calibrate in modo tale da segnalare discretamente ai potenziali avversari che i due giganti asiatici non stanno fermi ad aspettare le mosse altrui e si preparano. Il fatto che si preparino insieme e la novità, che a Washington sicuramente è stata notata.
(27 luglio 2019)

Tratto da: it.sputniknews.com

Foto © Fotobank.ru/Getty Images

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