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di Giulietto Chiesa
Ormai è chiaro che il destino di Julian Assange si sta decidendo. Dove? Formalmente nella capitale dell’Ecuador, il cui presidente, Lenin Moreno, è premuto, possibilmente ricattato, dal governo americano perché si decida a consegnare il fondatore di WikiLeaks alle autorità britanniche. Il che significherebbe, dopo alcuni passaggi obbligati, la sua destinazione finale - sotto ogni profilo - nelle mani della National Security Agency degli Stati Uniti d’America.

La notizia viene, da alcuni giorni, riportata da WikiLeaks, che ha lanciato l’allarme attraverso Twitter citando fonti ecuadoregne non identificate. L’ambasciata ecuadoregna a Londra smentisce, ma il Wall Street Journal ha recentemente anticipato l’euforia, che sarebbe diffusa nel Dipartimento di Giustizia americano, circa una prossima consegna di Assange alle autorità britanniche, che svolgeranno la funzione di “custodia temporanea” del “pericoloso” hacker svedese.

Assange ha vissuto all’interno dell’ambasciata dell’Ecuador di Londra dal 2012. Quasi sette anni di sostanziale reclusione, dopo che la polizia britannica lo sottopose a interrogatorio, intimandogli la resa, prima della consegna nelle mani della magistratura svedese che lo aveva incriminato per violenza sessuale. Assange, consapevole che l’accusa era un pretesto per consegnarlo in mani americane, ricevette l’asilo dell’allora Presidente dell'Ecuador, Rafael Correa, che gli concesse anche la cittadinanza. Ma Correa non è più presidente e il suo successore Lenin Moreno ha mostrato da tempo di non voler irritare ulteriormente gli amici nord-americani. In un primo tempo Moreno ha costretto Assange a non ricevere più le visite dei giornalisti stranieri. Successivamente gli ha tagliato le linee di comunicazione web con cui manteneva i contatti con la sua organizzazione.

Più recentemente dalla capitale Quito è giunto all’ambasciatore l’ordine di impedire perfino all’ex diplomatico e amico di Assange, Craig Murray, di andarlo a trovare e di fungere da tramite con l’esterno. Tutti segnali che la vicenda potrebbe avere sviluppi tanto rapidi quanto clamorosi. Julian Assange è accusato da Washington di avere rivelato al mondo le imponenti rivelazioni (una documentazione di migliaia di mail) di un ex militare americano, Chelsea Manning, sui crimini di guerra dell’esercito americano, in Irak e altrove.

Ci sarebbero stati addirittura tentativi notturni di entrare nell’ambasciata ecuadoregna attraverso qualche finestra lasciata aperta non si sa da chi. Cosa che è stata rivelata da WikiLeaks e che lascia pensare a un possibile tentativo di attentato nei suoi confronti. Ma ci sono ancora difficoltà da superare, per chi vuole trascinare Assange di fronte a una corte di giustizia americana. La prima è che il “recluso” nell’ambasciata ecuadoregna non più amica, è anche cittadino ecuadoriano. E l’articolo 79 della Costituzione di quel paese prevede che “in nessun caso” un cittadino ecuadoriano può essere estradato in un paese straniero. È ben vero che la consegna di Assange alle autorità britanniche non equivale a una estradizione. Ma chiunque comprende che la sostanza di una tale decisione equivarrebbe alla rinuncia alla difesa di un cittadino dell’Ecuador.

Il secondo motivo di freno è quello stesso che ha consentito ad Assange di sfuggire per sette anni alla vendetta di Washington: lo scandalo politico che ne conseguirebbe.

Gli Stati Uniti si rendono conto che la loro immagine di esportatori dei diritti umani, e depositari della “libertà di stampa” sarebbe pesantemente annebbiata agli occhi dell’opinione pubblica occidentale. Nessuno crede alla sincerità della sua incriminazione “svedese” per atti di violenza sessuale. E nemmeno il New York Times potrebbe nascondere la verità, cioè l’intenzione di punire Assange per avere rivelato pagine inconfessabili per la storia degli Stati Uniti. Né sarebbe facile impedire a qualcuno in Occidente di ricordare che un altro cittadino americano, Edward Snowden, si trova in Russia da molti anni, anche lui dissidente americano, accusato di avere rivelato al mondo intero di quali sistemi di controllo e di ricatto i servizi segreti USA possono avvalersi per minacciare alleati e avversari. Con la differenza sostanziale che Snowden è al riparo dalla vendetta statunitense.

Tratto da: it.sputniknews.com

Foto © AFP 2019/Juan Mabromata