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di Giulietto Chiesa
Ha preso vita, finalmente, dopo 89 giorni di passione e confusione, un governo italiano “euroscettico”

Il Presidente Mattarella, nel panico evidente dei suoi gesti, aveva cercato di impedirne la nascita. Ma un concorso di circostanze, di diversa provenienza, di contrastanti interessi, valutazioni, paure - interne e internazionali - lo ha costretto a tornare sui suoi passi. Non certo trionfalmente.
Il premier dalla maggioranza dei "vincitori", Lega di Salvini e 5 Stelle di Di Maio, è stato ripescato il 31 maggio dopo essere stato bloccato dal divieto presidenziale il 27 maggio. Giuseppe Conte è stato chiamato d'urgenza al capezzale della terza Repubblica e incoronato capo del governo, con una lista dei ministri pressoché identica alla precedente, con una sola, cruciale modificazione: Paolo Savona non più al Ministero dell'Economia, bensì con l'incarico degli Affari Europei. In tal modo il suo nome potrà "pesare" in Europa senza costituire, si spera, un ostacolo insormontabile agli occhi della Germania.

Questa "soluzione" è stata il distillato, nella giornata di venerdì, delle pensate di Di Maio e Salvini. Quest'ultimo era sembrato rinunciare, "arrabbiatissimo" al governo e già pronto a nuove elezioni, dalle quali con certezza uscirebbe stra-vincitore. I sondaggi davano i 5 Stelle in calo addirittura del 3%. Di Maio ha fatto dunque l'impossibile, riuscendoci, a convincere Salvini che fosse meglio un governo subito, con al suo interno Paolo Savona, ma in un altro ministero collaterale. Era quello che anche Mattarella cercava disperatamente.

La nomina di un nuovo premier incaricato, nella persona di Carlo Cottarelli, stava diventando di minuto in minuto sempre più immaneggiabile. A metà strada tra il lazzo e l'insulto. Evidente essendo a tutti che l'incaricato numero due non avrebbe avuto nessuna maggioranza quando fosse stato presentato davanti alle Camere. Si delineava un fiasco clamoroso di proporzioni agghiaccianti: sia di fronte all'opinione pubblica italiana che a quella internazionale. Così, dopo un via vai di incontri informali al Quirinale, tra Mattarella, Di Maio, Salvini, Cottarelli, infine Conte ripescato, è venuta consolidandosi la riproposizione di Giuseppe Conte a capo della maggioranza precedentemente bocciata.
Un sospiro di sollievo generale, da tutte le parti. Almeno si poteva "salvare la faccia". In Italia, ma non in Europa. Da Bruxelles, Francoforte, Londra, Berlino, Lussemburgo piovevano insulti. Tra cui quello del presidente della Commissione, Junker, che invitava gl'italiani a essere "meno corrotti" e a risolvere i loro problemi da soli. In coda alla tesi del commissario Oettering, il quale aveva minacciato che, in futuro, sarebbero stati i mercati a "insegnare agli italiani come votare". A sua volta preceduto dalla battuta - ancora più minacciosa - dello stimato Erik Jones, della John Hopkins School of Advanced International Studies (SAIS), il quale rincarava la dose su Politico Europe:

"Non è che i mercati insegneranno agli italiani a votare: voteranno al posto vostro".

Così, al posto di Paolo Savona, pieno di roventi spine, è stato chiamato un altro professore, non meno euroscettico di lui, ma non altrettanto preclaro: Giovanni Tria, preside della facoltà di economia dell'Università di Tor Vergata. Mentre l'ex ministro Moavero Milanesi veniva ripescato, dai tempi di Mario Monti, al ministero degli Esteri come ulteriore garante della "fedeltà europea".

Cos'è cambiato? Alcune cose sì, altre meno, altre ancora niente affatto. Il passo avanti è che il muro, contro cui ha cozzato Mattarella, si è rotto. L'Europa prende atto che l'Italia è diventata, in larga maggioranza, euroscettica e che non si può impedire la formazione del governo che ha una netta maggioranza in parlamento. Il cambio dovrà essere ben percepito in Europa. Come minimo c'è da augurarselo, altrimenti la crisi europea si aggraverà, politicamente in primo luogo.

Tutti gli altri problemi restano aperti. Conte, Savona, Salvini, Di Maio, Tria, andranno a trattare il "cambio delle regole". Dall'altra parte c'è la Germania, che non sembra disposta a concedere nulla, almeno per ora. Bisognerà vedere la scala delle priorità che il governo italiano sceglierà e proporrà a Berlino e alle altre capitali europee che contano. E, soprattutto ai fantastici "mercati".
Questioni delicatissime che si misurano in termini di rapporti di forza economici e politici. Calcoli che incombono ma che nessuno ha ancora saputo fare. Al di là degl'insulti europei c'è il peso oggettivo dell'Italia: politico prima ancora che economico. C'è l'interrogativo su quali siano gl'interessi d'oltre Oceano. Pro o contro la Germania? C'è l'altro interrogativo sulla posizione della Francia di Macron: pro o contro l'Italia? E quanto pro e quanto contro? Infine: cosa pensano e cosa faranno gli altri europei minori, dove pure i mali di pancia euroscettici stanno crescendo ad alto ritmo?
Ma il "contratto" tra i due partiti vincitori dovrà essere pian piano riscritto, emendato, contrattato, tra di loro e con i nemici esterni. Ed è materia non meno delicata perché i loro elettorati sono incerti, fluidi, mobili. Molte cose scritte si riveleranno impraticabili. Altre cose non scritte prima, sarà necessario introdurle cammin facendo. Ci sarà più tempo da qui alle prossime elezioni politiche e nessuno può scommettere che questa legislatura arriverà a compimento nei tempi canonici. Soprattutto sarà utile non dimenticare che non è solo questione di grandi pacchi di miliardi che si metteranno in movimento minacciando i destini dei popoli. Il voto del 4 marzo 2018 ha messo un'ipoteca sui centri del Potere. E il Potere è intollerante per definizione. Dunque giocherà la sua partita. Lega e 5Stelle dovranno saper mobilitare il popolo che li ha portati al comando.

Tratto da: it.sputniknews.com

Foto © Imagoeconomica

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