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damasco bombardata c sputnik michael alaeddindi Giulietto Chiesa - Video
Donald Trump ha licenziato Rex Tillerson in una delle più incredibili giravolte del suo poco più che primo anno di presidenza. Con un twit perentorio, senza nemmeno informarlo preventivamente. Una cosa è certa: non ha presentato le sue dimissioni
Lo ha reso noto Steve Goldstein, sottosegretario per la diplomazia pubblica del Dipartimento di Stato. "Il Segretario aveva tutte le intenzioni di rimanere", ha dello Goldstein.
Dunque è il risultato di una lotta interna all'Amministrazione, di cui non si conoscono tutti i protagonisti. Non sembra che Tillerson fosse una "colomba" (in realtà non sembra che ci siano colombe nell'attuale Amministrazione), se è vero che uno degli ultimi atti di Tillerson è stato quello di sostenere Theresa May, impegnata in una furibonda esplosione d'ira contro il Cremlino. Dunque bisognerà aspettare che qualche gola profonda ci sveli i retroscena. Forse ha ragione Paul Craig Roberts quando scrive (lo ha fatto pochi minuti dopo il licenziamento di Tillerson) che il "complesso militare-industriale" ha ormai completamente "accerchiato" Trump, costringendolo a svolgere il ruolo di burattino nelle sue mani.
Certo è che l'operazione che è stata portata a compimento con l'attentato contro Sergej Skripal, nei pressi di Londra, ha tutta l'aria di essere stata concepita da menti perfettamente determinate a infliggere danni alla Russia e a Vladimir Putin, impegnato a concludere la sua campagna elettorale per il suo quarto mandato presidenziale. Ma probabilmente non solo a questo. Numerosi commentatori russi, e non soltanto russi, si sono chiesti se l'operazione non sia un potente diversivo, funzionale a distrarre l'attenzione del pubblico occidentale nel suo complesso da quanto si sta preparando a Washington e Tel Aviv: un attacco militare diretto contro Damasco, forse soltanto per impedire la sconfitta dei tagliagole asserragliati a Goutha, ma anche, forse, per infliggere una pesante punizione a Bashar al Assad, se non addirittura per avviare un'operazione sul terreno per provocarne la caduta.
Da notare la sottigliezza con cui il gas è usato in funzione di protagonista dai suddetti esperti nelle due vicende non parallele qui ricordate. Il gas che Bashar al Assad si appresterebbe "di nuovo" a usare contro la popolazione civile alla periferia di Damasco, e il gas che "i russi" avrebbero impiegato per tentare l'assassinio di un ex agente russo scambiato anni fa con agenti britannici. La tecnica qui usata è basata sulla certezza che il grande pubblico farà subliminalmente l'associazione di due fatti assolutamente estranei l'uno all'altro (non importa se entrambi inventati a fini propagandistici), per giungere alla conclusione, altrettanto subliminale, che i russi sono cattivi sia perché usano il gas per aiutare Bashar, sia perché usano il gas per assassinare gli avversari politici di Vladimir Putin.
In realtà è ben noto (a chi conosce i fatti) che Bashar al Assad consegnò tutte le armi chimiche in suo possesso al tempo di Obama e Kerry, su iniziativa proprio di Putin che fece la proposta proprio per prevenire un ormai quasi deciso bombardamento americano su Damasco. Queste armi furono prelevate dai depositi siriani sotto gli occhi di una commissione delle Nazioni Unite strettamente controllata dai servizi segreti americani. Tanto da permettere a John Kerry di esultare per la vittoria quando la nave che le conteneva arrivò in un porto italiano per essere avviata nei laboratori americani dove quelle armi sarebbero state smontate e il gas distrutto. La mossa di Putin scongiurò il bombardamento americano, che era stato minacciato dopo che il mainstream occidentale aveva suonato la grancassa, al solito senza prove, contro Bashar per avere usato armi chimiche "contro la popolazione civile". Tutte le indagini e le ricostruzioni giornalistiche successive dimostrarono che l'intera vicenda era stata falsificata e che le armi chimiche erano state invece usate dai terroristi proprio alla periferia di Damasco. Pochi si chiesero chi avesse dato quelle armi chimiche ai terroristi. Né si conosce la sorte di quelle armi chimiche che Bashar consegnò all'ONU. Ma questa è un'altra storia.
E tuttavia quella vicenda è stata richiamata, proprio con le stesse parole, dal generale James Mattis, ministro della Difesa, che ha accusato la Siria, di nuovo, di usare il gas chlorine "contro il suo stesso popolo". Mentre il nuovo Segretario di Stato, Pompeo, appena prima di diventare tale, avanzava l'ipotesi se non fosse il caso di bombardare Damasco per insegnare ai russi che i tagliagole sostenuti dagli americani non devono essere sloggiati da Goutha.
Su queste "basi" si è innestata appunto la vicenda del gas che avrebbe messo ko l'ex spia russa Skripal. In pochi giorni un tentativo di assassinio, assai nebuloso (Skripal si era ritirato a vita privata, almeno ufficialmente, dopo avere raccontato all'MI6 tutto quello che sapeva per alcuni anni), è divenuto l'occasione di un inverecondo teatro dell'assurdo. Con Theresa May che, senza una sola prova, accusa Mosca di essere all'origine dell'attentato e, infine arriva a dare un vero e proprio ultimatum guerriero alla Russia se non avesse dato "spiegazioni" entro 24, riservando al governo britannico una serie di opzioni, tra cui quella di boicottare il mondiale di calcio che questa estate dovrebbe tenersi in Russia.



Di quali spiegazioni si tratti non è stato spiegato. Ma è bastato perché sia la Merkel che Macron si affrettassero a offrire solidarietà incondizionata a Londra. Ignorando le rimostranze del ministro degli esteri Lavrov, che ha ieri ricordato a Theresa che il periodo coloniale è finito qualche decennio fra e che questi toni non sono ammissibili nei confronti di nessuno. Ma la macchina propagandistica è ormai in moto e ha già ottenuto che l'intero mainstream sta accreditando la tesi della "colpevolezza" del Cremlino senza uno straccio di prova, senza nemmeno un indizio, senza neppure l'intervento del buon senso. Che interesse potrebbero avere avuto i servizi russi nell'attentare alla vita di un agente che ha già vuotato il sacco anni orsono? Per impedirgli di dire qualche cosa che si era dimenticato di rivelare quando sbarcò a Londra dopo avere scontato quattro anni di carcere in Russia per tradimento della sua patria?
A qualcuno non potrebbe venire in mente che qualche servizio segreto occidentale poteva avere tutto l'interesse a sacrificare una pedina ormai sfruttata fino in fondo, con lo scopo di trasformarla in una gigantesca provocazione? Naturalmente no. L'Occidente conosce solo James Bond e più in là non è capace di spingersi. Così l'episodio criminoso contro Skripal e la figlia è servito per riesumare il caso Litvinenko, ex agente anche lui, assassinato con il polonio, o il caso Berezovskij, trovato impiccato a un termosifone qualche anno fa in una morte che fu molto frettolosamente archiviata come suicidio. Tutti ex agenti russi rifugiatisi in Gran Bretagna, collaboratori dei servizi segreti inglesi, morti dopo esser stati spremuti come limoni, fino al punto di dover mettere anche la propria vita sull'altare della propaganda anti-russa. Fino all'ultima notizia di ieri. Trovato morto anche un altro transfuga russo cui da anni era stato concesso di spendere i denari guadagnati a spese dei russi nel dorato esilio londinese. Si tratta di Nikolai Glushkov, anche lui amico dell'oligarca Boris Berezovskij, anche lui reduce dalle patrie galere dove aveva scontato cinque anni di reclusione per truffa. Londra gli aveva concesso asilo politico. Gli agenti russi, quelli in funzione, devono essere proprio degli imbecilli. Fanno una carneficina a Londra proprio nella settimana in cui Vladimir Putin sta per essere eletto presidente della Russia per la quarta volta. Che pasticcioni.

Tratto da: it.sputniknews.com

Foto © Sputnik/Michael Alaeddin

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