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venezia pontedirialto c emanuele di stefanodi Giulietto Chiesa
Domenica 22 ottobre due regioni italiane, Lombardia e Veneto, votano per “esprimere un parere” sulla propria “autonomia” rispetto al governo centrale
Nulla a che vedere con il conflitto tra la Catalogna e il governo centrale di Madrid, poiché i due referendum italiani sono del tutto compatibili con la Costituzione del paese, mentre l'indipendenza catalana si contrappone alla Costituzione vigente in Spagna. Ma è evidente che, almeno sotto il profilo della psicologia collettiva, un "effetto contagio" si sta registrando e probabilmente l'afflusso dei votanti nelle due regioni italiane sarà più alto di quello che vi sarebbe stato in condizioni normali.
Si vedrà domenica sera, dopo che i seggi verranno chiusi (saranno aperti dalle 7 del mattino fino alle ore 23). Non c'è alcuna tensione politica perché, come s'è detto, tutto avviene nella legge e nell'ordine. Ovviamente i pareri sono diversi, ma il dibattito pubblico, sulla stampa, nei canali televisivi locali, si è mantenuto all'interno di un confronto civile tra le idee. La legge regionale veneta prevede che la consultazione avrà validità se andranno a votare il 50% più uno degli aventi diritto. In Lombardia, invece, non è previsto un quorum di validità. Conterà molto, in entrambi i casi, l'affluenza alle urne. Sarà questa che dirà, meglio di ogni altro numero, quanto sia l'interesse dell'opinione pubblica di quelle due regioni verso un allargamento dell'autonomia.
È probabile che in entrambe le regioni i favori andranno al "" all'autonomia. Per la semplice ragione che andranno a votare in larga maggioranza coloro che la vogliono, mentre i contrari, o gl'indifferenti, non sprecheranno il loro tempo andando a votare. Dunque, di nuovo, è chiaro che sarà l'affluenza al voto a determinare il risultato politico. E, questo risultato politico sarà il terreno su cui il prossimo governo dovrà negoziare con le due regioni i margini dell'autonomia da concedere. È probabile che sarà in quel momento che le tensioni potranno sorgere. Ma anche questa è questione tutta da vedere. Le forze promotrici di entrambe le consultazioni sono quelle della Lega Nord o emergenti dall'ondata separatista ormai vecchia di oltre un ventennio. Il governatore del Veneto, Luca Zaia, non è più leghista e si è "messo in proprio", ma è lui la forza motrice di questo referendum e la sua indubbia popolarità deriva anche da questa scelta. Lui, personalmente, ha dichiarato di aspettarsi "almeno l'80% dei voti favorevoli". Cioè vuole un plebiscito. In tal caso, Roma avrà non pochi grattacapi da risolvere nei prossimi anni. Diverso è il caso lombardo, dove il motore principale è stato Roberto Maroni, governatore in carica e "leghista" più che mai. Ma con una Lega che si allea a Berlusconi e alle altre, variegate componenti della destra, per andare al governo (se gli riuscirà nella prossima primavera, quando l'Italia andrà a votare per un nuovo parlamento), l'"autonomia" lombarda sarà inevitabilmente messa in secondo piano rispetto alla necessità di rispondere al paese nel suo complesso. Come minimo si apriranno fratture tra la base indipendentista e autonomista e il vertice politico nazionale.
La ragione principale delle due consultazioni non è propriamente di carattere solidale. È piuttosto una delle molte espressioni di scontento dell'opinione pubblica verso il governo centrale, percepito come fonte di corruzione e di cattiva distribuzione della ricchezza nazionale. Sono molti, al nord, quelli che pensano che il denaro che si crea deve restare dove è stato creato e non essere "sperperato" (ovvero distribuito) a vantaggio delle regioni che "lavorano di meno". S'intende quelle meridionali, in primo luogo, ma anche si fa riferimento allo slogan di "Roma ladrona", che fu all'origine del movimento leghista e che è stato recentemente riportato in auge dalle vicende di "Mafia Capitale" che hanno rivelato una vasta rete di corruttele criminali e di malcostume politico e amministrativo.
Si potrebbe dire che si verifica, nel nord Italia, lo stesso fenomeno che si registra a livello europeo tra il nord e l'Europa mediterranea: un fenomeno che indica una più o meno marcata mancanza di solidarietà tra gli Stati europei di fronte ai problemi e alle diversificazioni che la crisi economica e politica del continente crea sempre più frequentemente. Gli egoismi nazionali europei si rispecchiano perfettamente negli egoismi regionali. C'è del vero alla base di questi "egoismi". E questo "vero" viene sbandierato con molta energia in questa campagna elettorale. Per esempio se si guardano le spese del governo centrale per le infrastrutture, si vede che dal 2016 al 2020 l'ANAS spenderà all'incirca 647 milioni dei 23,4 miliardi € nazionali. In termini percentuali si tratta del 3%, contro il 56% (13 miliardi) destinati al sud. Ma questi conti sono destinati ad aprire o riaprire vecchi conti, mai risolti, tra nord, sud e centro. È noto che le infrastrutture del nord sono di gran lunga migliori di quelle del sud e che sono necessarie misure di riequilibrio che sono parte integrante della solidarietà nazionale di qualunque stato.
Nello stesso tempo esistono problemi di "vicinanza" derivanti dai privilegi che storicamente sono stati concessi al Trentino-Alto Adige e al Friuli-Venezia Giulia. Statuti speciali e esenzioni fiscali hanno reso molto diverse le condizioni di comuni limitrofi. A queste differenze non hanno rimediato i fondi dello stato per i comuni confinanti. Si ricorda che una decina di anni fa, per esempio, tutte le province venete chiesero di essere annesse all'Alto Adige. E allora si stava tutti assai meglio di oggi. Ma tutte queste questioni di carattere distributivo sono nient'altro che un sintomo di malessere diffuso e non potranno essere risolte se non attraverso una idea di "paese" fondata sulla solidarietà, al contrario di quella attuale, basata sulla competizione.

In foto: Il Ponte di Rialto a Venezia (© Emanuele Di Stefano)

Tratto dait.sputniknews.com

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