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chiesa giu c firrarellodi Giulietto Chiesa
Dopo la solenne celebrazione del 60-esimo anniversario dei trattati di Roma, avvenuta sotto le nuvole della minaccia (inventata) dei black blok e di ben cinque manifestazioni di varia protesta (del tutto pacifiche) nella capitale italiana, la solita Europa è tornata a rinchiudersi nei suoi palazzi di Bruxelles e Strasburgo.

La crisi dell'attuale Europa è risultata evidente anche nel corso della solennissima cerimonia in Campidoglio. Nasconderla è stato impossibile nonostante gli applausi che i 28 membri si sono scambiati vicendevolmente. Le immagini delle firme commemorative, con le penne che scivolavano sul foglio della storia, hanno mostrato che i 28 sono molto diseguali tra di loro, assai di più di quanto non lo fossero i padri fondatori dell'Europa di 60 anni fa.

Il processo di omogeneizzazione, il superamento delle profonde differenze sociali, politiche istituzionali — che era allora nelle intenzioni e nei documenti fondatori — non solo non è andato avanti, ma si è arenato, a quanto pare irreversibilmente. Alla "cooperazione" di Roma 1957, ai progetti di "riequilibrio", di "armonizzazione", di "superamento delle differenze" che avevano caratterizzato la partenza della creazione dello "Stato Europeo", è subentrato il pensiero unico dominante della "concorrenza", della "competizione", di Maastricht e di Lisbona. E la competizione si è dilatata fino a ingoiare totalmente la solidarietà. Anche quella interna. L'Europa di oggi, dopo l'inconsulto e affrettato allargamento a 28, è dilaniata da una concorrenza interna che impedisce ai minori — a cominciare dai PIGS del sud — di avvicinarsi ai più forti del nord.

L'infinita caduta della Grecia aleggiava nell'augusta aula romana mentre i leader europei assistevano, senza applaudire, al procedere di Aleksis Tsipras — testa china, senza sorriso — verso una firma che doveva apparirgli piuttosto con un cappio scorsoio. Ma la Grecia sofferente è piccola. Mancava all'appuntamento di Roma il grande Regno Unito, è mancherà per generazioni. A rendere piuttosto patetico il grido di vittoria di Juncker: "celebreremo qui anche il centenario". Forse, ma è molto difficile, oggi, immaginare quale sarà la celebrazione, o la commemorazione del 2057.

Resta da vedere cosa pensano di questa Europa i suoi cittadini, o sudditi che dir si voglia. E non è un bilancio entusiasmante. Secondo un sondaggio promosso dall'ISPI (Istituto di Studi per la Politica Internazionale) e realizzato dall'IPSOS, solo il 7% degli italiani esprime un giudizio "molto positivo" sul ruolo svolto dall'Unione Europea in questi decenni. Mentre il 33% da un giudizio negativo e il 14% "molto negativo". Insieme valgono il 47%, superando di un punto percentuale i giudizi "positivi" (e anch'essi condizionati da una critica al "prevalere degli egoismi nazionali").

E non si deve trascurare che gli italiani che pensano di avere ricavato "più vantaggi" all'interno della Unione Europea sono solo il 24%, mentre quelli che pensano il contrario sono il 32%. Del resto è un dato riconosciuto da tutti gli osservatori che gli "euroscettici" sono in crescita in tutti i paesi europei. E questo per motivi addirittura opposti tra di loro, che però indicano l'esistenza di fratture diverse e più complesse: non solo tra sud e nord (prevalentemente per ragioni economiche e sociali), ma anche tra est e ovest (in particolare sul tema dell'immigrazione).

Dunque se è vero che parlare di un imminente tracollo dell'Unione è sicuramente esagerato, non è affatto fuori luogo parlare sia di crisi dell'idea europea, sia di un grave disagio nel rapporto tra cittadini europei e istituzioni attuali dell'Europa. Il futuro è incerto e, senza una profonda revisione di principi, sono in molti a ritenere che questa Europa non potrà affrontare collettivamente le grandi sfide del futuro del mondo.

Tratto da: it.sputniknews.com

Foto © S. F.

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