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NEWS 200214di Giulietto Chiesa - 11 maggio 2014
Il pogrom di Odessa è stato un boomerang contro i golpisti di Kiev. Portare in Europa un tale alleato non è già più cosa facile da digerire. Cambieranno strategia.
Molto deve ancora accadere prima del 25 maggio. E non c'è da essere ottimisti. Il risultato del referendum nelle aree sud-orientali dell'Ucraina è prevedibile dia nuova forza alle richieste di separazione dei russi che hanno respinto l'invito di Putin al rinvio.

Ma è già evidente che la cosiddetta "operazione antiterroristica", organizzata dal governo di Kiev, non ha funzionato, così com'è chiaro che non potrà essercene un'altra più efficiente della prima.
 
L'esercito ucraino non è stato e non è in condizione di effettuare un'offensiva su larga scala: per ragioni molteplici, per mancanza di motivazione, per scarsezza di mezzi, per divisioni interne allo stesso governo di Kiev.
Si è cercato di supplire mandando all'offensiva alcuni reparti preventivamente scelti e ben pagati, di fatto mercenari, disposti a tutto: una ripetizione del sistema con cui Boris Eltsin, nel 1993, riuscì a schierare quella decina di carri armati e blindati che spararono sulla Casa Bianca di Rutskoi e Khasbulatov.
Ma qui si vede che le forze non ci sono. L'offensiva si è limitata a pochi centri minori, come Slaviansk, Kramatorsk e pochi altri. E anche in questi casi, sebbene sanguinosi, l'esercito non ha nemmeno tentato di occupare i centri abitati, ritirandosi ogni volta dopo avere effettuato incursioni di limitata portata.
Una seconda fase, culminata nel massacro di Mariupol, appare basata sulla cosiddetta Guardia Nazionale, forse appoggiata da gruppi di mercenari stranieri di un'impresa "privata" emanazione della famigerata Blackwater. Non vi è prova - salvo pochi filmati - dell'intervento di gruppi combattenti stranieri, sebbene non vi sia dubbio che istruttori militari occidentali siano impiegati nella pianificazione delle operazioni della Guardia Nazionale.
 
Tuttavia è chiaro che i rivoltosi di Maidan, anche se ormai inquadrati nella nuova struttura "statale" non sono a loro volta né sufficientemente numerosi, né in grado di condurre operazioni militari su larga scala, contro le formazioni dei "separatisti" russi, le quali, a loro volta, appaiono ben salde sulle loro posizioni. Infatti anche l'attacco contro Mariupol è stato svolto come un'azione diversiva, volta a impaurire piuttosto che a occupare il territorio: incursione nel centro abitato, furiosa sparatoria di mezzi pesanti contro edifici e popolazione civile, infine ripiegamento rapido e fuga. Non s'è mai visto un esercito che agisce come una banda di guerriglieri: armati con mezzi pesanti, dunque in grado di mantenere un accerchiamento, ma incapaci di tenere le posizioni conquistate.
 
Ecco perché si devono considerare importanti le notizie secondo cui Kiev, sotto il controllo di Valentyn Nalyvaichenko, starebbe preparando un cambio di strategia. Che consisterebbe nella concentrazione di tutte le forze disponibili sulle tre zone di Odessa, di Dnepropetrovsk e di Kharkov. In tutti e tre questi decisivi capoluoghi la composizione etnica della popolazione è meno svantaggiosa per il governo centrale. La presenza russa è molto alta, ma equilibrata da quella ucraina. E qui si potrebbe (o sarebbe relativamente più agevole) , far convergere le squadre naziste di Pravy Sektor e Svoboda, ripetendo un'operazione simile a quella che permise di effettuare il pogrom del 2 maggio nella casa dei Sindacati.
Uno di questi tre centri abitati potrebbe diventare il bersaglio su cui concentrare un'offensiva "sotto falsa bandiera". Cioè montando un attacco in modo tale da farlo apparire come quello di un contingente militare proveniente dalla vicina Repubblica filorussa dell'Oltre Dnestr. Obiettivo: realizzare un grande massacro, per poi presentarlo al mondo dei media occidentali come "opera di Mosca". La "sortita" dell'Oltre Dnestr sarebbe facilmente spiegata con la situazione disperata in cui si trova quella repubblica, autoproclamata e da nessun paese riconosciuta, chiusa da tutti i lati, sia da quello ucraino, sia da quello moldavo, e dunque "disponibile" a realizzare un'azione di questo genere.
 
Ovviamente i media occidentali sarebbero pronti ad accogliere la versione di Kiev. Putin sarebbe posto nuovamente sulla difensiva e, nello stesso tempo, il pogrom di Odessa verrebbe oscurato da una ripetizione in grande stile, ancora più sanguinosa, dove i morti tra la popolazione ucraina dovrebbero essere molto più numerosi. Insomma un altro pogrom, ma a parti invertite, con Mosca questa volta sul banco degl'imputati, mentre Kiev - anche in previsione di un infausto esito del voto del 25 maggio - potrebbe presentarsi all'Europa come vittima di un'aggressione esterna esplicita.
 
Ma per fare questa "diversione" occorrono comunque molte forze, e un livello di segretezza di qualche grado superiore a quello mostrato a Odessa dalle bande naziste. Non basterà attaccare al bavero degli assassini i "nastri di San Giorgio" a strisce nere e arancione che simboleggiano per tutti i russi la vittoria nella Grande Guerra Patriottica. Bisognerà mettere in campo qualcosa di simile a un piccolo esercito. Cosa non facilenell'Ucraina attuale, nemmeno con l'aiuto massiccio di "consiglieri" esperti come lo sono quelli della Cia.
 
Vedremo nei prossimi giorni quanto queste voci siano fondate. Tuttavia è evidente che il pogrom di Odessa è stato un pesante boomerang contro i golpisti di Kiev. Se il presidente di turno dell'Osce si è risolto a volare a Mosca per riprendere il dialogo con Putin; se Putin ha potuto cogliere l'occasione per invitare il Donbass a rinviare il referendum; se l'Europa ha dato diversi segni di ripensamento dopo avere constatato una piega degli eventi che diveniva sempre meno spiegabile al grande pubblico occidentale con la propaganda americana, tutto questo è stato anche - non soltanto - l'effetto dell'evidenza della mostruosità di cui sono capaci i nazisti ucraini e i loro fratelli gemelli ultra nazionalisti. Portare in Europa e nella Nato un tale alleato non è già più operazione facilmente digeribile.

Anche a Bruxelles, oltre che a Berlino, forse se ne sono accorti. E anche altre capitali europee hanno cominciato a porsi interrogativi che Varsavia, Tallin, Riga, Vilnius - tra i protagonisti del golpe di Kiev - hanno cercato di nascondere. Non saranno loro infatti a dover pagare la bolletta del gas nei prossimi mesi. E gl'interessi industriali dell'Europa potrebbero rivelarsi più importanti di quelli delle banche transnazionali che hanno forzato fino all'altro ieri la mano anche alla signora Merkel.

Tratto da: megachip.globalist.it

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