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eurolesioni-web(un contributo alla discussione nella II Assemblea Nazionale di Alternativa)
di Giulietto Chiesa - 2 gennaio 2012

Queste riflessioni intendono mettere a fuoco non tutti i temi di cui dovremo discutere, che sono tanti e assai ardui, ma quelli su cui, in prevalenza, ci siamo scambiati punti di vista e opinioni, in parecchi momenti anche assai distanti tra loro, in questi mesi densi di cambiamenti.  Naturalmente non pretendo che queste mie posizioni esauriscano la discussione e la concludano. Vorrei che la aprissero. Mettere a fuoco significa precisare i temi, in modo che il dibattito sia il più concreto possibile. Per cui mi scuso in anticipo se schematizzerò, quando mi pare che ciò aiuti tutti (non solo gli “esperti” tra di noi) a intervenire.

1 - Uscire dall’Europa? È un’idea circolata e che circola sia dentro che fuori Alternativa. Considero questa posizione errata , prima di tutto culturalmente, poi politicamente, infine strategicamente.

L’Unione Europea non è nata come la conosciamo oggi. E’ stata una grande e forte idea, nata dalle riflessioni sulla fine della guerra. Un’idea che, alle sue origini, era di pace. E che, se riportata alle sue opzioni originarie, può consentire la pace tra le nazioni e i popoli europei. La valenza culturale e politica di una parola d’ordine come quella di uscire dall’Europa è, a mio avviso, del tutto negativa. Lancia un messaggio regressivo, di chiusura provincialistica, di ristrettezza culturale, di isolazionismo. Alternativa non può fare propria una tale linea perché contraddirebbe se stessa nel momento in cui si propone come movimento transnazionale. Per unificare cosa e chi, se noi per primi ci ritiriamo nel nostro orticello nazionale?

Il fatto che lo sviluppo storico di questi decenni sia stato guidato dalle forze della globalizzazione anglosassone, e sia stato infine piegato (come avviene ora) agl’interessi del nuovo capitalismo finanziario mondiale, non cancella quanto detto sopra. Definisce, purtroppo, i contorni di una sconfitta politica delle forze di pace, di solidarietà e di cooperazione internazionale tra eguali, ma non si vede perché dovrebbe portare all’abbandono di quei principi e di quei progetti.

Sarebbe come dire che, poiché la democrazia liberale ha fallito, noi dovremmo abbandonare gli aspetti positivi della democrazia tout court.

Da qui una proposta precisa del tutto diversa, per non dire opposta: noi siamo per una Europa dei popoli, che va ri-costruita attraverso un nuovo processo democratico, dove si rispettino le differenze nazionali, culturali, linguistiche, storiche, le tradizioni e le esperienze, in ogni campo, mentre si procede, di comune accordo, per equilibrare, armonizzare, avvicinare, popoli, paesi e regioni, senza imposizioni, senza forzature.

È vero che ancora non esiste un “popolo europeo”, ma l’idea di costruirlo è un’idea alta. E prescinde perfino da una valutazione delle sue concrete possibilità attuali, dati i rapporti di forza esistenti. La tesi opposta è quella di restare a contemplare, ignorandone i pericoli, il mosaico storico di differenze, diffidenze e ostilità reciproche. Io credo che la nostra strada maestra è quella di proclamare la nostra intenzione di costruire un “popolo europeo”, cioè di individuare le forme e i modi di questa costruzione. Certo questo significa un’altra Europa, radicalmente diversa da quella in cui siamo ora.

Ma come è fatta questa strada maestra da scegliere? È quella di “abbattere l’Unione Europea”? Io non lo credo, prima di tutto perché su quella strada cammineremmo da soli. E, se fosse così, vorrebbe dire già che essa è sbagliata. Che si tratti di un processo storico che richiede tempo è evidente a chiunque. Che si respinga e rifiuti l’idea stessa di questo progetto è opzione estranea alle idee portanti di Alternativa.

Meno che mai mi sento di accettare l’idea che i paesi europei e i popoli, non abbiano la capacità politica, l’unità culturale, la solidarietà ideale necessaria per una lotta comune. Sappiamo che questa Europa è prevalentemente, elettoralmente, di destra. Ma per essa ha votato meno della metà degli elettori. Accettare questo dato come definitivo equivarrebbe ad accettare la narrazione mediatica corrente dell’Italia come un paese berlusconiano. Sappiamo che è stata una lettura falsa. Accettarla come prova che certifica il carattere reazionario e antidemocratico dei popoli europei, nel loro insieme - e che quindi non c’è altro da fare che liquidare e distruggere il processo intero, prendendo per un dato di fatto immodificabile che non ci siano legami fondamentali tra i popoli, né tra i loro ceti subalterni, che non c’è nemmeno il senso di un interesse e di un destino comuni - significa proporre ad Alternativa (e all’Italia) un destino autarchico che significa, prima di tutto una rinuncia a ogni possibilità, presente e futura, di combattere per un mutamento del mondo, che invece riteniamo ancora possibile. Perché senza alleati, senza dimensione di scala, senza una prospettiva che ci unisca a qualcuno, ogni lotta è inutile in linea di principio.

2 - La tesi, secondo cui nessuno dei programmi politici che Alternativa sostiene possono essere realizzati all’interno di questa Unione Europea, e che, quindi, si dovrebbe operare per uscirne, perfino facendo di questa idea la nostra bandiera, è quanto di più schematico si possa immaginare.

In base allo stesso criterio si dovrebbe proclamare la nostra uscita dall’Italia. Forse che qualcuno dei nostri obiettivi politici costituenti, fondatori, essenziali, può essere realizzato nell’Italia di oggi? Con quali forze politiche lo si potrebbe fare? Con quali movimenti (a giudicare dallo stato penoso in cui galleggiano le miriadi di “nicchie conviviali” che ci circondano)? Con quali alleanze? In quali tempi? E, per queste ragioni, dovremmo uscire dall’Italia?

Bisogna stare attenti a queste posizioni, che finiscono, certo involontariamente, per coincidere con quelle della Padania. Infatti loro dichiarano di volere uscire dall’Italia. Si sa come si comincia, ma non come si finisce. Ho visto di persona questi stessi processi nelle vicissitudini che hanno accompagnato e seguito il crollo dell’Unione Sovietica. Che Alternativa s’incammini su questa strada lo ritengo pernicioso, sia come contenuto che come contesto.

3 - Queste stesse considerazioni concernono la questione della “sovranità monetaria”. Io non ho dubbi che uno dei modi, degli strumenti, per opporsi alla imposizione tecnocratico-finanziaria proveniente dalla Banca Centrale Europea, nuovo centro reale del potere europeo delle banche, sia quello di riacquistare la sovranità monetaria. Ma di chi?

Esistono due sovranità monetarie teoricamente possibili: quella dell’Italia, scollegata da ogni connessione europea, e quella europea. A sua volta come perno per fare svolgere a quell’altra Europa che vogliamo un ruolo mondiale di pace, cioè all’interno di una battaglia globale per la salvezza del pianeta e dei sette miliardi di persone che lo popolano. Uscire dunque dall’euro per ritornare a una sovranità monetaria italiana? È questa la proposta verso cui Alternativa dovrebbe muoversi e caratterizzarsi agli occhi del paese (o di chi ci segue)?

Ci sono numerose obiezioni a questa eventualità. Le elenco in ordine sparso. Di quale sovranità si tratterebbe se uscissimo dall’euro e tornassimo alla lira? Quali sarebbero le chances di difendere gl’interessi e il tenore di vita dei milioni di persone che da questa decisione sarebbero coinvolti? Rispondere a questa domanda si deve. Rispondere significa, in primo luogo, valutare correttamente i rapporti di forza esistenti. Pensiamo davvero che saremmo noi (e quelli come noi, che sono pochi), a gestire questa sovranità riconquistata? Non vedo cosa ci dia questa certezza, che infatti non può esserci. Che interesse abbiamo noi a chiedere una sovranità che sarà gestita comunque da classi dirigenti ottuse, che ci sono ostili, che hanno il potere nelle loro mani, e che si troverebbero nella più ideale delle situazioni (cioè in piena autonomia e con le mani libere) per attuare le più selvagge repressioni contro gli oppositori, cioè anche contro di noi?

Se c’è stato un tema su cui l’Europa è andata più avanti della media degli stati che la compongono è stato sulle libertà civili. Solo su questo s’intende, mentre le libertà sociali sono state schiacciate dal Trattato di Lisbona. Ma isolandoci dall’Europa dei diritti civili, noi saremmo meno tutelati di quanto non lo siamo in Italia nemmeno ora che Berlusconi è stato (provvisoriamente forse) messo da parte. Altro conto è se questa Europa sia stata coerente su questo tema (non lo è stata affatto) , ma è un fatto che, per esempio, le uniche ostilità contro Berlusconi sui problemi dell’informazione siano venute dal Parlamento Europeo.

4 - Una sovranità monetaria italiana, isolata dal contesto europeo potrebbe essere realizzata a vantaggio delle classi lavoratrici in queste condizioni? Neanche a bocce ferme, cioè oggi e domani, ciò sarebbe probabile. Nel quadro di turbolenze mondiali che si annunciano io ritengo questa prospettiva addirittura senza senso. Aumenterebbe la forza contrattuale dell’Italia in Europa e nel mondo? La mia risposta è nettamente negativa. Una tale situazione porrebbe l’Italia, come paese, in condizioni di isolamento e di minorità, in tutte le direzioni.

Una Europa frazionata in 35 o 40 nazioni significherebbe la fine della possibilità di fare fronte comune ai colossi mondiali che agiscono sulla scena internazionale: a quelli vecchi, come gli Stati Uniti e la Russia, e a quelli nuovi, come la Cina, la Turchia, il Brasile, l’India, l’Indonesia. Sarebbe l’equivalente di una nuova forma di colonizzazione, o di protettorato. Peggio, di “auto-colonizzazione”. Ci troveremmo nella stessa situazione del Montenegro, o della Croazia. Come resistere di fronte a pressioni di ogni tipo, a ricatti, a minacce, economiche e perfino militari (che in un contesto mondiale come quello che si prevede, sarebbero, più che probabili, inevitabili)? Ho già assistito all’assenza totale di lungimiranza dei dirigenti sovietici, quando decisero di far crollare il paese senza rendersi conto della lunghissima serie di ripercussioni mondiali (quasi tutte imprevedibili e incontrollabili) cui avrebbero dato la stura.

Una tale posizione, se l’assumessimo, sarebbe reazionaria. Le forze dominanti, che ci sono ostili, potrebbero tranquillamente farla propria, se pensassero che conviene loro. Ma l’errore che commetteremmo sarebbe anche quello di ignorare che esistono, tra le forze dominanti, posizioni capaci di guardare a un’Europa autonoma rispetto alla stessa Alleanza Atlantica. Queste forze - che sono parte (il cui peso dobbiamo valutare) del sistema di potere della finanza - si stanno muovendo da tempo per evitare di rimanere avvinghiate alla barca pericolante degli Stati Uniti. Il rifiuto di Angela Merkel di andare alla guerra in Libia è un segnale netto che queste forze esistono. Ovvio che esse attentano al tenore di vita delle popolazioni, e che quindi ci sono nemiche, ma vogliono riservarsi un margine di manovra su scala internazionale, in attesa di eventi che in parte sono in grado di prevedere. Possiamo ignorare questo fatto? Io credo che uno dei precetti di realismo ai quali dovremmo attenerci è di fare un’analisi reale delle forze reali, in ogni frangente. Ignorare che esistono potenziali alleati temporanei, anche se velenosi, e procedere come se vivessimo nel vuoto pneumatico non è una linea politica. E’ un’avventatezza. 

5 - E siamo sicuri che la parola d’ordine “uscire dall’Europa e uscire dall’euro” sia così popolare come sembrano credere alcuni tra di noi? Io ho molti dubbi al riguardo. Abbiamo già molto discusso sul tema di chi sia il nostro target. E molto dovremo riflettere nella nostra Assemblea Nazionale. Ci siamo detti che il web non è il mondo, ma qualcuno ha detto che, al momento attuale, il web “è” il nostro mondo. In parte, forse, è così. E, per questa parte, io aggiungo “purtroppo”. Ma in altra parte non è stato così e così non è. In ogni caso sarà bene non dimenticare che le idee che corrono nel web “non sono affatto” quelle che circolano nel paese. Possiamo non tenerne conto? Io credo che, con una parola d’ordine come quella, noi ci mettiamo fuori dal contesto del paese con il quale dobbiamo dialogare. Altro che proporci come orientamento e guida! Già il nostro messaggio è difficile da comunicare. Vogliamo renderci odiosi? Non mi sembra saggio ragionare in questo modo.

In sintesi: partendo dall’analisi, tecnica - giusta - dei punti cardine che hanno portato alla perdita di sovranità nazionale (e monetaria), cioè l’analisi delle cause e conseguenze del Trattato di Maastricht, poi artatamente formalizzato nel Trattato di Lisbona, si introduce un errore concettuale fondamentale. Cioè pensare di uscire fuori dalla trappola invertendo il meccanismo tecnico. Ci hanno costretto dentro l’euro? Ebbene, noi usciamo (dichiariamo di voler uscire) dall’euro. Come se la questione fosse di ingegneria finanziaria, ovvero monetarista!

Ma è così? In realtà non è così e così non si va da nessuna parte, perché la “nostra” soluzione non può essere monetarista. L’uscita dall’euro, proclamata specularmente, è basata sull’illusione che il ritorno alla sovranità monetaria (condizione squisitamente politica) possa essere un effetto di una decisione tecnica. Ora, poiché l’introduzione dell’euro (disciplina sovranazionale imposta) fu il risultato di un concreto rapporto di forze politiche, è evidente che rovesciare la situazione significa rovesciare il rapporto di forze politico.

La proposta di cui sopra scambia l’effetto con la causa proponendo di sostituire l’effetto senza guardare alla causa.

Errore che implica molte conseguenze: non individuare il problema; non tenere conto dei rapporti di forze; porre Alternativa in rotta di collisione con larga parte dell’opinione pubblica, facendola identificare (incolpevole) con i responsabili del disastro che si annuncia; mettere Alternativa, almeno potenzialmente, al servizio di qualcuno dei contendenti che, dietro il paravento, stanno decidendo come uscire vincitori.

Per giunta le voci, circolanti sempre più insistentemente, che sarebbero in corso preparativi per il ritorno alle monete nazionali, ci avvertono che potremmo trovarci all’improvviso scavalcati dalle decisioni dei poteri finanziari che realizzano, a nostro discapito e sulle nostre teste, il ritorno alle monete nazionali.

Solo che - è sarà utile tenerlo presente, in ogni caso - non avremo alcuna nazionalizzazione della Banca Centrale Italiana. Avremo invece una Banca Centrale Italiana con i poteri attuali della Banca Centrale Europea, privata e, essa sì, sovrana, ma a nostro danno, sopra di noi, sopra la politica, contro di noi. Con lo scorno di avere gridato ai quattro venti che eravamo noi a volere quello che loro ci imporranno.

Possiamo riflettere su una sovranità monetaria europea, che passi per il ripudio di “Maastricht” e di “Lisbona”, per una nazionalizzazione della BCE, per l’inizio di un nuovo processo costituente europeo fondato sulla partecipazione dei popoli sovrani, da approvare attraverso referendum in ciascuno dei paesi membri?

Questa è una strada da esaminare con attenzione. Certo, come dice Franco Cardini, questo può apparire un progetto folle, la cui realizzabilità ha probabilità infime di esistenza. Tuttavia tutte le soluzioni a questa crisi (quelle che noi possiamo immaginare) sono scarsamente probabili. E dunque non ci resta che scegliere tra quelle che abbiano dignità e che siano fondate su alti valori morali e culturali.

6 - Strategicamente, un tale approccio, è ancora più sbagliato sul piano internazionale. Segnali numerosi indicano l’esistenza di un grande scontro tra l’imperialismo finanziario anglosassone (in questo momento Wall Street e la City) e quello tedesco (Berlino in primo luogo, insieme ai satelliti dell’Europa Orientale). Come sia rappresentabile la configurazione di questi due schieramenti e come lo siano i loro piani non è facile, al momento, decidere. Non abbiamo gli elementi conoscitivi essenziali per farlo. Certo è che decidere, semplicemente e avventatamente, di disinteressarci dell’esito di questo scontro è di una miopia e di un provincialismo inaccettabili.

Non propongo, naturalmente, per queste ragioni, di scegliere la Germania contro gli Stati Uniti. Questa sarebbe un banalizzazione totale, e fuori tempo, anche perché penso che non sia più utile esaminare i contorni delle collisioni in atto come puri e semplici scontri tra Stati.

Siamo di fronte a schieramenti inediti. Sarà bene studiarli con attenzione prima di trarre le conclusioni. In questo momento la linea tedesca, per esempio, è essenzialmente quella di “lacrime e sangue” che propone la Merkel e che Monti incarna. Anch’essa, io credo, conduce al collasso. Ma non si può non vedere che, in questa fase, i gruppi dirigenti tedeschi e in parte europei (situazione molto differenziata) non sono d’accordo con la linea di Wall Street e temono l’altro collasso, quello finanziario internazionale che è implicito nelle scelte insensate di Washington. Di fronte a questo quadro non ha alcun senso prendere posizioni che hanno un altissimo tasso di probabilità di essere ridicolizzate dagli sviluppi che altri stanno progettando. Siamo un laboratorio politico, dunque studiamo.

7 - Infine, su questo punto, c’è il pericolo di una guerra, anzi di alcune guerre, intermedie, nelle quali gli europei potranno essere trascinati, molti stati europei loro malgrado.

La Germania, sotto questo profilo, come ho già ricordato, è stato l’unico paese europeo a non avere accettato la guerra di Libia.

Esistono i margini per una politica di pace europea? Esistono i margini per una politica distensiva verso la Russia?

Non mi sfugge il fatto che potremmo trovarci di fronte all’alleanza tra un autoritarismo russo e un neo imperialismo autoritario e orwelliano tedesco. Ma ignorare questi elementi di analisi è cosa metodologicamente e politicamente, oltre che strategicamente, errata. Dunque, dove non sappiamo, studiamo.

Per tutte queste ragioni io ritengo che la parola d’ordine “uscire dall’Europa e dall’euro” sia sbagliata. Dobbiamo rovesciarla in positivo. Noi siamo per una Europa dei popoli, per un nuovo processo costituente europeo che restituisca agli stati la sovranità monetaria, che nazionalizzi la BCE e le banche centrali, che cancelli Maastricht e Lisbona, che si basi su referendum popolari in ogni stato. Noi siamo per non pagare questo debito e per l’introduzione - in una prima fase, d’emergenza - di un nuovo sistema di regole finanziarie che sottragga l’Europa al ricatto dell’attuale finanza mondiale e i popoli europei alla trappola di un debito illegale e iniquo.

A me pare che, su queste coordinate, Alternativa possa muoversi agevolmente, distinguersi, fare politica, trovare interlocutori a diversi livelli, produrre egemonia e consenso.

Giulietto Chiesa

Tratto da: megachip.info