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di Giorgio Bongiovanni - Video
Sulle recenti scarcerazioni di boss mafiosi, detenuti al 41 bis o in alta sicurezza, che per motivi di salute ed il rischio contagio Covid-19 hanno beneficiato della concessione dei domiciliari, si è acceso un forte dibattito politico-giuridico.
Magistrati come Nino Di Matteo, Sebastiano Ardita, Nicola Gratteri e Catello Maresca (per citarne alcuni) in questi giorni hanno espresso opinioni concordanti sulla gravità di questi provvedimenti.
In particolare proprio Di Matteo, membro indipendente del Csm, commentando la scarcerazione di un boss detenuto al 41 bis come Francesco Bonura, evidenziava il rischio che certi episodi possano essere letti come “un segnale tremendo che rischia di apparire come un cedimento dello Stato di fronte al ricatto delle organizzazioni criminali che si è concretizzato con le violenze e le proteste delle settimane scorse nelle carceri di tutta Italia”.
Urge, dunque, un intervento perché, così come ha detto il consigliere togato del Csm Sebastiano Ardita, “l’umanità dell’esperienza penitenziaria non può essere messa in discussione, ma finché esiste Cosa nostra è necessario il 41bis”.
Diamo atto che nei giorni scorsi il ministro della giustizia, Alfonso Bonafede, ha annunciato un provvedimento, che dovrebbe essere discusso in Consiglio dei ministri giovedì, con cui si punta a coinvolgere la Procura nazionale antimafia e antiterrorismo per evitare, da ora in poi, nuovi casi simili a quello Zagaria, Bonura o affini.
Va ricordato che il tema delle carceri, in particolare con l'abolizione del carcere duro e dell'ergastolo, era uno degli obiettivi principali che i boss di Cosa nostra avevano con la trattativa Stato-mafia, condotta a colpi di bombe.
Su quella stagione vi è stato un processo ed una sentenza. La Corte d'Assise di Palermo, presieduta da Alfredo Montalto, in primo grado, ha condannato boss mafiosi, ufficiali del Ros e politici. In quel dibattimento vi furono testimonianze autorevoli come quelle dell’ex ministro della giustizia Claudio Martelli che aveva apertamente parlato di una “dialettica bombe-concessioni” che aveva portato ad un “cedimento unilaterale da parte dello Stato”. Oppure le parole dell’ex Presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano. Ascoltato in un’udienza straordinaria al Quirinale, il 28 ottobre 2014, aveva detto che le bombe del '92 e '93 furono un “aut-aut” allo Stato, un “ricatto a scopo destabilizzante di tutto il sistema”.
E pensare che prima di testimoniare l'allora Capo dello Stato aveva manifestato diverse resistenze a cominciare dal conflitto di attribuzione senza precedenti contro la Procura di Palermo per la nota vicenda delle intercettazioni tra lui e l'allora indagato Nicola Mancino (assolto in primo grado). Telefonate che i pm hanno sempre definito irrilevanti e che sono state poi distrutte dopo la decisione della Consulta.
Alcuni lettori, recentemente, sono tornati a chiederci di ricordare quella scandalosa vicenda.
Il nostro editorialista, il giornalista e scrittore Saverio Lodato, più volte ha messo in evidenza certi aspetti. Nel luglio 2013, intervenendo nel tradizionale convegno che abbiamo organizzato come ANTIMAFIADuemila in memoria di Paolo Borsellino e gli agenti di scorta, aveva ricordato quell'opposizione che veniva direttamente dal Colle. E lo stesso aveva ribadito durante la trasmissione di La7, Otto e mezzo, durante la puntata del 28 ottobre 2014, post-testimonianza Quirinalizia, in un accesissimo confronto con l'ex sindaco di Venezia, Massimo Cacciari. Interventi che riproponiamo ai nostri lettori per comprendere quanto sia scottante e scomodo il tema della trattativa Stato-Mafia. Un argomento che molti preferiscono non affrontare, nonostante le sentenze dicano chiaramente che "trattativa ci fu". "La lotta alla mafia è una partita truccata - diceva Lodato nel 2013 -. La politica e la mafia, alla luce del sole, si mescolano fra di loro. Tutti gli italiani ormai lo hanno capito e lo sanno. Ma a nessuno è consentito aggredire il rapporto fra la mafia, la politica, gli affari. A nessuno è consentito indagare, cercare la verità, processare a far di tutto per arrivare a sentenza di condanna. Il Potere non lo vuole". Lodato concludeva il suo intervento con una promessa: "Combatteremo sino alla fine nella speranza che gli assassini di mafia e gli assassini di Stato di Paolo Borsellino vengano un giorno assicurati alla giustizia insieme ai mandanti che li ispirano. Ce la faremo? E chi può dirlo? Ma una cosa è certa: in Italia c'è posto per tutti. Anche per sessanta milioni di italiani. Dei quali, non dimentichiamolo, fa parte Papa Francesco. Giuristi, storici, sociologi, giornalisti, uomini politici, ex uomini di Stato, capi di Stato, se ne facciano una ragione". Una promessa che, a guardar bene, vale ancora oggi.

Foto originali © Imagoeconomica/Paolo Bassani