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di Giorgio Bongiovanni

Sette febbraio 2011. L'Italia viene scossa dal dramma della morte di quattro bambini Rom, Raul, di 4 anni, Fernando, di 5, Patrizia, di 8, e Sebastian, di 11, uccisi dalle fiamme di un incendio divampato a causa di una scintilla partita dal tizzone di un braciere all'interno della baracca in cui si trovavano. Erano soli, rannicchiati al freddo, e colpiti nel sonno. Il giorno dopo, intervenendo su Radio 24, Tiziana Maiolo, al tempo portavoce milanese di Futuro e Libertà (il partito di Gianfranco Fini), disse testuali parole: "E' più facile educare un cane di un rom. I cagnolini e i bambini si possono educare, per i rom, è più facile educare il mio cagnolino. I bambini sono come i cani: li puoi educare. Quelli fanno la pipì sui muri: il mio cagnolino non fa la pipì sui muri!". La stessa Maiolo, il giorno dopo, rassegnò le dimissioni da portavoce milanese di Fli, scusandosi per quelle frasi così indecenti ed infelici.
Anni dopo, cambia l'oggetto del tema, ma resta la stessa tracotante violenza delle parole.
Nel mirino della giornalista ed ex politica dai mille volti (passata dall'estrema sinistra, ai Radicali, alla destra finiana, fino a divenire paladina di Berlusconi e di quel partito fondato da un pregiudicato per mafia come Marcello Dell'Utri) è finito il magistrato, consigliere togato del Csm, Nino Di Matteo.
Un articolo intriso di veleno, pubblicato sulle pagine del Riformista (protagonista da tempo di veri e propri attacchi contro i pm antimafia) per fare "gli auguri di compleanno" al magistrato, nato il 26 aprile, con tante "candeline" di insulti.
Noi non abbiamo niente di personale contro la signora Maiolo, ma non possiamo rimanere silenti di fronte a questa ennesima sequela di offese e menzogne che vengono impresse su carta contro i magistrati.
Un "disco" continuo contro Nicola Gratteri, Nino Di Matteo, Roberto Scarpinato, i pm della Trattativa Stato-Mafia di primo e secondo grado, ex magistrati come Gian Carlo Caselli o Antonio Ingroia.
In queste settimane, in cui il Paese sta attraversando l'emergenza Coronavirus, il dibattito si è fatto più forte sul tema delle scarcerazioni dei boss mafiosi, degli stragisti, di tutte quelle figure che hanno continuamente attentato alla democrazia del nostro Paese a colpi di bombe. Un vero e proprio schiaffo in faccia a tante vittime di familiari vittime di mafia e ai cittadini onesti.
Abbiamo visto come contro quei magistrati che per primi hanno lanciato un allarme sulle scarcerazioni, avvenute temporalmente dopo gli scontri in svariate istituti penitenziari d'Italia, si sia sollevato un vero polverone.
Questo clima d'odio contro la magistratura, a nostro avviso, non è affatto casuale.
E non è nemmeno casuale che proprio Di Matteo venga colpito in questo momento. Vale la pena ricordare che il pm è stato oggetto di una condanna a morte, mai revocata, da parte del Capo dei Capi Totò Riina e del superlatitante Matteo Messina Denaro, con il tritolo che, secondo quanto dichiarato dal boss, oggi pentito, Vito Galatolo, era giunto fino al Capoluogo siciliano. Un progetto di attentato che, come scritto dai pm nisseni nel decreto di archiviazione d'indagine, “è ancora in corso”. 
Nei suoi confronti, negli ultimi giorni, vi è stato un vero e proprio bombardamento da parte di diversi Professionisti e vecchi giornalisti, ex politici in seno a quel partito (Forza Italia) fondato da un uomo condannato per mafia (Marcello Dell'Utri) e da uno che, come è scritto nelle sentenze, la mafia pagava (Silvio Berlusconi).

Senza sosta
Nei giorni scorsi era stato il Presidente dell'Unione camere penali, Gian Domenico Caiazza, a gridare allo scandalo per alcune parole dette dal consigliere togato del Csm, "reo" di aver commentato la scarcerazione del boss Bonura dal 41 bis, spiegando che questo atto possa essere letto come "un segnale tremendo che rischia di apparire come un cedimento dello Stato di fronte al ricatto delle organizzazioni criminali che si è concretizzato con le violenze e le proteste delle settimane scorse nelle carceri di tutta Italia". Non è raro (e in questo caso non mi riferisco allo specifico intervento del Presidente Caiazzo) che dietro a certi interventi ed attacchi vi siano specifici ambienti di potere, criminale, paracriminale o massonico che hanno il chiaro intento di squalificare non solo un'intera categoria, ma anche il singolo uomo.
Un "modus operandi" che abbiamo visto ripetersi nel corso della nostra storia sin dai tempi di Giovanni Falcone e Paolo Borsellino.
In diversi processi il collaboratore di giustizia Antonino Giuffrè ha raccontato che per quanto riguarda gli omicidi deliberati alla fine del 1991, contro politici, magistrati e soggetti delle istituzioni "vi era un lavoro di isolamento nelle vittime disegnate e vi era un lavoro di delegittimazione. Quando si pensava che il discorso era maturo, ad esempio su Falcone e Borsellino, si agiva". Prima di agire, però, vi erano delle "tastate di polso".
L'isolamento, dunque, era un passaggio chiave. Ed è quello che sta accadendo anche tramite certi attacchi che vanno oltre il legittimo diritto di critica, fino a scendere sul piano personale.
Prendendo spunto dalla vigilia di compleanno l'articolo de Il Riformista è ricolmo di disprezzo ed insulti. Si racconta una storia mistificata nel momento in cui, tra le righe, si accusa il magistrato di aver avuto responsabilità sulla "costruzione a tavolino di un falso pentito di mafia", Vincenzo Scarantino, quando è noto che le indagini in cui "è stato vestito il pupo" sono quelle che si sviluppano tra il 1992 ed il 1994.
Si usa la rabbia di Fiammetta Borsellino per inveire contro il magistrato addirittura arrivando ad affermare che "il processo-farsa è andato avanti con la sua presenza fino al 2017, fino a quando non i giudici, ma un 'pentito' di nome Spatuzza gli ha risolto il caso".
Già in altre occasioni abbiamo spiegato su ANTIMAFIADuemila perché Di Matteo non ha nulla a che fare con il depistaggio. Ricordiamo solo che il pm palermitano si occupò solo marginalmente delle indagini poi scaturite nel cosiddetto “Borsellino bis”, dove entrò a dibattimento già avviato, mentre istruì completamente il cosiddetto “Borsellino ter”, il troncone dedicato all’accertamento delle responsabilità interne ed esterne a Cosa Nostra che ha portato alla condanna definitiva di boss del calibro di Giuseppe Calò, Raffaele Ganci, Michelangelo La Barbera, Cristoforo Cannella, Filippo Graviano, Domenico Ganci, Salvatore Biondo (classe '55) e Salvatore Biondo (classe '56). Un processo che non è stato investito dalla "revisione" che ha riguardato l'"uno" e il "bis".
Forse la Maiolo dovrebbe rileggere le carte. Dovrebbe anche leggere le 5000 pagine di sentenza della Corte d'Assise di Palermo sulla trattativa Stato-Mafia, anziché fermarsi alle 500 della sentenza Mannino che, vale la pena ricordarlo, è stato assolto per "non aver commesso il fatto" e non perché "il fatto non sussiste". Già che c'è dovrebbe anche rileggere la sentenza Dell'Utri. Nelle motivazioni della sentenza di condanna a sette anni per concorso esterno si legge chiaramente che per diciotto anni, dal 1974 al 1992, l’ex senatore è stato il garante “decisivo” dell'accordo tra Berlusconi e Cosa nostra con un ruolo di “rilievo per entrambe le parti”.
Ma cosa c'è dietro questi articoli continui che attaccano i pm in questo momento così difficile?
A nostro parere si tratta di interventi non casuali, ma causali.
Non è solo perché questi magistrati hanno evidenziato come, approfittando dell'emergenza Coronavirus, si sia aperto un varco per i boss all'interno delle carceri italiane (a proposito accogliamo favorevolmente, sperando che sia incisivo, l'intervento del ministro della Giustizia sul Dap che starebbe predisponendo una nuova circolare secondo cui le istanze, in arrivo alla magistratura di sorveglianza, di quei detenuti appartenenti al circuito dell'alta sicurezza o sottoposti al 41 bis dovranno essere trasmesse alla procura nazionale antimafia e a quella distrettuale).
Vi è un legittimo sospetto che si stia approfittando dell'emergenza Coronavirus per riproporre vecchi argomenti (vedi questione 41 bis) e delegittimare i magistrati in prima linea contro la mafia e quei poteri forti ad essa alleati.
Una vecchia metodologia, purtroppo già vista tante volte, che come abbiamo visto nel corso della nostra storia ha portato all'isolamento, alla delegittimazione e agli attentati di Stato. "A volte ritornano" era il film del 1991, basato sul racconto di Stephen King che dà il titolo alla raccolta omonima. Non vorremmo che dopo quasi ventotto anni, dopo le stragi di Capaci, via d'Amelio, Firenze, Roma e Milano, questi fantasmi e mostri ritornassero.

Foto © Imagoeconomica

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