Questo sito utilizza cookie tecnici e di terze parti per migliorare la navigazione degli utenti e per raccogliere informazioni sull’uso del sito stesso. Per i dettagli o per disattivare i cookie consulta la nostra cookie policy. Chiudendo questo banner, scorrendo questa pagina o cliccando qualunque link del sito acconsenti all’uso dei cookie.

di Giorgio Bongiovanni
"La vera pericolosità criminale di un sodalizio mafioso non la si misura tanto dal suo potenziale militare, che pure costituisce una riserva strategica da utilizzare nei casi, peraltro ormai sempre meno frequenti, di contrasto con gli altri clan per la supremazia nel territorio, quanto dalla sua rete di collegamenti con i poteri forti all'interno delle istituzioni e della società civile, che creano una barriera protettiva che consente alla compagine criminale di diminuire l'incisività dell'azione di contrasto dello Stato e di sviluppare la propria vocazione ad appropriarsi delle risorse pubbliche distogliendole dalle finalità di pubblico interesse. Sotto questo profilo indubbiamente la famiglia catanese di Cosa nostra può ancora vantare una posizione di preminenza in quanto gestisce con gli appartenenti alla famiglia di sangue dei Santapaola ed Ercolano le relazioni più importanti".
Con queste parole il Procuratore capo di Catania Carmelo Zuccaro, nell'intervista rilasciata al nostro giornale appena un anno fa, descriveva la forza dello storico clan catanese evidenziando quella grande capacità di intessere relazioni di altissimo livello.
Una "mafia evoluta", come emerso da diverse indagini e dalle dichiarazioni di collaboratori di giustizia come Biagio Grasso, ex imprenditore nel campo dell'edilizia che da vittima è divenuto una persona vicina alla mafia di Barcellona Pozzo di Gotto ed anche uomo di fiducia del nipote di Nitto Santapaola, Enzo Romeo.
Sentito al processo 'Ndrangheta stragista, nell'aprile scorso, aveva raccontato della "metodologia diversa" rispetto ad altre famiglie criminali. "I Santapaola difficilmente esercitavano la forza intimidatoria - ha raccontato il pentito - se non strettamente necessario. Ed anche la gestione dei rapporti con gli ambienti politici e di altre associazioni sono diversi. Con chi eravamo in contatto? Il gruppo Santapaola aveva rapporti con amministratori, personaggi delle forze dell'ordine, avevamo talpe all'interno del tribunale, eravamo in contatto con investigatori, con gente della massoneria e a livello nazionale con persone che avevano agganci con la Camera dei Deputati".
Anche per questo motivo la notizia divulgata dal Presidente della Commissione regionale antimafia, Claudio Fava che il killer del padre, Aldo Ercolano, nipote prediletto del boss Vincenzo "Nitto" Santapaola, non è più detenuto al 41 bis è una notizia grave.
Gli investigatori lo considerano come il vero riferimento attuale della mafia catanese.
E il dato emerge dalla recentissima operazione "Samael". Indagini, quelle del Ros di Catania coordinate dalla Procura, che hanno evidenziato l'esistenza di un patto mafioso risalente nel tempo, tra Francesco Mangion, detto Ciuzzu, “Aldo”, cioè Aldo Ercolano e “u Ziu”: Nitto Santapaola.

caruana dario 610

Il pentito Dario Caruana


E pensare che i rapporti di forza all'interno della stessa famiglia Santapaola non sono sempre stati sereni. Ne ha parlato qualche mese fa il neo collaboratore di giustizia, Dario Caruana, descrivendo la faida interna, nel 2004, tra i membri delle famiglie Santapaola ed Ercolano.
Solo vicende interne per il controllo del potere mentre i capi si trovavano in carcere?
Possibile, anche se non ci abbandona il sospetto che, in fondo, i motivi di acredine possano essere ancora più antichi e toccano da vicino il vero vertice della mafia di Catania: Nitto Santapaola.
Il boss catanese è uno dei conoscitori dei segreti sui mandanti esterni alle stragi, oltre a vantare legami con personaggi appartenenti ad ambienti di potere quali i quattroCavalieri dell'Apocalisse Mafiosa” - per usare le parole di Pippo Fava: Francesco Finocchiaro, Gaetano Graci, Carmelo Costanzo e Mario Rendo - con soggetti di spicco della massoneria e persino amicizie interne alla magistratura.
Dal 1982, quando fu inseguito da un mandato di cattura per l'omicidio del generale Carlo Alberto dalla Chiesa, ucciso assieme alla moglie Emanuela Setti Carraro e l'agente Domenico Russo, al 1993 ha goduto di una latitanza super protetta.
Noi ricordiamo la testimonianza di Francesco Pattarino, pentito siracusano deceduto nel 2007 in circostanze misteriose in un incidente stradale nel maceratese. Lui aveva riferito che Santapaola aveva trovato rifugio a casa di sua madre, amante del braccio destro di Nitto, Francesco Mangion, e che una volta si era recato in quel luogo a bordo di un'auto della polizia dal lampeggiante acceso.
E le "protezioni eccellenti" sarebbero continuate anche tempo dopo, in provincia di Messina, quando riuscì a darsi alla fuga in quel di Terme Vigliatore, dove la sua voce fu registrata dai carabinieri.
Ad un certo punto, però, Santapaola, che aveva appoggiato l'ascesa dei "corleonesi" nella guerra di mafia, avrebbe iniziato a non condividere il progetto strategia di attacco frontale contro lo Stato voluto da Riina.
Santapaola, a detta di diversi pentiti, sarebbe stato più vicino alle idee di Provenzano. I due, pur non opponendosi agli attentati del 1992-1993 (tanto che furono condannati come mandanti) furono favorevoli ad una linea "trattativista".
A causa di quei tentennamenti espressi dallo "zio Nitto", Riina decise di appoggiare l'ascesa di Santo Mazzei, “u' carcagnusi”, appartenente a un'organizzazione criminale non mafiosa e soggetto inviso a Santapaola, addirittura affiliandolo a Cosa nostra.
In quel periodo Santapaola sceglierà di defilarsi, sempre mantenendo la "regia" delle decisioni, chiedendo di nominare il fratello maggiore Salvatore capomandamento di Catania.
A dare un ulteriore segnale della caduta dell'astro di Santapaola era stato un ex boss catanese che, dal carcere aveva segnalato che da un momento all'altro sarebbe stato ucciso il padrino catanese.
Ed è forse in questa vicenda che si inserirebbe l'arresto di Santapaola, avvenuto nel 1993 nelle campagne di Mazzarrone, grazie alle indicazioni di un fedelissimo di Santapaola, Marcello D’Agata, che avrebbe dato indicazioni ad Antonio Manganelli, allora capo dello Sco (il Servizio centrale operativo della polizia) indicando il luogo dove Nitto Santapaola si nascondeva per farlo arrestare.
Come è stato possibile?
Forse per scongiurare il pericolo dell'omicidio voluto da Riina? Certo è che al tempo Aldo Ercolano era vicino alle idee di Riina.
E qualche tempo dopo vi sarà l'assassinio della moglie di Nitto, Carmela Minniti.
Ad eseguire l'omicidio fu Giuseppe Ferone appartenente a un'organizzazione criminale catanese esterna a Cosa nostra. Dopo il suo arresto, Ferone decise di collaborare con la giustizia, ma in quel 1° settembre del '95, dopo essere “sfuggito” al controllo del Servizio Centrale di Protezione per recarsi a Catania - luogo a lui proibito dal programma dei collaboratori - vestito da poliziotto, bussò alla porta della Minniti per poi colpirla in pieno volto.
Una vicenda inquietante che solleva una serie di interrogativi.
Come è possibile che un collaboratore di giustizia all'improvviso getti alle ortiche il contratto da lui stipulato con le istituzioni? Può essere stato quello un omicidio di Stato?
Un delitto di quella portata doveva necessariamente avere degli appoggi specie se, come è dimostrato dagli atti, ancora oggi la famiglia dei Santapaola-Ercolano è quella predominante a Catania.
Dunque quel delitto è un messaggio dato non ad una famiglia caduta, ma ad un capomafia nella pienezza della sua autorità che, nonostante la gravità dell'accaduto avrà una reazione per certi versi inspiegabile.
In uno dei processi a suo carico il boss, nel momento delle dichiarazioni spontanee, dichiarò di perdonare il killer della moglie e di volere la pace.
Secondo alcune fonti esiste un retroscena a questa “dichiarazione di pace” da parte del boss catanese, sul fatto che Santapaola avrebbe contattato una potente personalità religiosa etnea, paventando la possibilità di una sua collaborazione con la giustizia.
Una collaborazione che sarebbe potuta essere prorompente a tutti i livelli del Sistema criminale e non solo.
Possibile che l'uccisione della moglie del capomafia catanese fosse un "invito" a non collaborare che poi fu accolto dal boss con il "perdono dato al killer"?
Su queste vicende non si è mai riusciti a fare completa chiarezza.
L'unico che potrebbe farla, forse, è proprio lo stesso Santapaola. Ma se continueranno ad essere inviati "segnali di distensione" con il 41 bis tolto a pericolosi boss si può star certi che il tempo di un suo pentimento, come di boss dal calibro di Biondino, Madonia o Graviano, sarà sempre più lontano.

ARTICOLI CORRELATI

Il killer di Pippo Fava, Aldo Ercolano, non è più al 41 bis

La guerra di mafia catanese nelle parole dell'ex killer Dario Caruana

Il boss Nitto Santapaola

ANTIMAFIADuemila
Associazione Culturale Falcone e Borsellino
Via Molino I°, 1824 - 63811 Sant'Elpidio a Mare (FM) - P. iva 01734340449
Testata giornalistica iscritta presso il Tribunale di Fermo n.032000 del 15/03/2000
Privacy e Cookie policy

Stock Photos provided by our partner Depositphotos