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di Giorgio Bongiovanni
Ma la sentenza parla chiaro

Domenica il magistrato Nino Di Matteo, intervenuto al programma di Lucia Annunziata, “Mezz’ora in più”, andato in onda su Rai3, ancora una volta ha ricordato a tutti gli italiani che il senatore di Forza Italia, Marcello Dell'Utri, braccio destro di Silvio Berlusconi e co fondatore di Forza Italia, è stato mediatore di un patto tra le famiglie mafiose e il Cavaliere, durato almeno fino al 1992. Un dato che non è frutto dell'immaginazione ma è sancito da una sentenza definitiva della Corte di Cassazione che ha condannato a sette anni di carcere Dell'Utri per concorso esterno in associazione mafiosa. Inoltre Di Matteo, oggi consigliere del Consiglio superiore della magistratura ed in passato protagonista come pm di importanti processi sulle stragi e sulla trattativa Stato-mafia, ha ricordato proprio come nella sentenza di primo grado di quest'ultimo processo (dove Dell'Utri, imputato assieme a mafiosi ed ufficiali dell'Arma, è stato condannato a 12 anni per attentato a corpo politico dello Stato), si dice che l'ex senatore abbia svolto il ruolo di intermediario tra Berlusconi e la mafia anche nel 1994, ovvero quando l'imprenditore era divenuto Premier.
E ancora ha sottolineato come sia necessario indagare sulla "possibilità che ci sia la responsabilità di ambienti e persone che non sono mafiosi. Perché sulle stragi si sa molto, ma non si sa tutto" e che, purtroppo, "questo Paese sconta un deficit di conoscenza e memoria su certi fatti”. Infatti viene "continuamente ignorato dalla gran parte dell’opinione pubblica e anche da una parte della politica. Quando si parla di ‘accuse senza straccio di prova’, c’è una base di sentenze che viene dimenticata. E le indagini sono doverose”.
Alla luce di queste affermazioni il solito "clan forzista", da Mulé a Gasparri, passando per la Gelmini, Schifani e Ruggieri, è tornato a dimenarsi gridando allo "scandalo", alla "mitomania", alla "vergognosa propaganda", alle "accuse infondate".
Reazioni violente, velenose, grottesche ed anche ridicole da parte di parlamentari appartenenti soprattutto alla compagine di Forza Italia che, piaccia o non piaccia lo dicono le sentenze, è un partito che è stato fondato da un uomo vicino alla mafia.
E' tutto scritto nelle sentenze. Quando certi personaggi attaccano in maniera violenta e minacciosa magistrati come Nino Di Matteo, che non ha fatto altro che ricordarle, si sta usando quel medesimo linguaggio negazionista che anche capimafia come Totò Riina usavano per negare l'esistenza di Cosa nostra o allontanare da sé ogni accusa che lo riguardava.
Ai magistrati che lo interrogavano diceva di essere un "ragioniere" e di aver "tirato a campare" facendo le buste paga per muratori ed impiegati di una impresa edile.
Così oggi i forzisti negazionisti dicono che il loro leader non ha nulla a che fare con la mafia.
Poco importa, a loro modo di vedere, se ci sono sentenze che parlano. Poco importa se vi sono ulteriori elementi che hanno portato alla riapertura a Firenze delle indagini sui mandanti esterni delle stragi del 1993.
A loro non interessa. Nella loro arrogante, grottesca e ridicola spocchia difendono fino all'ultimo il leader di un partito che è giunto ai titoli di coda. E probabilmente lo fanno proprio per evitare la propria estinzione dallo scenario politico con un partito che è giunto ai suoi minimi storici dopo aver governato per vent'anni il Paese.
Eppure in molti stanno abbandonando Berlusconi. E se in passato, come hanno dichiarato decine e decine di collaboratori di giustizia, Cosa nostra si è spesa in prima persona votando Forza Italia, oggi si potrebbe dire che anche la stessa mafia non vuole avere a che fare con l'ex Premier. Il legittimo sospetto sorge nel momento in cui si leggono le dichiarazioni del boss di Brancaccio Giuseppe Graviano, intercettato in carcere, laddove non fa riferimento solo alla "cortesia" che gli fu chiesta ai tempi delle stragi.
"Al Signor Crasto gli faccio fare la mala vecchiaia", diceva il capomafia stragista in un altro passaggio del colloquio del 2016 con la dama di compagnia Adinolfi in cui, secondo gli inquirenti, si fa riferimento a Berlusconi. "Trenta anni fa mi sono seduto con te, 25 anni fa mi sono seduto con te, giusto? Ti ho portato benessere, 24 anni fa mi arrestano e tu cominci a pugnalarmi". E ancora: "Tu lo sai che mi sono fatto 24 anni, ho la famiglia distrutta ... alle buttane glieli dà i soldi ogni mese. Io ti ho aspettato fino adesso ... e tu mi stai facendo morire in galera senza che io abbia fatto niente". "Ma pezzo di crasto - continuava ancora lo sfogo di Graviano - ma vagli a dire come sei al governo. Che hai fatto cose vergognose, ingiuste...".
Ogni italiano onesto, leggendo queste conversazioni che si aggiungono alle dichiarazioni di pentiti ed altre indagini, dovrebbe chiedere a gran voce che sia fatta luce su fatti che non sono "vecchie storie" ma punti oscuri che hanno segnato la storia della nostra Repubblica.
Ma evidentemente a chi si trova sul baratro della propria storia politica queste cose non hanno valore.
Sicuramente non interessa al ridicolo Maurizio Gasparri che, dopo tante giravolte politiche ed aver transitato dall'orientamento post fascista del Fronte della Gioventù all'Msi e passando da Alleanza nazionale al Pdl, è oggi senatore di Forza Italia che continua a lanciare vergognosi strali e difendere personaggi "sinistri" come il generale Mario Mori (condannato in primo grado per la trattativa Stato-mafia) sul cui operato persino le sentenze di assoluzione nei processi che lo hanno riguardato hanno gettato pesanti ombre.
Ma evidentemente ai forzisti non piace leggere le sentenze. La speranza è che prima o poi le centinaia di migliaia di elettori che ancora li votano sappiano aprire gli occhi e, in maniera democratica, sanciscano la fine di un partito che, prima o poi i suoi appartenenti dovranno prenderne atto, tra i suoi padrini fondatori ha avuto un soggetto filo mafioso.

Foto originale © Imagoeconomica

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