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di Giorgio Bongiovanni
In aula respinta la richiesta d'arresto del Senatore

Certi "amori" non finiscono mai. E alla prima "prova" sul piano dell'etica e della giustizia il neonato governo "giallorosso" sbatte contro il muro innalzato dai "franchi tiratori" PD (o “PD-meno-elle” così come veniva chiamato ai tempi di Renzi-premier). Il "Patto del Nazareno" che fu stretto al tempo è ancora solido quando si tratta di esprimersi su certi temi e il salvataggio dagli arresti domiciliari di Diego Sozzani (deputato di Forza Italia finito sotto indagine a Milano nell’inchiesta “Mensa dei poveri” su mazzette e appalti truccati in Lombardia) ha mostrato il volto delle grandi meretrici presenti all'interno del Partito democratico. Nonostante la Giunta per le autorizzazioni della Camera si fosse espressa in maniera positiva alla richiesta di arresto del Gip di Milano, 46 deputati PD sono andati contro l'indicazione di partito e, sfruttando il voto segreto, si sono uniti a Forza Italia e Lega, negando persino l'autorizzazione all'utilizzo delle intercettazioni in cui il deputato parla chiaramente della richiesta di tangenti.
Prima delle elezioni del 2018, a dialogo con l'imprenditore Daniele D'Alfonso diceva: “L’eventuale tuo aiuto quanto potrebbe essere? La cifra finale?”. E poi, una volta eletto, parlando con Nino Caianiello, altro forzista, aggiungeva: “Sto cercando i soldi perché è una fatica! 15 anni fa qualcuno veniva lui di sua sponte da me a dirmi ‘se entri in quel partito, che posso fare?’. Adesso non si può più mettere le mani… mi inginocchio per chiedere 3 lire! 3mila, 5mila, 10mila, quando avevo bisogno 100mila!”.
Parole che si commentano da sole.
Come dobbiamo leggere, dunque, il "No" all'arresto ed all'utilizzo di queste conversazioni espresso alla Camera?
Il primo "messaggio" è che il Governo Conte potrà sempre andar a sbattere contro "ricatti" di questo tipo e la nascita del nuovo gruppo capeggiato da Matteo Renzi rappresenta sicuramente un ulteriore elemento di prova.
Ma il voto che ha negato l'arresto di Sozzani testimonia, nella migliore delle ipotesi, la presenza, all'interno del PD, di un garantismo da far invidia a quello della prima era-Berlusconi. Nella peggiore un istinto complice e connivente rispetto a fenomeni gravi come corruzione e mafia.
Non è un caso se nessun partito ha mai posto come centrale il tema e abbiamo già scritto come, anche in questo neonato governo Cinque Stelle-PD, la lotta alla mafia sia completamente assente dall'agenda politica.
Quanto è avvenuto mercoledì è un ulteriore segnale.
Speriamo che il segretario del PD Nicola Zingaretti, che riteniamo una persona seria, sappia trovare il coraggio di fare pulizia all'interno del PD senza imitare quella nefasta metodologia democristiana che metteva sotto il tappeto nefandezze e scandali nonostante vi fossero anche fior di indagati per mafia all'interno del partito. E la storia del Parlamento italiano, purtroppo, negli anni ne ha visti diversi di indagati e condannati che si sono seduti sugli scranni. Personaggi che dovrebbero essere allontanati definitivamente, senza se e senza ma. Per questo siamo d'accordo, per una volta, con il leader politico del Movimento Cinque Stelle Luigi Di Maio che auspica l'abolizione del voto segreto in aula. Ci si deve assumere le responsabilità delle proprie azioni. E se anche questo governo proseguirà su strade che strizzano l'occhio a opportunisti, mafiosi, corrotti e corruttori avrà un destino già segnato che lo porterà verso un'inesorabile caduta.

Foto © Imagoeconomica

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