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La Cupola di Cosa nostra si riuniva a Baida
di Giorgio Bongiovanni

“Nulla si crea, nulla si distrugge, tutto si trasforma”. E' questo il principio che regola i fenomeni reali postulato dal famoso chimico, biologo, filosofo del ‘700 Antoine-Laurent Lavoisier. Un principio che può essere trasferito anche guardando a fenomeni come quello mafioso, capaci di resistere da oltre 150 anni, nonostante i continui arresti, le inchieste, le operazioni ed i processi che, di volta in volta, disarticolano le varie organizzazioni criminali. Cosa nostra, Camorra, 'Ndrangheta e Sacra Corona Unita, a cui si aggiungono le varie mafie straniere, riescono a mettere in piedi un giro d’affari pari, secondo le stime, a circa 150 miliardi di euro l’anno. Quattro volte una manovra finanziaria di un qualsiasi Governo.
Numeri che manifestano la forza della Mafia di fronte ad uno Stato incapace di sferrare il colpo decisivo per debellarla. Lo scorso marzo il Procuratore generale di Palermo, Roberto Scarpinato, ha spiegato con dovizia di particolari come la nuova mafia sia diventata mercatista e come i soldi che da essa provengono permettono al nostro Paese di rimanere nel patto di stabilità. Basterebbero questi dati per comprendere il perché, checché ne dicano intellettuali, storici, giuristi e benpensanti, la mafia, o sarebbe meglio chiamarlo il Sistema criminale integrato, esiste.
A renderlo ancora più evidente vi sono poi gli arresti, le inchieste le operazioni ed i processi che vengono condotti grazie all'impegno di tanti carabinieri, poliziotti, militari della guardia di finanza, uomini della Dia e dei reparti speciali coordinati dai magistrati delle varie Dda. Così si è dimostrato come le mafie si sono adattate mantenendo le proprie strutture, i propri riti, le proprie regole e trovando comunque il modo di portare avanti i propri sporchi interessi. Anche grazie alla complicità di politici, imprenditori e pezzi delle istituzioni deviate.
E' grazie a questi rapporti che vengono garantite le grandi latitanze ma anche quelle garanzie economiche che, ad oggi, hanno reso difficile, se non impossibile, rinvenire, confiscare e sequestrare i "tesori" di boss come Bernardo Provenzano, Totò Riina (oggi deceduti) ma anche quelli dei cosiddetti "scappati", gli Inzerillo o i Gambino, su cui oggi si concentrano le attenzioni degli organi inquirenti. Abbiamo scritto delle operazioni di polizia che hanno svelato il tentativo di riorganizzazione della Commissione provinciale, con tanto di riunioni organizzate anche nella tranquillità di una zona come Baida, arrivando agli arresti di decine di capimafia. Si dà anche atto del ritorno delle famiglie storiche, un tempo "perdenti" che dialogano nuovamente con i vecchi nemici corleonesi. Non si può non considerare come tra quest'ultimi vi è in particolare uno che ad oggi è "inafferrabile" ed è libero: il boss di Castelvetrano Matteo Messina Denaro.
Basta leggere il suo "curriculum" per comprenderne tanto la caratura quanto la pericolosità. Da giovanissimo ha partecipato attivamente alla strategia di attacco allo Stato messo in atto dalla mafia per indurre lo stesso a trattare. Lui è stato uno dei membri di quel gruppo di uomini d'onore che Riina, già agli inizi del ’92, aveva inviato a Roma per studiare le abitudini e i movimenti di Giovanni Falcone per preparare il suo omicidio nella capitale.
Di fatto, dunque è la figura con il più alto spessore in Cosa Nostra e non è possibile credere che non abbia un ruolo di primo piano proprio all'interno del Sistema criminale integrato. Basta rileggere le dichiarazioni di alcuni collaboratori di giustizia come Nino Giuffré, il quale ha dichiarato che lui sono stati consegnati i documenti segreti che si trovavano nel covo di Riina il giorno dell'arresto (covo che, gravemente, non fu perquisito nell'immediatezza, ndr), oppure quelle del pentito dell'Acquasanta Vito Galatolo che ha parlato di un progetto di attentato, secondo i magistrati della Procura di Caltanissetta "ancora in corso", nei confronti del magistrato Antonino Di Matteo. A detta del pentito, a dare l’input al progetto dell’attentato sarebbe stato proprio Matteo Messina Denaro. “Mi hanno detto che si è spinto troppo oltre” sarebbe scritto in una lettera che il capomafia trapanese aveva mandato a Palermo alla fine del 2012 per chiedere formalmente alle famiglie mafiose del capoluogo di eseguire il progetto di morte. E a dare l'indicazione alla "primula rossa" sarebbero stati "gli stessi mandanti di Borsellino”.
Galatolo ha anche riferito dell'acquisto di duecento chili di tritolo fatti arrivare a Palermo direttamente dalla Calabria. Un asse storico quello tra Cosa nostra e 'Ndrangheta che emerge sempre più chiaramente dalle inchieste condotte dalla Procura di Reggio Calabria ma anche da indagini più recenti in tema di traffico di droga.
Proprio guardando alla condanna a morte del magistrato Antonino Di Matteo più volte abbiamo scritto come questo episodio, così come le minacce di morte nei confronti di magistrati come Roberto Scarpinato, Roberto Tartaglia, Giuseppe Lombardo o Nicola Gratteri, possano essere presi come riferimento di una strategia stragista che non è cessata ma, diversamente, è stata messa in stand by, in attesa di tempi migliori. E il dato più inquietante, quanto ripugnante, è che a voler fermare quei magistrati scomodi, che continuano a cercare la verità su stragi e delitti eccellenti evidenziando i rapporti tra mafia e Stato, sono ancora una volta quei "mandanti esterni" che si intravedono in tutti i delitti eccellenti (Falcone, Borsellino, Dalla Chiesa, Mattarella, eccetera, eccetera).
Alla luce dei fatti, dunque, si può affermare che la mafia esiste, è forte (anche grazie ai segreti che boss ancora in vita come Messina Denaro o i fratelli Graviano detengono) ed è sempre pronta ad essere braccio esecutivo per compiere delitti eccellenti.
La speranza è che stavolta la storia non si ripeta e finalmente vi sia uno Stato che voglia "vincere" la guerra anziché accontentarsi di quello che al massimo può essere considerato come un misero pareggio. Ma i Governi che si sono fin qui alternati, in questo senso, ad oggi sono rimasti sempre non pervenuti.

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