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di Giorgio Bongiovanni, Lorenzo Baldo e Aaron Pettinari
"Non sono d'accordo con quello che dici, ma difenderò fino alla morte il tuo diritto a dirlo". La scrittrice Evelyn Beatrice Hall, attiva nella prima metà del 1900, scrisse questa frase inserendola nella biografia dedicata al filosofo francese Voltaire e da allora in molti l'hanno attribuita proprio a quest'ultimo. Poco importa se sia così o meno, il concetto espresso rende esattamente l'essenza del rispetto della libertà di pensiero e di parola, ovviamente sempre mantenendo fede a quell'obbligo inderogabile di raccontare la verità dei fatti.
E si può partire da qui per spiegare che ad oggi, Radio Radicale ha due fonti di finanziamento, entrambe messe a rischio da interventi recenti del governo. La prima riguarda il provvedimento sul fondo per l’editoria. Dal 1990 infatti - con la legge n. 230 del 7 agosto - Radio Radicale accede ai contributi pubblici (nello specifico l’emittente riceve dallo Stato ogni anno circa 4 milioni di euro) per le radio private che svolgono attività di interesse generale. Come previsto dalla legge di Bilancio per il 2019 (art. 1, comma 810), questa forma di contributo sarà ridotta progressivamente per tutte le imprese nel mondo dell’editoria, fino a essere azzerata nel 2022.
La seconda fonte di finanziamento per Radio Radicale riguarda la convenzione sottoscritta con il Ministero dello Sviluppo economico (Mise) per la trasmissione delle sedute parlamentari. Il Governo sostiene che questo accordo non vada più rinnovato perché non poggia su basi “meritocratiche”. Emma Bonino, altra esponente storica dei Radicali ed oggi leader di "Più Europa", il partito finanziato anche da George Soros (una delle figure più controverse sul piano mondiale, presentato ai più come filantropo, anche se da alcune e-mail trafugate negli Usa è emersa la sua vocazione di "architetto di ogni colpo di Stato degli ultimi 25 anni"), ha sostenuto che in realtà ci fu una gara nel ’94, che Radio Radicale vinse, e che negli anni la stessa emittente chiese più volte, senza successo, di aprire la gara anche ad altri contendenti.


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Emma Bonino


Fino all’anno scorso, questa "convenzione" garantiva un introito per l’emittente di 10 milioni di euro annui (rinnovati anche con la legge di Bilancio per il 2018). La legge di Bilancio per il 2019 (art. 1, comma 88) ha prorogato questo accordo solo per sei mesi, fino al 30 giugno 2019. Ha anche dimezzato le risorse per quest’anno a 5 milioni di euro, secondo i vertici dell’emittente mettendo a rischio la sostenibilità economica della radio. Ovvio dunque che la partita che si gioca abbia una rilevanza economica ma ci sono altre valutazioni che, oggettivamente, non sono state fatte.
Nei giorni scorsi prima il sottosegretario Vito Crimi, poi il ministro della Giustizia Bonafede, spiegando i motivi per cui il governo non intende rinnovare la convenzione con Radio Radicale, ci hanno rammentato che esiste un servizio pubblico, "che dev'essere finalizzato a questo, a garantire ai cittadini la conoscenza dei lavori delle istituzioni. Un servizio pubblico per il quale i cittadini pagano un abbonamento". Ma di quale servizio pubblico stiamo parlando?
Il nostro giornale è sempre stato piuttosto critico nei confronti dell'ideologia politica espressa dal Partito Radicale di Marco Pannella e non sono mancati scambi di opinione accessi con il direttore di Radio Radicale, Massimo Bordin, deceduto nei giorni scorsi. Un confronto che ci ha visto anche all'antitesi su temi di giustizia, carcerario, mafia ed antimafia. Tuttavia in questi anni abbiamo conosciuto anche tanti operatori e colleghi che lavorano per questa testata che offre un servizio pubblico a tutti gli effetti, ben più di "Mamma" Rai.
Ed è chiaro che l'interesse della Nazione non si esaurisce certo alla trasmissione delle sedute parlamentari o dei lavori del Consiglio superiore della magistratura. Quelle considerazioni di Crimi e Bonafede dimostrano la visione miope su un servizio che è in realtà ben più ampio.
Da anni, grazie alla loro presenza su tutto il territorio nazionale, non solo offrono la possibilità di conoscere le attività parlamentari ma permettono ai cittadini di farsi una propria idea su inchieste, processi, convegni, eventi pubblici con la possibilità di ascoltarli in diretta o anche registrati, senza filtri e gratuitamente, grazie all'imponente archivio che è stato raccolto in tanti anni di attività.


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Massimo Bordin


Si possono trovare le udienze dei processi di mafia, quelli sulle stragi, quelli che vedono sul banco degli imputati grandi manager ma anche funzionari di Stato, politici, banchieri e così via. Grazie al loro servizio hanno trasmesso in diretta processi importanti come quello sulla trattativa Stato-Mafia ed il Borsellino quater, cruciali per ricostruire quanto avvenne ventisette anni fa negli anni in cui non solo in Sicilia, ma anche in Italia, venivano messe le bombe. Processi scomodi come le sentenze, di cui così poco si parla nonostante le pesanti condanne. E oggi ancora è possibile ascoltare altri procedimenti come 'Ndrangheta stragista o il caso Montante, quello Saguto, il processo ai poliziotti accusati di depistaggio sull'inchiesta di via d'Amelio, il processo contro l'ex ministro Scajola, i processi sulle tangenti pagate da Eni in Nigeria, il processo Ruby Ter, il processo bis per la morte di Stefano Cucchi, il processo per il crac della Banca Tercas, per citarne alcuni. E oggi nessun servizio pubblico garantisce qualcosa del genere. L'importanza di Radio Radicale è stata dimostrata anche sul piano processuale se si pensa che nei loro archivi si possono ricavare anche documenti, divenuti poi atti processuali.
Un esempio può essere la conferenza stampa dell'arresto di Totò Riina, il 15 gennaio 1993. Nelle motivazioni della sentenza del processo trattativa i giudici ritengono di "estrema importanza" quel che fu detto dai partecipanti. Dall'ascolto di quell'audio è emerso che in quell'occasione l'allora Comandante della Regione Sicilia, Giorgio Cancellieri usò per la prima volta pubblicamente la parola "trattativa" commentando proprio la cattura del Capo dei Capi. "La personalità di Totò Riina è nota. Fa parte... direi della letteratura della mafia, a lui sono riconducibili tutta una serie di gravissimi e reiterati episodi di criminalità nell'isola, nell'intera Nazione e anche fuori dal territorio dello Stato. Fenomeni che hanno aggredito, nei gangli vitali, la popolazione, il cittadino comune, qualsivoglia attività produttiva, con attacchi ripetuti contro le Istituzioni statali. E questo in un piano anche, chiamiamolo in termini militari, strategico, addirittura potrebbe avere dell'inaudito e dell'assurdo, di mettere in discussione l'Autorità istituzionale. Quasi a barattare, a istituire una trattativa per la liquidazione di una intera epoca di assassini, di lutti, di stragi in tutti i settori della vita nazionale".


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Vito Crimi


Ascoltato in dibattimento il 9 febbraio 2017, Cancellieri ha testimoniato che in quell'occasione ebbe a farsi portavoce, quale Ufficiale più alto in grado della Regione Sicilia, di un comunicato predisposto dal Ros nelle persone di Subranni e Mori o comunque di indicazioni da questi ultimi fornitegli poco prima dell'inizio della conferenza stampa.
"L'estrema importanza di tale risultanza - si legge nelle motivazioni - allora, deriva dal fatto che in quell'occasione la 'trattativa' citata nella conferenza stampa non venne riferita, come poi avrebbe fatto Mori nel 1997, soltanto agli incontri con Vito Ciancimino, bensì direttamente a Salvatore Riina. Ciò, innanzitutto, comprova che Subranni e Mori già in quel momento (gennaio 1993) avevano acquisito la consapevolezza, non soltanto del fatto che effettivamente Vito Ciancimino fosse riuscito a veicolare la loro sollecitazione ('Ma signor Ciancimino, ma cos'è questa storia qua? Ormai c'è muro, contromuro. Da una parte c'è Cosa Nostra, dall'altra parte c'è lo Stato? Ma non si può parlare con questa gente?') sino al massimo vertice dell'associazione mafiosa Cosa Nostra (appunto, Salvatore Riina), ma, soprattutto, per quel che rileva in questa sede, che Riina aveva, in un certo senso, accolto quella loro sollecitazione formulando alcune richieste (rectius, condizioni) per porre termine alle stragi".
Un altro documento importante può essere sicuramente considerato la conferenza stampa di Tinebra e Boccassini sulla collaborazione di Vincenzo Scarantino, nella data del 19 luglio 1994, che è stata acquisita al processo sul depistaggio su richiesta del legale di Salvatore Borsellino e dei nipoti di Adele Borsellino, Fabio Repici.
Tenuto conto di tutto questo non possiamo essere d'accordo con la decisione presa da questo "governo del Cambiamento" (che sempre più appare del "non cambiamento") in merito a questo specifico caso.
Perché si può essere d'accordo che il sistema dei finanziamenti pubblici all'editoria vada rivisto, ma arrivare ad azzerare tutto mettendo in difficoltà una delle poche strutture che permette ai cittadini di far valere quel diritto di "informare ed essere informati" senza censure appare come l'ennesima decisione discutibile che il Governo gialloverde sta mettendo in atto.
Nel merito, dunque, non sostenere pubblicamente Radio Radicale è un indiscutibile errore e bisogna fare di tutto affinché l'emittente non sia costretta a chiudere i battenti. Diversamente, se ciò accadrà, l'effetto finale sarà pari a un bavaglio che neanche i peggiori governi Berlusconiani e Renziani hanno avuto il coraggio di mettere in atto. E questo, forse, fa ancora più male.

Foto © Imagoeconomica

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