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chelli strage georgofilidi Giorgio Bongiovanni e Aaron Pettinari
"Nino Di Matteo un valido magistrato che non è accusabile di nulla". "In alcune esternazioni di Fiammetta Borsellino rischio di strumentalizzazioni per delegittimare altri processi”

"Mori dovrebbe chiedere scusa alle vittime di via dei Georgofili”

"Le stragi in Continente erano qualcosa fuori Cosa nostra; ci stavamo portando dietro dei morti che non ci appartenevano". Gaspare Spatuzza, ex boss di Brancaccio, con queste parole ha descritto più volte le stragi compiute nel 1993. Attentati che hanno colpito al cuore un intero Paese già traumatizzato dagli eccidi di Capaci e via d'Amelio, nell'anno precedente. In totale, tra Firenze-Roma e Milano, furono 10 i morti e 95 i feriti, vittime di quel piano stragista che si inseriva in una strategia ancora più grande.
A Firenze l’autobomba provocò un cratere della lunghezza di 4 metri e 20, profondo un metro e 30, spazzando via la vita dell'intera famiglia dei custodi dell'Accademia dei Georgofili (Fabrizio Nencioni, 39 anni, sua moglie Angela Fiume, di 36 e le due bambine, Nadia di 8 anni e mezzo e Caterina di appena 50 giorni) e di Dario Capolicchio. Assieme a quest'ultimo vi era anche Francesca Chelli, la fidanzata, che porta ancora i segni di un'invalidità permanente e che ha visto bruciare il suo ragazzo davanti ai propri occhi. Oltre a lei rimasero ferite altre 47 persone. Abbiamo raggiunto telefonicamente la madre di Francesca, Giovanna Maggiani Chelli, Presidente dell'Associazione tra i familiari delle vittime della Strage di via dei Georgofili, che da ventisei anni grida e lotta affinché sia completamente fatta giustizia su quell'attentato.

Venticinque anni sono passati dalla strage della notte tra il 27 e il 28 maggio del 1993, secondo lei a che punto siamo nella ricerca della verità?
Ci sono già stati processi importanti che hanno stabilito una parte di verità sulle modalità di quell'attentato e sulle responsabilità dei mafiosi che hanno compiuto il delitto. Adesso però vogliamo andare oltre e contiamo fortemente sulle indagini in corso alla procura di Firenze. Lo scorso 27 maggio il Procuratore capo di Firenze, che ha in mano le indagini sulle stragi del 1993, ha parlato di significativi indizi rispetto ai nuovi elementi emersi sui mandanti esterni. Noi contiamo su questi affinché si arrivi finalmente ad un processo per stabilire quel che avvenne. La verità è una e va trovata completa.

Quali sono le domande che attendono una risposta?
Sono diverse le cose che vogliamo sapere. Tra tante c'è un dubbio che ci assale da tempo. Vorremmo un confronto tra Giovanni Brusca e Monticciolo con quest'ultimo che al Procuratore di Firenze Gabriele Chelazzi, nel 1999, parlò di un viaggio in Lombardia a Milano. Brusca sul punto non ha mai detto nulla mentre Monticciolo, successivamente, ha ritrattato quel verbale che per un vizio di forma non è potuto entrare nel processo trattativa. Chelazzi, infatti, non chiese al tempo a Monticciolo se intendeva avvalersi della facoltà di non rispondere. Dal 2015 è stata disposta una legge retroattiva per cui anche per i verbali effettuati prima del 2001 quella formula doveva essere obbligatoria. Così sul punto non c'è mai stato uno sviluppo. Noi siamo convinti che qui, invece, possa esserci una chiave importante di verità. E Brusca potrebbe chiarirla. Abbiamo sentito che al processo dei poliziotti sulla strage di via d'Amelio ha parlato di quel che gli disse Messina Denaro sull'incontro di Graviano con Berlusconi e sull'orologio che l'ex premier avrebbe avuto al polso. Se ricorda questi dettagli potrebbe dire anche altro su quel viaggio con Monticciolo in Lombardia. Abbiamo anche letto che sempre nei giorni scorsi, al processo, ha chiesto scusa per quello che ha fatto ai familiari vittime di mafia. A noi, però, non ha chiesto nulla perché sulla strage di Firenze non ha mai detto nulla ed ha sempre detto che non c'entrava. Ma noi questo non lo possiamo accettare.

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Il Procuratore nazionale antimafia, Federico Cafiero de Raho © Imagoeconomica


Sembra che il Procuratore nazionale antimafia, Federico Cafiero de Raho, voglia andare fino in fondo su certe vicende ed abbia intenzione di creare un pool che dia impulso alle indagini...
Noi conosciamo i limiti che ha la Procura nazionale antimafia che si limitano al coordinamento delle attività d'indagine delle altre Procure, ma già mettere in fila i pezzi può diventare importante. A noi questa decisione è stata comunicata lo scorso mese direttamente da de Raho, in occasione di un incontro che abbiamo avuto tramite il Miur.
Si possono trarre degli spunti importanti dalle letture delle carte del passato e non solo. E' possibile che qualcosa in tanti anni possa essere sfuggito e ci sembra utile che si torni ad indagare in maniera specifica. Noi abbiamo fatto notare che una cosa simile l’aveva fatta la procura guidata da Pier Luigi Vigna, ma poi non si è mai saputo nulla di quel lavoro. Speriamo che stavolta si possa andare più avanti. Da parte nostra ci siamo resi disponibili ad offrire un nostro contributo in questa ricerca. Gli anni corrono e più il tempo passa più diventa difficile riportare certi fatti nel contesto processuale, anche se può restare il dato storico.

Tornando a parlare delle stragi, Gaspare Spatuzza, sentito al processo sul depistaggio di via d'Amelio, è tornato a dire che quelle in "Continente" rappresentavano "qualcosa che andava oltre Cosa nostra". Voi che idea avete?
La strage di Firenze si inserisce all'interno di una strategia di attacco allo Stato che, appare sempre più evidente, non vedeva coinvolta la sola Cosa nostra. I mafiosi furono già condannati con l'aggravante di aver agito con finalità di terrorismo ed eversione. Ed è proprio questa che ci dice che non c'erano solo i mafiosi, ma anche qualcos'altro.
Spatuzza può essere un collaboratore di giustizia importante ma facciamo fatica a restarne innamorati perché solo in un secondo momento ha parlato delle stragi del 1993. Da quando ha deciso di collaborare, sulla scia delle lacrime per la piccola Nencioni, che ha ammazzato insieme a tutti gli altri, dice la stessa cosa, ma ha purtroppo quel limite che molte cose le ha dette dopo i 180 giorni. Una legge sicuramente vergognosa perché in 180 giorni è difficile dire tutto. Va comunque detto che ad oggi tutti i Tribunali hanno riconosciuto la sua piena attendibilità. E' lui che parla, seppur "de relato", degli incontri con Graviano al Bar Doney. E' lì che il boss di Brancaccio dice "che ci siamo messi il Paese nelle mani" citando Dell'Utri e Berlusconi.
E quando lui aveva parlato con Graviano, piangendo per la piccola Caterina perché "si stavano facendo stragi che non c'entravano con Cosa nostra" il capomafia gli rispose che "quei morti gli servivano". Il sospetto che abbiamo è che quei morti non siano serviti solo a Graviano, per il 41 bis da abolire, ma anche a qualcun altro.

Vengono alla mente le intercettazioni in carcere tra Giuseppe Graviano e la dama di compagnia Adinolfi in cui si fa ancora una volta riferimento a Berlusconi. Da quelle intercettazioni la Procura di Firenze ha aperto nuovamente un'inchiesta nei confronti dell'ex Premier e Marcello Dell'Utri, già condannato per concorso esterno. Lei cosa ne pensa?
Noi vogliamo capire fino in fondo quello che è accaduto, nel bene o nel male noi vogliamo solo la verità. Vogliamo sapere se Berlusconi e Dell'Utri sono saliti sul carro della trattativa Stato-mafia o no. Una sentenza ora ci parla anche di questo. Ma c'è anche questa nuova inchiesta. Da anni sono state aperte e poi richiuse queste indagini e noi viviamo ogni volta tutto questo come un tormento. Abbiamo avuto "Autore Uno", "Autore due" e "Autore tre". I nomi sono quelli. Noi cogliamo il dato degli "indizi significativi". Aspettiamo di vedere se ci sarà un processo per questo. Noi speriamo di poterci arrivare a prescindere da quello che sarà poi l'esito finale. Certo loro dicono che sono vecchie cose e sicuramente, come già è avvenuto, si scanneranno per capire cosa voleva dire Giuseppe Graviano con le sue parole. In tutta questa storia conserviamo la speranza che prima o poi il boss di Brancaccio dica quello che sa collaborando con la giustizia; spiegando una volta per tutte cosa intendesse con quelle parole.

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Marcello Dell'Utri e Silvio Berlusconi © Imagoeconomica


Il prossimo 29 aprile ci sarà la prima udienza d'appello del processo trattativa Stato-mafia. Che significato ha per voi questo processo?
Il più ampio significato di ricerca di giustizia, perché è dal 1992 che ha inizio la storia, da quando a giugno 1992 uomini dello Stato sono andati a parlare con mafiosi dello spessore di Vito Ciancimino. Perché sono arrivati a tanto fino a chiedere il motivo di quel 'muro contro muro'? Abbiamo avuto una sentenza di primo grado che ha scritto chiaramente che senza la trattativa con Cosa Nostra da parte dei Carabinieri di Mario Mori non ci sarebbero state le stragi del '93. Anche se il processo, che ora andrà in appello, dirà che sono stati penalmente corretti, moralmente è indiscusso che non lo saranno mai per noi. Lo ha detto anche il nostro avvocato, Danilo Ammannato, durante l'arringa. Non si va a parlare da Ciancimino, cercando Riina, a chiedergli quel che si può fare per fermare le stragi, senza valutare che quella bestia, senza nulla togliere alle bestie, possa decidere di alzare il tiro. Perché questo è avvenuto dopo Capaci e via d'Amelio. Cosa nostra ha alzato il tiro sulla nostra pelle.
E si badi bene che a raccontarci proprio i contenuti di quel dialogo con Ciancimino sono stati gli stessi carabinieri al processo di Firenze. Addirittura loro usano per primi il termine trattativa.

Di recente Mori ha dichiarato di volersi curare bene per vivere a lungo e veder morire qualcuno dei suoi nemici...
Noi siamo rimasti inorriditi da quelle frasi. Noi pensiamo che lui dovrebbe chiedere scusa per quello che è avvenuto a causa del suo operato, a prescindere o meno se questo abbia avuto una rilevanza penale. Non esisterà il reato di trattativa (Mori, assieme a De Donno, Subranni, Dell'Utri ed altri boss mafiosi è stato condannato in primo grado per attentato a corpo politico dello Stato, ndr) ma da quel dialogo, è scritto anche nelle sentenze, si sono generate le stragi del 1993. I nostri figli sono morti sull’altare dell’arroganza delle presunte modalità di indagare. Io guardo le condizioni di mia figlia e pensando a quelle parole di Mori provo sgomento. Io, diversamente a lui, voglio vivere a lungo per avere giustizia per mia figlia e tutti i morti che rappresento nella mia associazione. Voglio che chi ha commesso comunque un errore di quel tipo chieda scusa alle vittime dei Georgofili. Dall'alto della sua esperienza e della sua intelligenza doveva sapere il rischio che si correva andando a parlare con Ciancimino. Vedendo che le bombe avevano in qualche maniera pagato nel 1992 ecco che si è giunti a quelle del 1993.

Secondo lei perché del processo trattativa Stato-mafia, di fatto, non si è mai parlato dopo la sentenza di primo grado? Fa davvero così paura?
Si tratta di un processo che è scomodo per tutto l'intero sistema, che non piace alla politica. Parlarne significa ammettere quello che è avvenuto. E al sistema non importa che vi siano state delle condanne pesanti. Abbiamo vissuto lunghi silenzi dove alcuni hanno detto qualcosa solo a distanza di anni perché avevano paura di quel che avveniva durante le indagini. Chi ha detto qualcosa è solo perché ha capito che la foglia di fico, ormai, non copriva più. E questo è un paradosso. La verità è che durante le stragi del 1993 sono stati tutti alla finestra a guardare mentre ci hanno ammazzato i figli e ci hanno invalidato i parenti più cari in un modo senza eguali. E non vogliono sentirsi dire che tutto questo è stato frutto di una trattativa che nessuno può più negare. Del resto già prima della sentenza di Palermo c'era stata la sentenza Tagliavia in cui è scritto chiaro e tondo che la "trattativa ci fu". Dovrebbero averlo più chiaro tutti quegli organi di informazione che ancora continuano a parlare di "presunta" trattativa.

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Calogero Mannino © Imagoeconomica


Un altro momento importante sarà la conclusione del processo d'appello Mannino che ormai è arrivato alle sue fasi conclusive. Secondo lei quanto può incidere sull'altro processo?
Certo che sarà determinante. Nelle prossime settimane inizierà la requisitoria e ci saremo. Che ruolo ha avuto Mannino? Noi sappiamo che il suo nome era nell'elenco dei politici che dovevaNO essere uccisI dalla mafia. Ha avuto paura di morire e come lui anche altri. Qualcosa è accaduto. Noi sappiamo che sono morti i nostri figli e che ci hanno massacrato ragazzi di venti anni.

Sia durante il processo, che dopo, non sono mancati gli attacchi contro i magistrati che hanno condotto le indagini. Oggi, addirittura, accade che anche familiari vittime di mafia arrivano a puntare il dito contro uno dei pm, il sostituto procuratore nazionale antimafia Nino Di Matteo. Cosa sta accadendo?
Io voglio fare due premesse. La prima è che crediamo in Nino Di Matteo e nel suo disinteressato lavoro se non per la ricerca della verità, e per la sua grande competenza che constatiamo anche attraverso i documenti provenienti da Firenze. Crediamo che sia un valido magistrato e che non è accusabile di nulla.
La seconda è che tutte le vittime di mafia vanno rispettate nella loro ricerca di verità e in quello che comunque possono dire, tuttavia siamo rimasti colpiti da quanto sta avvenendo negli ultimi giorni. Abbiamo visto l'intervento televisivo di Fiammetta Borsellino a "Che tempo che fa" e abbiamo notato come l'argomento stragi si sia limitato a quelle del 1992 senza inserirle nel contesto della trattativa, ma nel filone mafia-appalti. Il contesto in realtà è molto più grande e c'è una connessione tra tutte queste stragi che vanno analizzate complessivamente. Nella sentenza definitiva di Firenze, "Tagliavia", si parla della trattativa che va dal 1992 al 1994. Il processo di Palermo dice che Borsellino viene ammazzato per la trattativa che poi si collega con le stragi del 1993. E' questo l'errore che notiamo. Si fa finta che le stragi del 1993 non ci siano state, che siano state l’effetto collaterale di autorevoli e importanti morti come quella del Giudice Falcone e del Giudice Borsellino. Ma cosa c'entra mafia-appalti con le stragi? Sicuramente non hanno nulla a che fare con le stragi del 1993. Stragi che, piaccia o no, ci sono state. Notiamo il rischio che certe considerazioni possano essere strumentalizzate, tanto che certa stampa si è subito fiondata su esse, proprio alla vigilia dell'appello del processo di Palermo. Facendo certe esternazioni non crediamo che vi sia malafede; ma il rischio che queste siano strumentalizzate ed usate per delegittimare altri processi è presente. Sarebbe opportuno che il microfono di "Che tempo che fa", sia offerto anche a noi, o chi per noi, se siamo poco altolocati. Un'altra cosa che non abbiamo condiviso della Borsellino è la scelta di andare a colloquio con Giuseppe Graviano. Lui se vuole parlar con qualcuno lo deve fare con i magistrati e collaborare con la giustizia perché altrimenti verrebbe messo nelle condizioni di lanciare messaggi all'esterno. E si può essere strumento di questo anche in maniera inconsapevole.

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Il pm Nino Di Matteo © Imagoeconomica


Tempo addietro la Corte Europea ha espresso alcune considerazioni critiche sul regime del carcere duro, nei giorni scorsi è stata prodotta una relazione dell'ufficio del Garante nazionale dei diritti delle persone detenute o private della libertà personale in cui si afferma che le condizioni materiali in alcune sezioni per detenuti sottoposti al regime del 41 bis "risultano inaccettabili". Potrebbe essere questo il tempo in cui si rivedrà il regime carcerario?
Purtroppo il condizionale stride da troppo tempo e la sensazione è che per il 41 bis sia il momento delle ortiche. E' di ieri l’ultima pronuncia del garante dei diritti che protesta certe condizioni del 41 bis. Noi siamo stati sempre invisi ai garantisti in questo tema. Noi notiamo che c'è un lavoro molto forte che sta andando in questa direzione con tante persone che sono pronte ad abolire il 41 bis. In alcuni processi è emerso che i mafiosi in carcere, tra detenuti, avevano fatto delle collette proprio per far abolire il regime carcerario e sono note le proteste di Cosa nostra. Le stragi del 1993, avvengono per questo. Il compianto magistrato, Gabriele Chelazzi ci ha sempre detto che quella dei Georgofili "è stata la strage del 41 bis”. Noi questo non lo possiamo dimenticare. Battisti, che non vuole il 41 bis da sempre, ora si trova in detenzione in Sardegna. E di 41 bis non ne può più Giuseppe Graviano. E per evitare che parli diventa una questione urgente da affrontare. Ecco dove si gioca la partita. C'è quella promessa fatta a Riina ed ai suoi compagni in quella notte in via dei Georgofili che va rispettata. Va pagata la "cambiale" della trattativa. E' quello che Cosa nostra ha sempre voluto ed il rischio è tornato alto. E non mi stupisce se nei prossimi mesi anche a livello politico anche questo verrà messo sul piatto della bilancia.

Una delle battaglie che avete sempre portato avanti riguarda il Fondo 512, legge dello Stato del 1999 istituito a sostegno delle vittime di mafia. Qual'è la situazione oggi?
Lo sperimenteremo a breve, perché non tutte le vittime della notte del 27 Maggio 1993 hanno trovato subito il coraggio per avanzare i loro diritti. Lo hanno fatto poco tempo fa. Inoltre abbiamo fra gli invalidi aggravamenti spaventosi e siamo di nuovo in causa civile contro la mafia. Il Fondo, quando chiedemmo accesso la prima volta, era un pianto. Ci ha messo anni a fare fronte, una lira alla volta, alle esigenze delle vittime. Oggi non lo sappiamo. Sappiamo però che altri penano e vedremo se dovremo un’altra volta tornare sotto le finestre della Prefettura di Firenze a chiedere giustizia civile. Per ora sappiamo di aver avuto gravi problemi con la scienza medica, che tanto si spertica a dire a parole che il terrorismo è una cosa grave, ma quando deve affrontarne la realtà è pavida. Non si vuole ammettere quello che il nostro Presidente della Repubblica ha detto il 9 Maggio scorso: ovvero che le conseguenze di una strage non passano mai. La scienza medica è restia, preferisce paragonare la stage terroristica eversiva agli incidenti stradali.

Cosa dovrebbero fare le istituzioni e la politica per dare una risposta alla vostra sete di giustizia?
Ammettere che nella storia dello stragismo d’Italia mai vi è stata una responsabilità morale così grande, così ampia, così vergognosa, come per la strage di via dei Georgofili.
Una strage alla quale noi pensiamo che partecipano tutti. Una "responsabilità morale" comune che si respira anche laddove a livello istituzionale non si parla in alcun modo di queste stragi. E questo è vergognoso. Inoltre vorremmo che chi di dovere accetti con serenità i processi che gli spettino affinché sia stabilito una volta per tutte chi, oltre la mafia, ha avuto le responsabilità in quelle stragi che hanno insanguinato il Paese. Per assurdo persino Andreotti accettò di essere processato e lo disse in diretta Tv. Il processo c'è stato e sappiamo tutti come è andato a finire.

In foto di copertina: Giovanna Maggiani Chelli e la strage di via dei Georgofili

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