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csm eff zoom c imagoeconomicadi Giorgio Bongiovanni
Sono complete, esaustive e con carte alla mano le dichiarazioni del sostituto procuratore nazionale antimafia Nino Di Matteo, chiamato davanti alla commissione del Consiglio superiore della magistratura per parlare ancora una volta - dopo l'udienza a porte chiuse alla Commissione parlamentare antimafia e l'audizione lunga diverse ore al processo Borsellino quater - sulla questione del depistaggio ordito sulla strage di via d'Amelio. È così che Di Matteo è tornato a ribadire la sua totale estraneità nella vicenda che ha visto al centro la gestione del “pupo vestito”, il falso pentito Vincenzo Scarantino, e delle sue false dichiarazioni, che hanno portato ad un allontanamento dalla ricostruzione della verità storica sull'assassinio di Paolo Borsellino e degli agenti di scorta.
"Sulla strage di via d'Amelio siamo a un passo dalla verità. Mai come ora siamo vicini alla verità. Il depistaggio cominciò con il furto dell’agenda rossa. E non furono i mafiosi". Sono prorompenti le risposte del magistrato, capaci di far tremare quei santuari che restano parte integrante di quello “Stato occulto” in cui uomini delle istituzioni e di potere sono stati parte in causa nella strage di via d'Amelio, così come di molti altri misteri eccellenti italiani. Proprio Di Matteo fu tra i principali protagonisti della ricerca della verità - fino ad arrivare, appunto, a un passo - sul biennio stragista, prima al processo Borsellino ter, poi con lo storico dibattimento sulla trattativa Stato-mafia insieme ai colleghi Teresi, Del Bene e Tartaglia. Una verità già acclarata quanto ai mandanti interni alla cupola di Cosa nostra, ma che è arrivata ad aprire squarci sui personaggi esterni alla mafia. Ne sono un esempio proprio le durissime condanne in primo grado, al processo trattativa, per gli ufficiali del Ros dei Carabinieri e Dell'Utri.
E se già il magistrato aveva reso la sua versione in altre sedi, ecco che anche nel libro “Il patto sporco” (ed. Chiarelettere) in uscita domani a firma Di Matteo e Saverio Lodato, si ritrovano, rispondendo alle domande dell'editorialista, quelle stesse risposte alla “questione depistaggio” che il pm del processo trattativa è sempre tornato a ribadire nonostante i ripetuti attacchi da più fronti. Ma anche nonostante le “persecuzioni intellettuali” che, ostinatamente, hanno continuato a chiedere conto delle stesse questioni ad un magistrato che è e resta estraneo alla malagestione del “caso Scarantino”.
La speranza è che, con le dichiarazioni di oggi, anche gli avvocati difensori (e non solo) si convincano della questione chiave: nella mancata deposizione del confronto di Scarantino con Salvatore Cancemi ed altri pentiti di prim'ordine, i pm dell'epoca, compreso Di Matteo, non commisero alcun atto omissivo, come invece accusava erroneamente anche Fiammetta Borsellino. Al contrario, tutto fu regolare e trasparente.
Infatti, come abbiamo scritto oggi, ecco la verità di Di Matteo: "Il problema dell'attendibilità di Scarantino c'è stato nel momento in cui ha collocato in una riunione presso la casa di Giuseppe Calascibetta, tre collaboratori di giustizia che non avevano parlato della strage: Mario Santo di Matteo, Gioacchino La Barbera e Totò Cancemi. In quel momento a noi venne il dubbio che Scarantino mentisse ma sul piano investigativo avevamo ragioni concrete per ritenere che anche gli altri tre collaboratori mentissero". Il sostituto procuratore nazionale antimafia, che come da lui richiesto è stato sentito in un'udienza pubblica e non segreta, ha nuovamente spiegato i motivi che portarono i pm a non depositare nell'immediatezza quei confronti. Come è noto il deposito posticipato di quegli atti al processo “Borsellino bis” era costata una denuncia da parte degli avvocati Di Gregorio, Marasà e Scozzola nei confronti dei pm Annamaria Palma, Carmelo Petralia e Nino Di Matteo per “comportamento omissivo”. A loro volta i magistrati avevano denunciato per calunnia i tre avvocati. Il 25 febbraio 1998 il Gip di Catania aveva definitivamente archiviato l’inchiesta sui sostituti procuratori di Caltanissetta in quanto priva di alcun “comportamento omissivo”. "Quei confronti furono comunque depositati prima della fine del dibattimento del bis - ha detto oggi Di Matteo - ma in quel momento c'erano da chiudere le inchieste. Cancemi e Mario Santo Di Matteo erano anche indagati nel Borsellino ter ed avevamo delle perplessità. Cancemi fino a quel momento era un mentitore perché negava di aver preso parte alla strage di via d'Amelio. Solo nel 1996, in un interrogatorio, mi confessa che anche lui aveva partecipato. Mario Santo Di Matteo, invece, presentava un altro motivo di perplessità. Lui stava vivendo la triste sventura del sequestro del figlio ed è stato intercettato il suo primo colloquio con la moglie, Franca Castellese. Un dialogo in cui implorava al marito di non parlare della strage di via d'Amelio perché in quella vicenda ci sono in mezzo anche gli uomini della polizia". "Su La Barbera abbiamo saputo che questi era rientrato in armi a Palermo, commettendo dei delitti. Siccome c'erano delle indagini in corso noi abbiamo prima voluto fare le indagini per capire chi stesse mentendo e poi abbiamo depositato i confronti".
Molte sono state le polemiche legate all'audizione odierna di Nino Di Matteo al Csm. Alcune hanno riguardato anche le nostre osservazioni in merito alle dichiarazioni pubbliche di Fiammetta Borsellino rilasciate dopo la sua audizione alla Commissione regionale antimafia. Indubbiamente strumentale è stata la querelle sull'ipotesi di parificare gli avvocati alle persone che difendono, con la conseguente equazione di non aver compreso nulla dell'essenza della giustizia e della democrazia. Nessuno mette in dubbio che gli avvocati siano parte essenziale dell'accertamento della verità processuale. Il nostro ragionamento riguardava l'opportunità di avvalersi del supporto di chi ha difeso coloro che sono stati ritenuti corresponsabili della strage di via d'Amelio. Non abbiamo alcuna intenzione di farci trascinare all'interno di sterili diatribe che sortiscono l'effetto di perdere di vista il vero obiettivo: la ricerca di tutta la verità su questa strage di Stato. Resta quindi immutato il nostro profondo rispetto nei confronti della pretesa di giustizia di chi ha pagato un prezzo altissimo per colpa della mafia e di uno Stato che ne ha armato la mano.

Foto originale © Imagoeconomica

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Audizione del pm Di Matteo davanti alla I commissione del CSM nell'ambito del fascicolo sulle indagini sulla strage di via D'Amelio


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