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di Giorgio Bongiovanni e Lorenzo Baldo
Nella ipotetica squadra di governo di Luigi Di Maio nessun dicastero al pm palermitano

Due nomi: Alfonso Bonafede e Paola Giannetakis. Eccoli i possibili ministri della Giustizia e dell’Interno presentati questo pomeriggio da Luigi Di Maio assieme all’intera squadra in vista di un ipotetico governo a 5Stelle. Nessun pregiudizio sui due professionisti indicati dal candidato Premier, per carità. Solamente uno spunto di riflessione in vista delle prossime elezioni.
Era il mese di luglio dello scorso anno quando i media rilanciavano le prime indiscrezioni sul pm Nino Di Matteo indicato dai 5Stelle per il ruolo di ministro (Interno o Giustizia) in un loro eventuale governo. Attacchi e strumentalizzazioni nei confronti del magistrato condannato a morte da Totò Riina si sono rafforzati pesantemente sulla base di quella indiscrezione. E sono stati decisamente mirati: dai media compiacenti e da quella politica trasversale decisamente intimorita dall’ipotesi Di Matteo-ministro. Poi, però, verso la fine di gennaio è arrivata la doccia fredda del candidato Premier Di Maio: “Di Matteo non farà parte del nostro governo”. Una brusca sterzata. Un diniego rivolto anche ai suoi colleghi Piercamillo Davigo e Raffaele Cantone. Fuori quindi i magistrati da un possibile governo pentastellato. Ma perché? Di Maio “teme polemiche e una strumentalizzazione” del processo sulla trattativa Stato-mafia (il cui pm di punta è proprio Nino Di Matteo), ha scritto a proposito su RepubblicaLiana Milella. Che, sul suo blog, ha poi aggiunto una riflessione alquanto acuta: “Le eventuali polemiche - del tipo, se Di Matteo diventa un ministro di M5S allora anche il processo sulla trattativa Stato-mafia era politicamente orientato - si risolverebbero più in una perdita di consensi che in un vantaggio. M5S, in aggiunta, non vuole compromettere l’esito del processo”.
di matteo nino scorta effDobbiamo quindi pensare che il processo sulla trattativa spaventi realmente un leader come Di Maio, al punto da fargli temere una “perdita di consensi” in caso di candidatura del pm Di Matteo e che per questo ha optato per un altro nome? Ma chi ha paura di affermare che un magistrato può effettivamente fornire un contributo politico differente da un professore universitario o da qualsiasi altro professionista della politica e non? E soprattutto: quanta paura ha sortito l’ipotesi di un magistrato come Di Matteo in un ruolo strategico come quello del ministro degli Interni? Troppi armadi della vergogna sarebbero stati aperti? E se davvero non è ancora tempo che questo Stato faccia i conti con i propri scheletri, tornano in mente i diktat di Giorgio Napolitano finalizzati ad impedire l’ingresso di Nicola Gratteri al ministero della Giustizia nel governo Renzi. “Ma a questo punto - si era chiesta la Milella nella sua riflessione - dove va a finire la libertà di cittadino di Di Matteo? Da magistrato, per fare il suo dovere, deve subire le tremende minacce di Riina. Il processo gli toglie il diritto che ogni cittadino ha, quello di accettare, a un certo punto, di fare politica”. Un’analisi legittima, che probabilmente deve ulteriormente affondare i passi sul campo minato della “convenienza”. Quanto sarebbe stato “conveniente” per un movimento politico come i 5Stelle nominare ufficialmente Nino Di Matteo al ministero degli Interni o della Giustizia sfidando quindi le reazioni a catena a livello politico-istituzionale che si sarebbero inevitabilmente innescate? Troppo pericoloso per il M5S? Troppi rischi di perdita di consenso? Paura di nuovi diktat del Quirinale con il veto su altri possibili ministri?
A chi è stato “conveniente” sovraesporre ulteriormente Di Matteo - durante una fase delicatissima del processo sulla trattativa - al tiro incrociato che si è scatenato solamente per una sua “nomina” peraltro nemmeno ufficiale? A cosa è servito tenere in bilico per mesi l’ipotesi di una sua investitura per poi lasciarlo con il cerino in mano, dando così un pessimo segnale di isolamento?
L’assenza di Nino Di Matteo dai ministeri dell’Interno e della Giustizia rappresenta una grandissima perdita per questo disgraziato Paese. Che non merita uomini giusti pronti a sacrificare ogni giorno, attraverso il loro lavoro, la propria vita e quella della propria famiglia per una società migliore basata su una autentica democrazia.
Di contraltare alla miseria dell’attuale scena politica si contrappongono quegli stessi uomini giusti, troppo spesso emarginati, il cui patrimonio di conoscenza e di grande umanità merita invece di essere trasmesso - per altre vie - alle nuove generazioni, lontano da interessi di Palazzo o da logiche di potere.

In foto: Luigi Di Maio (© Ansa) e Nino Di Matteo

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