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di Giorgio Bongiovanni
Arrestato Benedetto Bacchi, era in affari con i boss di Cosa nostra

Abbiamo letto millecinquecento pagine tutte d'un fiato. Tanto ci è voluto per passare sotto la lente d'ingrandimento una richiesta d'arresto, quella che ha portato al fermo dell'imprenditore Benedetto Bacchi e di altri trenta tra faccendieri, uomini d'affari e mafiosi. Non mere intuizioni, ma prove tecniche ed innegabili evidenze sono contenute nelle carte del blitz che ha messo agli arresti il "re" delle slot machine di mezza Italia, secondo le quali Bacchi è accusato di concorso esterno in associazione mafiosa, qualificato come soggetto colluso con Cosa nostra palermitana e legato a doppio filo con il boss di Partinico, Francesco Nania. Ingenti giri di soldi, intrecci e contatti che, dalla Sicilia, si estendevano su tutto il territorio nazionale, ma anche il collegamento 'Ndrangheta-Cosa nostra, che una volta di più testimonia come le singole organizzazioni criminali siano in realtà più parti di una stessa trama.
L'inchiesta è retta da una moltitudine di pedinamenti, dichiarazioni di collaboratori di giustizia ed intercettazioni telefoniche. Tra queste la registrazione di un dialogo in cui Bacchi voleva coinvolgere l'avvocato Antonio Ingroia – ex pm dell'inchiesta trattativa Stato-mafia, dall'imputato nominato proprio legale difensore – in una società che si occupa di energie rinnovabili. “Una cosa è che si presenta uno con Antonio Ingroia,ex magistrato antimafia, conosciuto in tutto il mondo”, spiegava Bacchi, che alla propria immagine ci teneva. L'operazione, però, alla fine non sarebbe riuscita.
Quanto alle dichiarazioni dei pentiti, uno su tutti emerge il nome di Vito Galatolo. Nell'ordinanza il giudice per le indagini preliminari Antonella Consiglio, riferendosi “alla attendibilità dello stesso”, ha affermato che “tale soggetto appare soggettivamente credibile ed intrinsecamente attendibile... il Galatolo ha riferito di esser stato spinto a collaborare con la giustizia dal 'peso' del gravissimo attentato omicidiario ai danni del dott. Antonino Di Matteo”. “Una tale decisione – si legge ancora – appare lineare e coerente con le ragioni (indicate) che l'avrebbero determinata e ciò depone nel senso dell'attendibilità e credibilitàdel collaboratore”. Quello stesso collaboratore, oggi, ha raccontato di come l'imprenditore che vantava rapporti d'affari con i capimandamento di Cosa nostra "si prese tutta Palermo". Tra quei boss c'era anche Vincenzo Graziano, l'uomo che materialmente doveva occuparsi di recuperare il tritolo per uccidere il pm Nino Di Matteo. Sono pagine di patti, accordi e relazioni tra il mondo mafioso e quello imprenditoriale, che sarà arduo smontare in un'aula giudiziaria per difendere Bacchi e la sua ragnatela di contatti.

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