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dellutri gandhidi Giorgio Bongiovanni
Lo sciopero della fame dell'ex senatore è un ricatto mafioso ai cristiani onesti

Come ha scritto in questo giornale il nostro capo redattore Aaron Pettinari rispetto al rifiuto di differimento di pena, da parte del Tribunale di sorveglianza di Roma, nei confronti dell'ex senatore Marcello Dell'Utri, la sentenza dei giudici è chiara. Nonostante lo stato di salute non ottimale, secondo quanto emerge dalle perizie mediche del Tribunale, non vi è incompatibilità con il carcere e qui Dell'Utri può e deve essere curato.
Dopo la decisione dei giudici, però, l'ex politico ha già minacciato di voler effettuare uno sciopero della fame e delle cure. Un'azione che richiama all'operato di ben più illustri figure come il Mahatma Gandhi, che lottò per i diritti del popolo indiano contro il governo Britannico nel periodo coloniale. Solo che Dell'Utri non è Gandhi e per i cristiani-cattolici, a mio giudizio, una tale azione appare più come un ricatto.
Perché l'ex senatore, che a suo modo combatte per una causa (per noi sbagliata) a costo della propria vita, gioca sull'atto di misericordia evangelica che non chiede solo ai giudici, ma a tutto il popolo italiano. Dell'Utri, volto noto in quanto cofondatore assieme a Silvio Berlusconi di Forza Italia, il partito che è stato a lungo il più importante del Paese e che è stato ai vertici del governo per vent'anni, sa che per fini umanitari, qualora dovesse davvero rischiare la morte per fame, potrebbe persino ottenere una grazia da parte del Presidente della Repubblica (così come previsto dall'articolo 87 della Costituzione e come è disciplinato dall'art. 681 del codice di procedura penale). Magari potrebbe veder riconosciuta una grazia particolare, con la concessione della libertà vigilata o i tanto agognati arresti domiciliari. Che il Capo dello Stato, Sergio Mattarella, non ceda al ricatto mafioso.
Dell'Utri, uomo colto, sa benissimo che può ottenere la libertà in tempi celeri, senza il bisogno di mettere a rischio la propria vita con il digiuno forzato.
Invece che ricattare il popolo Italiano basterebbe un semplice azione, collaborare con la giustizia. Così potrà tornare a circolare liberamente e riabbracciare i propri cari, seppur sottoposto al programma di protezione.
Sarebbe questo atto di giustizia evangelica, un atto che è descritto nei Vangeli quando Gesù Cristo disse: “Sia invece il vostro parlare sì, sì; no, no; il di più viene dal maligno” (Matteo cap. 5, v.37).
Quindi, l'ex senatore Dell'Utri chiami i magistrati delle Procure di Palermo, Caltanissetta, Firenze, Roma e Milano; faccia i nomi dei boss con i quali è entrato in contatto, con cui ha fatto affari e business, dai quali ha ricevuto i voti. Ci dica se è stato tra quelli che hanno trattato con i boss mafiosi ai tempi della trattativa, se hanno avuto un ruolo lui ed altri come concorrenti o mandanti esterni delle stragi del 1992 e del 1993. Ci dica cosa si dissero i capi mafia, allora capitanti da Stefano Bontade, con l'allora imprenditore Silvio Berlusconi durante gli incontri accertati negli anni Settanta. Ci dica se ha parlato con il boss di Brancaccio Giuseppe Graviano (anche se nel merito ci sono ancora indagini in corso) tra il 1993 ed il 1994.
E' necessario un atto parimenti estremo ma di conversione di un uomo che nel bene e nel male, purtroppo soprattutto nel male, è stato protagonista della storia del nostro Paese.
Solo allora l'ex senatore Dell'Utri (a cui cristianamente non auguriamo certo la morte, visto l'alto valore della vita che Dio ci ha concesso) potrà vedere restituito il proprio onore, il proprio valore e la propria dignità.

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