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fiammetta borsellino 800di Giorgio Bongiovanni e Lorenzo Baldo
La figlia del giudice assassinato interviene alla trasmissione “La radio ne parla”

"Il nostro obiettivo è cercare la verità su quanto accaduto, fare luce sull’operato dei magistrati all’epoca in servizio alla procura di Caltanissetta, Giovanni Tinebra, Carmelo Petralia, Anna Maria Palma, Nino Di Matteo, quest’ultimo arrivato nel novembre 1994. Bisogna fare luce anche sull’operato dei poliziotti del Gruppo d’indagine sulle stragi Falcone e Borsellino, tutti hanno fatto una brillante carriera”. A parlare ai microfoni di “Radio Uno” nella trasmissione “La radio ne parla” è Fiammetta Borsellino. Nel suo appello accorato la terzogenita di Paolo Borsellino punta il dito sulle “troppe anomalie” che ruotano attorno alle indagini sulla strage di via D’Amelio. Le parole di Fiammetta giungono 48 ore dopo l’invio di una lettera scritta al Consiglio superiore della magistratura dai tre figli del giudice assassinato assieme alla sua scorta 25 anni fa. Nella missiva Lucia, Manfredi e Fiammetta Borsellino chiedono espressamente di conoscere gli sviluppi della nota del consigliere Aldo Morgigni. Che, poco più di due mesi fa, premeva per l’avvio di un’iniziativa della prima commissione del consiglio superiore, quella competente delle incompatibilità dei magistrati a seguito di determinati comportamenti. Dal canto suo il Consiglio di presidenza del Csm informa che è già stata aperta una pratica sul caso di Vincenzo Scarantino (comunemente definito il “falso pentito” della strage di via D’Amelio) relativa ai magistrati che seguirono la sua collaborazione con la giustizia. Dal Csm ci tengono quindi a sottolineare che per poter valutare approfonditamente il caso attenderanno le motivazioni della sentenza del processo Borsellino quater, in quanto nello stesso procedimento sono state trattate quelle stesse “anomalie” delle prime indagini, fondate sulle dichiarazioni di Scarantino. Nel frattempo Fiammetta Borsellino ribadisce con forza: “Questo ridurre tutto a una mera polemica fra me e il dottore Di Matteo è una semplificazione di una parte della stampa che sta facendo molto comodo a chi, oltre a lui che era ovviamente uno degli attori, ha grossissime responsabilità e in questo momento sta ben nascosto nell'ombra. E invece il fine del nostro grido di dolore è quello di addivenire a una verità che non sia qualsiasi, vogliamo trovare le ragioni della disonestà di chi questa verità doveva trovarla”. Il rispetto che si deve a questo grido di dolore deve essere totale. Ma ancora di più è necessaria una risposta di verità che il nostro Paese ha il dovere di restituire ai familiari di Paolo Borsellino, in primis, e all’Italia intera, dopo anni di depistaggi istituzionali.
Della “semplificazione” messa in atto da una parte del mondo giornalistico – caratterizzata da una totale assenza di etica e dal più becero cinismo – abbiamo fin troppi riscontri. In questo caso il “quarto potere” ha mostrato il peggio di sé facendo opera di strumentalizzazione, alimentando sterili polemiche sul dolore di chi ha già pagato un prezzo altissimo. A nulla sono servite le recenti dichiarazioni davanti alla Commissione parlamentare antimafia del pm Nino Di Matteo – che da tutto questo non trae certamente profitto –, il suo racconto minuzioso su come si sono svolti i fatti in quegli anni è caduto nel vuoto. Chi invece continua a trarre giovamento dall’oscurità che lo avvolge fa parte di quel gruppo di uomini-cerniera che hanno obbedito agli ordini di uno Stato-mafia. Che ha letteralmente armato il braccio di Cosa Nostra per seminare bombe e distruzione nel biennio ‘92/’93 e non solo. C’è ancora una zona grigia tutta da esplorare. Ma chissà perché si arriva sempre davanti ad una porta chiusa a doppia mandata che nessuno vuole aprire. E quei pochi magistrati che si azzardano a volerla varcare diventano bersaglio di un sistema di potere. Che è capace di muovere le proprie pedine su più fronti, anche attraverso la delegittimazione e l’isolamento, per servire poi su un piatto d’argento la vittima sacrificale.
Questa fitta nebbia continua quindi a scendere sui tanti misteri che rimangono insoluti.
Le posizioni dei poliziotti del pool “Falcone e Borsellino” capitanato da Arnaldo La Barbera – coinvolti nella gestione di Vincenzo Scarantino? Archiviate! E l’allora capitano Giovanni Arcangioli fotografato mentre si allontana con la valigetta del giudice Borsellino da cui poi scompare la sua agenda rossa? Prosciolto! Il mistero della presenza di Bruno Contrada in via D’Amelio? Irrisolto! Le persone non di Cosa Nostra presenti nelle fasi di preparazione delle stragi di Capaci e via D’Amelio? Rimaste nell’oscurità! Quei rappresentanti delle istituzioni, così come quegli esponenti politici, che dopo un silenzio durato anni, chiamati a testimoniare dinanzi ad una Corte di Assise, hanno taciuto in merito alle proprie conoscenze di quel biennio di sangue? Quelli sì, che hanno fatto carriera. I collegamenti tra mafia, massoneria e Servizi nelle stragi del ‘92/’93? Avvolti nell’ombra. Quell’ombra che inghiotte tutto e che fa molto comodo a tanti uomini che indegnamente hanno rappresentato questo Stato. Che – fortunatamente – non è composto solamente da certi squallidi personaggi. Il coraggio e la determinazione dei “giusti” che si ostinano a cercare la verità, si oppongono a chi, insidiato nei gangli vitali delle nostre istituzioni, tenta ancora di occultarla.
Ma è solo una questione di tempo.

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