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di matteo bindi in comm antimafiadi Giorgio Bongiovanni, Lorenzo Baldo e Miriam Cuccu

La denuncia del pm alla Commissione antimafia

Altro che “errore giudiziario”. Se qualcuno ha fatto di Vincenzo Scarantino un “pupo vestito” ad arte per depistare le indagini sulla strage di via d'Amelio “questo è depistaggio”, senza girarci troppo attorno. L'ha puntualizzato davanti alla Commissione parlamentare antimafia il pm Nino Di Matteo, convocato su sua esplicita richiesta per “contribuire a ristabilire la verità dei fatti" e mettere “fine a strumentalizzazioni dannose”. Già all'indomani del 25° anniversario dell'assassinio di Paolo Borsellino e degli agenti di scorta, infatti, Di Matteo aveva domandato di essere sentito a seguito delle precedenti audizioni presiedute dalla Commissione, inclusa quella di Fiammetta Borsellino, figlia del giudice ucciso, che aveva denunciato il depistaggio facendo anche il nome di Di Matteo (all’epoca giovane magistrato).
Oggi il pm che ha recentemente varcato la soglia della Procura nazionale antimafia ha messo in fila riscontri, circostanze, avvenimenti che possono far supporre l'esistenza di un vero e proprio depistaggio, ancora tutto da “accertare in maniera opportuna”. “Se Scarantino è il 'pupo' che qualcuno ha 'vestito' – ha sottolineato Di Matteo – bisogna vedere come si è arrivati a individuarlo il giorno del suo arresto” il 26 settembre '92. Chi erano le toghe che all'epoca si occupavano delle indagini è presto detto: “I dottori Ilda Boccassini, Fausto Cardella, Giovanni Tinebra all'epoca procuratore a Caltanissetta e oggi deceduto. Se depistaggio ci fu, ha precisato Di Matteo, accadde quindi “prima del settembre '92. E’ possibile che qualche informatore della polizia avesse indicato in parte la verità, e con un’operazione spregiudicata abbia trovato una persona che si assumesse la responsabilità di mettere a verbale la paternità di quelle dichiarazioni”. Eccolo il timore di Di Matteo, di fronte a un dato più che inquietante: “A me fa paura il fatto che Scarantino accusi, oltre a persone innocenti, anche soggetti del mandamento di Brancaccio”, gli stessi accusati dall'attendibilissimo pentito Gaspare Spatuzza e poi condannati definitivamente. Come poteva, il picciotto della Guadagna, essere a conoscenza di quelle mezze verità?
“Qui non si tratta di difendere le dichiarazioni di Scarantino, smentite inequivocabilmente da Spatuzza e da successive indagini – ha chiarito il Di Matteo – ma di capire come mai dichiarazioni false fatte da un soggetto non coinvolto nella strage coincidano con quelle” di un altro collaboratore. Certo è, ha aggiunto Di Matteo, che “se qualcuno ha messo in bocca a un soggetto che non sapeva niente qualcosa appreso da altri” si tratta di “una condotta gravissima. E se qualche magistrato lo ha avallato, è altrettanto grave”. Uno scenario allarmante dal quale, però, il pm di Palermo ha preso le distanze, dato che iniziò ad occuparsi delle indagini su via d'Amelio solo a novembre '94, dopo oltre due anni di investigazioni e dibattimenti. “Quando vennero avviate le indagini io non ero magistrato ma uditore. – ha ricordato Di Matteo alla Commissione – Divenni magistrato a Caltanissetta e mi occupai solo di procedimenti ordinari fino all'8 dicembre del 1993. Entrai a far parte del gruppo di pm che si occupavano di distrettuale antimafia il 9 dicembre 1993, con processi che riguardavano solo la mafia e la stidda di Gela. Solo nel novembre del 1994 entrai a far parte” della distrettuale con “indagini avviate su dichiarazioni di pentiti che non avevo mai ascoltato. di matteo bindi in comm antimafia vidQuesta è la verità oggettiva, non mi sono a nessun titolo mai occupato del primo processo sulla strage di via d’Amelio, quello delle dichiarazioni di Scarantino. Unico troncone che ho seguito in ogni parte è il ter”. Proprio per questo, ha precisato Di Matteo, “non lessi mai la lettera nella quale la dottoressa Boccassini, nell'ottobre '94, esprimeva le sue perplessità sull'attendibilità delle prime dichiarazioni di Scarantino in seguito considerato affidabile solo quando avallato da altre fonti di prova, come ricordato dal magistrato durante la sua escussione al Borsellino quater.“E’ qui che crolla miseramente chi per screditare il mio lavoro vuole coinvolgermi in vicende che non ho vissuto e che altri hanno svolto. – ha precisato Di Matteo – Il mio nome, per la vicenda Scarantino, è da tempo al centro di una continua campagna di stampa”, e una parte di questa “concentra esclusivamente” sul falso pentito della Guadagna “tutto ciò che c’è da approfondire su via d’Amelio” così da “dimostrare che nulla è stato fatto” e continuare a “screditare e delegittimare il mio lavoro e la mia professionalità”.
Ma attenzione, ha messo in guardia il pm, dal “guardare solo alle dichiarazioni di Scarantino”: “Si è parlato di 25 anni persi alla ricerca della verità sulla strage” fingendo “di dimenticare che tra il Borsellino bis e il Borsellino ter ben 26 imputati sono stati condannati definitivamente, per i quali la responsabilità di strage non è mai stata messa in discussione. Nessuno ricorda un dato di fatto, già all'esito del Borsellino bis 6 dei 7 soggetti che poi hanno avuto il processo di revisione erano già stati assolti dalla Corte di Assise. Per 3 posizioni di quelle 6 erano stati i pm a chiedere l'assoluzione”. Quanto al “ter”, ha aggiunto il magistrato, questo prescinde “completamente dalle dichiarazioni di Scarantino” mai in questa sede “chiamato a testimoniare. Affermare che i tre processi si siano fondati su Scarantino è quindi un falso”.
Certo è che nel Borsellino ter, per la prima volta, venne fuori “la connessione tra la trattativa del Ros dei carabinieri con Vito Ciancimino (l’ex sindaco di Palermo, ndr) e l’accelerazione della strage”. Di Matteo ha anche anticipato, all'inizio dell'udienza, di voler “stimolare quegli approfondimenti, che ritengo necessari anche in sede politica, sul probabile coinvolgimento nella strage di soggetti esterni a Cosa nostra", ricordando gli spunti da tenere in considerazione e scaturiti, nello specifico al termine del Borsellino ter. C'è la conversazione tra il pentito Mario Santo Di Matteo e la moglie, l'ipotesi della presenza dell'ex funzionario del Sisde Bruno Contrada in via d'Amelio, le dichiarazioni di Spatuzza sul suo incontro con Graviano al bar Doney, e quelle di Cancemi sui legami tra Cosa nostra, Berlusconi e Dell'Utri. Fino ad arrivare alle recenti parole di Giuseppe Graviano, intercettato in carcere, ed al progetto di un attentato contro lo stesso Di Matteo, rivelato per la prima volta dal pentito Vito Galatolo: “Mi disse 'la sua situazione è come è avvenuto per l'altro, ce l'hanno chiesto' indicando Borsellino, raffigurato in una foto con Falcone” ha raccontato Di Matteo alla Commissione. Questo e molto altro, ha quindi auspicato il pm, “dovrebbe portare ad una immediata riapertura delle indagini sui mandanti esterni a Cosa Nostra”. Per le domande della Commissione è stata prevista un'ulteriore udienza il 19 settembre, alle ore 20.

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