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riina padre figlio libroLe elucubrazioni di Giuseppe Salvatore Riina
di Giorgio Bongiovanni
“Onora il padre e la madre” è il quarto dei Dieci comandamenti. Un concetto che può valere anche per i figli dei mafiosi. Giuseppe Salvatore Riina, detto Salvo (39 anni a maggio), già condannato per associazione mafiosa a 8 anni e 10 mesi (pena interamente scontata) ha voluto rendere “onore” al padre, il boss stragista Totò Riina, pubblicando un libro dal titolo “Riina. Family Life” (testo pubblicato da edizioni Anordest), che da dopodomani sarà presente negli scaffali delle librerie italiane. Una biografia inedita sulla vita del “Capo dei capi” che vorrebbe consegnarci l'immagine di un padre premuroso, amorevole, di solidi principi. E' vero che le colpe dei padri non devono ricadere sui figli ma è altrettanto vero che di fronte alle nefandezze compiute da “u curtu” non si può tacere o rimanere silenti, come nulla fosse accaduto. Nei comandamenti è scritto anche “Non uccidere”, “Non dire falsa testimonianza” ed è singolare che proprio Riina jr, nel suo faccia a faccia con il collega del Corriere della Sera, quando questi gli ricorda le parole del padre intercettate in carcere (dalla “fine del tonno” fatta fare a Falcone, agli altri delitti), abbia detto: “Io difendo la dignità di un uomo e della sua famiglia. E la sua coerenza, quando ha rifiutato di collaborare con i magistrati. 'Non ci si pente di fronte agli uomini, solo davanti a Dio', mi ripeteva”.
Di che dignità si parla se si raccontano falsità, omettendo o coprendo volutamente misfatti, crimini e bestemmie contro lo Spirito Santo, come quello di essere stato responsabile di stragi e della morte di donne e bambini? Questo significa esserne complici almeno dal punto di vista etico.
Le parole scritte nel libro che uscirà, così come quelle rilasciate da Riina jr (che oggi vive a Padova in regime di sorveglianza, mentre il fratello Giovanni sconta l'ergastolo al 41bis, come il padre) riportate dal quotidiano, sono un'offesa all'intelligenza delle vittime di mafia, dei cittadini, ed anche alla verità.
Come si può definire un “eroe” un uomo che, pur non avendo fatto mancare nulla alla propria famiglia, ha commesso le più grandi bestialità?
Come ci si può lamentare che “è dal gennaio del 1993 che non faccio una carezza a mio padre, e così le mie sorelle e mia madre”?
Cosa dovrebbero dire allora tutte quelle famiglie che per colpa del padre sono state distrutte, chi per la perdita di un proprio familiare chi, come è avvenuto con le stragi del 1993, ha visto i propri cari diventare invalidi?
E' facile nascondersi dietro alla scusa del “non ne voglio parlare, perché qualunque cosa dicessi sarebbe strumentalizzata”.
E' facile dire “che di mafia non parlo”.
E' facile trincerarsi dietro al detto “la meglio parola è quella che non si dice”.
Certo non possiamo essere stupiti. Riina jr non fa altro che rispettare quelle regole che diventano legge all'interno di Cosa nostra, per tutti gli “uomini d'onore”, quelle dettate dal suo padre assassino, basate sull'omertà ed il silenzio.
Se davvero Riina jr vuole essere rispettato come uomo dovrebbe dissociarsi moralmente dal padre, recarsi dai magistrati, dire tutto quello che sa sulla mafia e soprattutto su quei rapporti segreti che Totò Riina, oggi “povero vecchio” al 41bis, ha avuto con i vertici dello Stato e dell'Economia.
Che la famiglia Riina dica dove è finito il resto del patrimonio del padre, chi lo detiene, quali sono le proprietà riconducibili alla sua famiglia che ancora non sono state individuate. Sono queste le cose che l'Italia onesta vuole e deve sapere, non i dettagli frivoli sulla vita trascorsa in latitanza, o quante volte il Capo dei capi ha visto il Moro di Venezia gareggiare nell’America’s Cup. Di poco interesse possono essere anche quali siano state le reazioni del boss nel giorno della morte di Falcone e Borsellino.
Riina jr, suo fratello, le sue sorelle, la sua stessa madre potrebbero essere stati vittime di un sanguinario assassino, manovrato dai potenti per schiacciare la democrazia in Italia ma, una volta conosciuta questa verità, non possono che seguire la via del pentimento e della collaborazione con la giustizia se davvero vogliono restituire l'onore alla propria famiglia e non esserne complici. Altrimenti farebbero meglio a tenersi stretti questi ricordi, senza offendere però la memoria di tutte quelle persone che per mano ed ordine del padre hanno perso qualcuno.
Perché è falso pentirsi “solo davanti a Dio”. Significa essere vigliacchi. La Bibbia ricorda che bisogna chiedere perdono alle persone offese, dire tutta la verità, e solo allora si può chiedere perdono anche a Dio.
E' vero può essere logico che un figlio, già condannato per mafia, rilasci “dichiarazioni d'amore” rispetto al padre. Se c'è qualcosa che non appare logico, però, è la scelta di editare un libro di questo tipo. Perché ora? Perché in questo momento in cui “La belva”, come veniva indicato dagli uomini di Cosa nostra, continua a lanciare sibillini messaggi e condanne a morte nei confronti di un magistrato come Nino Di Matteo, il quale assieme a pochi altri colleghi ha raccolto il testimone di Falcone e Borsellino, o persone come don Luigi Ciotti? Una scelta che non possiamo affatto condividere e che forse è più grave di tutto il resto.
Così come è altrettanto scellerato e grave che questa sera, sulla Rai, rete del servizio pubblico, nel programma di Bruno Vespa, “Porta a Porta”, vada in onda una sua intervista per pubblicizzare la pubblicazione del libro. Poco importa se vi saranno i commenti degli ospiti in studio. Qualunque sia il messaggio di Riina jr sarebbe come uno schiaffo a tutte quelle vittime innocenti della mafia che lo scorso 21 marzo sono state ricordate a Messina e che ogni giorno andrebbero onorate. Se non venisse fermata la messa in onda, ecco che avremo un nuovo scandalo di Stato-mafia.

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