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beni confiscati editorialedi Giorgio Bongiovanni
Le accuse non vanno a tutto lo Stato, che per fortuna è composto, ancora, da una parte di onesti cittadini, giornalisti, magistrati che rischiano la vita per le scottanti inchieste che hanno in mano (un nome per tutti, il pm Antonino Di Matteo) e perfino alcuni politici. Ma non si può ignorare che il sistema creato da quell’altra parte, lo Stato-Mafia che si cela dietro le stragi ’92 e ’93 e l’uccisione dei giudici Falcone e Borsellino, del generale dalla Chiesa e di tante vittime della mafia si annida anche dentro il sistema dell’amministrazione dei beni sequestrati e confiscati. Da tempo è noto che più di 11.000 immobili e 1.700 aziende, dislocati per l'80 per cento tra Sicilia, Calabria, Puglia e Campania, sono ancora congelati, nonostante si possano destinare trascorsi i 180 giorni dal provvedimento giudiziario e dopo aver verificato la possibilità che vengano utilizzati dalle Regioni e dallo Stato. O che giacciono, presso il fondo di Equitalia giustizia, due miliardi di euro, sequestrati e confiscati ma rimasti inutilizzati. E ora, l’inchiesta che ha coinvolto la sezione Misure di prevenzione del Tribunale di Palermo, e in particolare l’ex giudice Silvana Saguto, l’avvocato Gaetano Cappellano Seminara e l’ingegnere Lorenzo Caramma. Un giro di affidamenti dei beni a pochi professionisti che ne avrebbero ricavato "parcelle d'oro", un sistema di illegalità (se i reati verranno confermati) che genera la percezione che quei soldi sottratti alla mafia difficilmente saranno distribuiti in maniera equa. E qui non si parla solo di beni confiscati. Non si spiegherebbe altrimenti perché Susanna Lima (figlia di Salvo Lima, politico Dc ucciso da Cosa nostra nel marzo ‘92) ha incassato dallo Stato la somma di 1 milione e 815 mila euro grazie al Fondo di rotazione creato per i familiari delle vittime di mafia e terrorismo. E questo nonostante la Corte d’Assise di Palermo, nelle motivazioni della sentenza di condanna per i killer dell’eurodeputato andreottiano, specificava che Lima era stato ucciso in quanto non aveva mantenuto gli impegni assunti con Cosa Nostra. Mentre dall’altra parte la signora Giovanna Maggiani Chelli, presidente dell’Associazione tra i familiari delle vittime della strage di via dei Georgofili, si ritrova a elemosinare le pensioni di invalidità per chi riportò danni irreparabili dal tritolo a Firenze.

Ma che Stato è questo? Non certo quello in cui credevano Falcone e Borsellino, ma forse lo stesso Stato che li ha lasciati morire, e che oggi ostacola i magistrati che indagano sulla trattativa consumata sulla loro pelle e nel silenzio dei grandi media. Questo Stato che non vuole la verità sulle stragi che hanno insanguinato il Paese non ha, allo stesso modo, nessun interesse a sbloccare i beni confiscati e le somme congelate nel fondo di Equitalia. L’indagine sul giudice Saguto e su tutti gli altri indagati, che farebbero parte di questo sistema clientelare e corrotto, non può che suscitare sdegno e sconforto, pensando al lodevole lavoro di molti altri magistrati, i quali sono riusciti a strappare dalle mani di famiglie mafiose beni immobili e conti correnti, per poi vederli messi all’angolo a tempo indeterminato. Perché? A chi sono stati promessi quei soldi inutilizzati? E a chi dovrebbero andare, se non alle associazioni e a quelle infrastrutture che darebbero nuovo slancio all’economia locale e nazionale? Lo Stato-Mafia dovrebbe rispondere a questa domanda: fanno parte della trattativa anche le decine di miliardi di euro confiscati alla mafia che ancora dormono nei conti dello Stato? Certo è che, con gli ultimi sviluppi sulla mala gestione dei beni confiscati, continuano ad ingrossarsi le fila di quell'antimafia istituzionale plaudita da molti (in primis dal prof Fiandaca) ora in caduta libera nel mezzo di un'indagine per corruzione.

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