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di-matteo-toga-2di Giorgio Bongiovanni - 27 gennaio 2015
Il pm Nino Di Matteo all’Università statale di Milano
Quando si parla di legalità e giustizia la retorica e il politichese sono solo degli inutili addobbi che distolgono l’attenzione dal reale punto d’interesse.
Tanto più se il pubblico è formato da giovani studenti come nell’incontro 'Gli strumenti contro la criminalità organizzata' tenutosi questo 26 gennaio presso l’Università statale di Milano a cui hanno partecipato il sostituto procuratore Nino Di Matteo, il procuratore aggiunto di Palermo Bernardo Petralia, il giornalista Lirio Abbate e il giurista Bruno Giordano.
Di fronte ai ragazzi il pm Di Matteo è andato dritto al punto: Cosa Nostra "ha ancora la capacità di condizionare la politica ai più alti livelli nazionali”. "L'organizzazione - ha continuato il magistrato di Palermo - ha saputo allacciare rapporti con soggetti politici di altissimo livello come Giulio Andreotti e Silvio Berlusconi e con ex presidenti della Regione Sicilia come Cuffaro e Lombardo".
In un paese all’incontrario dove sono pochi i rappresentanti dello Stato che hanno il coraggio di dire  ai ragazzi come stanno le cose, senza ambiguità e ipocrisia, i politici nominati dal pm Di Matteo (che hanno governato l’Italia per decenni), sono ancora considerati innocenti dalla maggior parte della gente. Eppure sono tutti nomi scritti non solo nelle indagini ma nelle sentenze definitive. Il magistrato palermitano non ha rivelato nessun segreto delle sue indagini ma ha solo ricordato la verità scritta nei processi e nelle sentenze pubbliche. "Nella sentenza definitiva a carico di Marcello Dell'Utri - ha infatti sottolineato Nino Di Matteo - c'è scritto che è stato promotore e garante di un patto di protezione tra Berlusconi e i capi delle famiglie mafiose palermitane".
Per quanto riguarda i rapporti tra mafia e politica al giorno d’oggi il pm ha dichiarato: "Rispetto all'epoca di Falcone e Borsellino la situazione è peggiorata". "Oggi ci sono sentenze definitive, come quella su Dell'Utri - ha aggiunto - eppure non mi risulta che le persone coinvolte vengano allontanate dalla politica, ma discutono ancora su come riformare la Costituzione".
Proprio perchè "dalle stragi di mafia sono stati fatti grossi passi in avanti con la repressione dell'ala militare di Cosa Nostra, oggi sarebbe il momento giusto per fare un salto di qualità colpendo pesantemente chi è colluso con le organizzazioni mafiose - ha spiegato Di Matteo - ma non mi sembra che i politici abbiano la consapevolezza di questa necessità". Infatti per contrastare fenomeni come la corruzione e il voto di scambio "gli strumenti e le pene sono assolutamente inadeguate". "Il problema non sono le preferenze - ha inoltre spiegato Di Matteo rispondendo ad un ragazzo - ma piuttosto il voto di scambio, che non è adeguatamente punito".

"Centinaia di mafiosi giustamente sono in carcere, mentre le persone condannate in via definitiva per corruzione sono pochissime", ecco perché "la lotta alla corruzione deve diventare la priorità".
Ed invece non solo la maggior parte dei politici si guarda bene dal nominare le parole “mafia” e “politica” assieme, ma come ha osservato il magistrato palermitano: “Da almeno 20 anni è in atto un'offensiva unilaterale, nei confronti della magistratura, di una parte della politica, trasversale agli schieramenti, che non sopporta che il controllo di legalità si eserciti anche sull'azione dei governanti".
"Quando si parla di riforme come quella della responsabilità civile - ha spiegato il magistrato - si vuole burocratizzare la magistratura, renderla obbediente e timida nei confronti dei potenti". Un azione che va oltre uno dei principi cardine della democrazia, l’indipendenza della magistratura dalla politica.
Matteo Messina Denaro, il superlatitante di Castelvertano ha dato l’ordine di uccidere Nino Di Matteo e secondo le rivelazioni del neopentito Vito Galatolo, avrebbe scritto ai boss palermitani che il pm andava eliminato perché “è andato oltre”. Di Matteo, pubblica accusa assieme a Vittorio Teresi, Francesco Del Bene e Roberto Tartaglia nel processo trattativa Stato-mafia, infatti, va ben oltre la criminalità organizzata nelle sue indagini e ricerca gli intrecci veri che la mafia ha intessuto in questi anni con i potenti e che le hanno permesso di vivere e svilupparsi.
Cosa nostra può essere annientata solamente se viene repressa sul piano giudiziario e d’indagine, ma soprattutto se si riesce, come Di Matteo ha detto ai ragazzi, a tagliare il cordone ombelicale che lega mafia e potenti. Quando si riuscirà ad arrestare e condannare anche la cosiddetta “zona grigia” allora finalmente, dopo 150 anni, sarà riaccesa la speranza di poter distruggere la criminalità organizzata.