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vietti-micheledi Giorgio Bongiovanni - 6 agosto 2014
Quattro anni sono passati da quando il Csm ha eletto come vicepresidente Michele Vietti. Nonostante la proroga del Quirinale concessa all'attuale Consiglio in quanto il Parlamento non ha ancora proceduto all'elezione degli otto membri laici del nuovo Consiglio di Palazzo dei Marescialli è sicuramente questo il tempo delle analisi sull'operato di questo quadriennio e, alla luce dei fatti, quello passato non è stato certo un Consiglio Superiore della magistratura che ha brillato per la difesa dei magistrati. Anzi si potrebbe anche dire che si sia trattato del peggior Csm della storia.

L'ultima azione compiuta dal suo Presidente, che poi è il nostro Capo dello Stato, basterebbe a dimostrarlo. La lettera inviata al Consiglio superiore della magistratura in cui si chiede ai consiglieri di ricoprire “in via prioritaria” gli incarichi ai vertici degli uffici giudiziari che da più tempo sono rimasti senza titolare e a seguire il criterio cronologico appare come un intervento a “gamba tesa” che di fatto ha dato il là burocratico, ipocrita e farisaico, sancendo nei fatti lo stop all'elezione per il nuovo procuratore capo a Palermo. Uno stop assurdo, se si considera che la Procura di Palermo è una delle più importanti d'Italia, che è arrivato nonostante la Commissione per gli incarichi direttivi avesse già fornito una propria indicazione esprimendo per Guido Lo Forte (oggi procuratore a Messina) 3 preferenze, per Sergio Lari (Procuatore capo a Caltanissetta) una preferenza e per Francesco Lo Voi (Eurojust) sempre una preferenza.
 Un'azione, quella del Presidente Napolitano, che potrebbe apparire anche come un messaggio al “successore” di Messineo, in vista della prossima testimonianza del Capo dello Stato al processo trattativa Stato-mafia. 
Del resto questo Csm ha già dato dimostrazione, nel passato recente, di lasciarsi condizionare in più di un'occasione dai “desiderata” del Capo dello Stato, che del Csm è presidente ma che non dovrebbe avere poteri di fatto. Basti pensare agli innumerevoli provvedimenti disciplinari aperti (e il più delle volte archiviati o conclusi con il proscioglimento) nei confronti di magistrati come Antonino Di Matteo, Antonio Ingroia, Roberto Scarpinato e lo stesso capo della Procura Francesco Messineo. Strumenti usati per mettere pressioni su chi si è trovato o si trova tutt'oggi ad indagare e rappresentare l'accusa in importantissime inchieste come quella sulla trattativa Stato-mafia o il processo Mori-Obinu, sulle stragi o quant'altro. Un condizionamento plateale e continuo che non ha trovato compimento neanche tra gli anni '80-'90, quando predominava il potere politico democristiano e socialista, e che vide l'impeachment nei confronti del Presidente di allora, Cossiga, perché reo di tentare di impedire che il Csm ponesse all'ordine del giorno argomenti politici fuoriuscenti dalle sue attribuzioni. 
Csm che è stato anche autore di obbrobri giuridici come la circolare del 5 marzo scorso che modifica l’art. 8 della circolare sulle Direzioni distrettuali antimafia nelle procure. Con questo strumento, di fatto sono stati individuati criteri molto più rigidi per individuare i “casi eccezionali” che consentono la designazione di magistrati non appartenenti alla Dda per procedimenti da assegnare a quel gruppo di lavoro. Un vero e proprio “blitz” contro il “pool trattativa” considerato che i pm dello stesso, Nino Di Matteo, Roberto Tartaglia e Francesco Del Bene sono fuori dalla Dda. Soltanto l'intervento di Francesco Messineo, che ha chiesto l'applicazione al Csm “in ossequio al principio di continuità nella assegnazione delle indagini per un medesimo fatto” sottolineando l’importanza di non disperdere il patrimonio conoscitivo dei magistrati che non fanno parte della Dda, ha evitato lo smembramento dello stesso permettendo l'assegnazione delle indagini.
Un processo che, è chiaro, fa paura a tutti i livelli. E il Consiglio Superiore della Magistratura ha reso da tempo nota la propria posizione in merito. Basti pensare a quanto avvenuto a fine dicembre quando una delegazione si recò a Palermo per manifestare solidarietà nei confronti dei magistrati della Procura minacciati dalla mafia senza poi incontrare nessuno dei pm destinatario delle minacce. Nessun incontro con Antonino Di Matteo, oggetto degli ordini di morte lanciati dal carcere direttamente da Totò Riina, ma nemmeno con Francesco Del Bene, Vittorio Teresi e Roberto Tartaglia, che con lui sono titolari dell’inchiesta sulla Trattativa Stato–mafia.
E il motivo è presto detto. Nessuno ha invitato i magistrati all’incontro con i membri del Csm. “Se Di Matteo fosse stato qui sarei stato pronto a testimoniargli con un abbraccio la mia vicinanza, ma non lo vedo” si giustificò all'epoca l'avvocato Michele Vietti, che è anche il vicepresidente del Csm. Una gaffe clamorosa ma che in realtà rappresenta un chiaro messaggio. Un pò come dire “noi solidarizziamo con i magistrati minacciati ma non con Antonino Di Matteo e gli altri membri del pool”. Un modo chiaro per esprimere la propria contrarietà con il processo trattativa.

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