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relatoridi Giorgio Bongiovanni e Sonia Cordella - 13 giugno 2014 - Audio e fotogallery all'interno!
Ieri a Catania Gratteri, Di Matteo e Ardita hanno accusato il potere criminale

E' lo scenario suggestivo dell'antico monastero di San Placido, ormai parte di Palazzo Platamone, ad ospitare l’incontro “Giustizia, riforme e antimafia”, organizzato dall’associazione “Addiopizzo” a Catania. A parlarne sono relatori di grande spessore come Nino Di Matteo, sostituto procuratore di Palermo, Sebastiano Ardita, procuratore aggiunto di Messina e Nicola Gratteri, procuratore aggiunto di Reggio Calabria. Ad accomunarli quella caparbietà nel cercare fino in fondo le verità più fastidiose ed oscure che si celano nel nostro Paese. Un aspetto che li ha messi nel mirino di chi invece vuole a tutti i costi tenerle nascoste. Accanto a loro un giornalista coraggioso, testimone diretto degli eventi più tristi e drammatici della storia d'Italia, come Saverio Lodato e la moderatrice Chiara Barone.
Osservando bene non si può considerare casuale, ma causale, il vedere tre magistrati così importanti, impegnati costantemente nelle proprie attività, seduti allo stesso tavolo. Basta guardare i frutti più recenti del loro lavoro.
Sebastiano Ardita è stato protagonista, in qualità di coordinatore del pool di Messina, dell'arresto di Francantonio Genovese, uomo potente di Sicilia già segretario regionale del Pd. Nicola Gratteri, uomo di punta del contrasto alla mafia calabrese, la 'Ndrangheta, ha dimostrato con le sue inchieste come quest'organizzazione criminale sia  in questo momento la più ricca e potente di tutto il mondo. Un potere stabilito grazie al monopolio del narcotraffico in occidente e alla capacità di corrompere a tutti i livelli lo Stato e l'economia anche tramite alleanze con la massoneria deviata ed organi deviati dello stato. Nino Di Matteo è l'uomo ufficialmente e pubblicamente condannato a morte da Totò Riina, e cioè dalla mafia siciliana, per la pericolosità delle indagini che conduce insieme al suo pool di Palermo all'interno del processo sulla trattativa Stato-mafia, ancora in corso.

Questi tre pm antimafia hanno sferrato ieri sera un forte attacco al potere criminale in un susseguirsi di relazioni precise, concrete e chiare che dimostrano come poter ostacolare e addirittura sconfiggere lo stesso.
Un potere che tiene in ostaggio il nostro “Bel Paese” fin dalle origini della sua costituzione. Gratteri si è soffermato a spiegare come la riforma della giustizia dovrebbe essere impostata affinché i magistrati possano proseguire seriamente e dignitosamente il proprio lavoro in favore di quella Legge uguale per tutti tanto osannata in tutti i tribunali d'Italia. "Sono stato consulente gratuito della commissione Letta per studiare quali fossero le riforme da realizzare in Italia, penso che è il momento di tirare una linea”, ha detto il procuratore aggiunto di Reggio Calabria “non abbiamo bisogno di stabilire la temperatura, ma dobbiamo trasformare le relazione negli articolati di legge … Noi dobbiamo fare tante modifiche fino a quando renderemo non conveniente delinquere. Solo due cose fanno paura ai delinquenti: l'omicidio o l'associazione a delinquere di stampo mafioso. Per tutti gli altri reati l'arrestato resterà in carcere al massimo 5 anni. Dobbiamo creare un sistema di non convenienza”. Il magistrato si è poi soffermato a spiegare quanto i dibattimenti siano intasati di reati bagatellari che andrebbero eliminati. Infine il quesito del famoso perché sia conveniente delinquere ma la risposta purtroppo è sempre la stessa: “Perché la politica è assente, la mafia interviene dove non c'è l'istituzione... La pena del 416 ter” ha spiegato ancora il procuratore “è più bassa dell'associazione mafiosa, il messaggio è che è meno grave e facciamo sconti al candidato politico che ha rapporti con la mafia”. Gratteri ha toccato poi un altro dei punti fondamentali: “L'agenzia dei beni confiscati è un carrozzone, il Prefetto Caruso non sapeva quanti fossero gli appartamenti sequestrati. Io ho proposto di assegnare subito i beni sequestrati alle forze dell'ordine. È sbagliato mettere un prefetto all'Agenzia dei beni confiscati, ci vuole un manager, un imprenditore che capisca di bilanci, le imprese dopo il sequestro muoiono perché sono fuori mercato, le casse sono spesso scontrinifici per giustificare le fatture false fatte a monte, è la forma più rozza per riciclare i fondi provenienti dalla cocaina. La sede dei beni confiscati deve essere a Palazzo Chigi, quando c'è una crisi deve intervenire il ministro del lavoro o quello dell'economia. Un esempio di azione concreta può essere questo: se una Coop o un'azienda sta per fallire lo Stato potrebbe intervenire regalando alla stessa il bene confiscato. In cambio però l'eventuale Coop dovrà far lavorare i propri operai senza licenziarli”.


Sebastiano Ardita si è soffermato a ricordare le vittime della mafia non solo di Palermo ma anche di Catania: “Questa città grazie alla gente, a Cittainsieme, tutti coloro che si ritrovavano attorno al mitico presidente Scidà, si è ribellata alla mafia. Quando morì Pippo Fava chi poteva orientare le opinioni della gente si inventò la pista passionale. E invece era l'unico che parlava dei Santapaola, stesso discorso vale per l'ispettore Lizzio, lottava per un risultato, faceva la guerra ogni giorno. Una brutta sera di settembre ricevetti la telefonata: avevano ucciso l'ispettore Lizzio, aveva portato i testimoni contro un capo decina di Cosa Nostra”.

Nino Di Matteo ha rivolto poi l'attenzione sugli atteggiamenti erronei e sugli errori commessi dalla politica puntando il dito in particolar modo sul pericolo di leggi che non vengono approvate o vengono approvate al contrario. “Mi sembra che sia l’ennesima dimostrazione di chi persegue quel fine di ridimensionamento, di burocratizzazione, di asservimento della magistratura al potere politico che era il fine caratterizzante e chiaramente caratterizzato nel programma di rinascita democratica della P2”  ha denunciato il titolare delle indagini sulla trattativa stato-mafia in riferimento alla recente approvazione dell’emendamento, proposto dalla Lega Nord e passato alla Camera a scrutinio segreto, che introduce la responsabilità civile dei magistrati. Il sostituto procuratore ha proseguito parlando del ruolo militare della mafia e dei suoi rapporti con le istituzioni. Toccante il suo racconto nel ricordare con profonda commozione la prima volta in cui indossò la toga da magistrato durante i funerali di Giovanni Falcone.

Il pubblico numeroso composto da moltissimi giovani ha seguito con attenzione il susseguirsi degli interventi. Emozionante anche l'intervento di Elena, figlia di Pippo Fava, che ha puntato il dito contro il mondo dell'informazione, ricordando il ruolo del padre e l'impegno della Fondazione Fava per la formazione culturale dei giovani.

Il giornalista e scrittore Saverio Lodato ha voluto riconfermare la sua teoria basata sulla logica che purtroppo da 150 anni a questa parte la mafia esiste ancora non perché ci sia stata una contrapposizione mafia-stato ma perché le due cose oramai coincidono e cioè vi è uno stato-mafia e una mafia-stato che non convivono insieme ma che sono un unico potere in Italia. Un concetto che lo stesso Lodato ha detto di aver realizzato quando Giovanni Falcone gli parlò delle "menti raffinatissime", in un'ormai famosa intervista, che avrebbero organizzato il fallito attentato all'Addaura contro la persona del giudice. Lo scrittore ha sferrato poi un feroce attacco contro la politica per l'approvazione della legge che rimette in auge la responsabilità civile dei magistrati e cioè in parole povere che ha il potere di punire i magistrati quando commettono errori. Un atto che lo scrittore ha denunciato come un attacco non politico ma “di guerra contro la magistratura” soprattutto se consideriamo che negli ultimi tempi la stessa si sta ponendo in una forte azione di contrasto attraverso denunce e arresti contro corrotti e corruttibili, dal nord al sud Italia, contro Cosa nostra, 'Ndrangheta, Sacra corona unita e Camorra. Ultimi fatti eclatanti possono essere l'ultimo pentimento a Napoli del pericolosissimo Antonio Iovine, oppure le ultime vicende del Mose a Venezia. Tutto questo può essere visto dal potere politico in maniera allarmante perché è la prova che esiste una magistratura seria e incorruttibile, che fa da contraltare a quella prona e asservita che si è manifestata in altre occasioni. Una magistratura in grado di contrastare quel potere criminale che si annida all'interno delle istituzioni. E' impossibile non notare la “latitanza” del primo ministro Matteo Renzi, il quale, guarda caso, quando si votano leggi assolutamente essenziali e indispensabili per la nostra Repubblica e per la nostra costituzione (in questo caso trattasi dell’emendamento passato alla Camera sulla responsabilità civile dei magistrati, prima citata da Di Matteo ndr) si trova all'estero. D'altro canto anche il suo predecessore Letta in tempi di scandali si è sempre trovato puntualmente lontano dal nostro Paese. Ora attendiamo con ansia il ritorno del Premier e, visto che è stato  stravotato dai cittadini italiani, speriamo vivamente che possa, con un atto di forza, evitare che venga approvata tale assurda legge.

Anche noi di ANTIMAFIADuemila eravamo presenti a Catania. Chiamati sul palco dei relatori per offrire una nostra breve testimonianza ci siamo permessi di ricordare, rispondendo alla domanda di uno dei presentatori, che la mafia sarà sconfitta ma che non vogliamo ancora una volta dover piangere sulle bare di questi magistrati. E bisogna battersi ad ogni costo affinché la mafia possa essere annientata, senza dover assistere a nuove stragi.
A Catania ieri sera è stato lanciato un messaggio chiaro, forte, importante e preciso da parte dei magistrati che rischiano la vita. Un messaggio dall'asse Reggio Calabria-Catania-Messina-Palermo contro il potere politico-criminale-mafioso.

Foto © Giorgio Barbagallo

AUDIO DEL CONVEGNO
Giustizia, riforme, antimafia
Catania, 12 giugno 2014 - Durata 2h 30' 17"

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