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europa-mafia-bigdi Giorgio Bongiovanni e Monica Centofante
Proponiamo la seguente riflessione sulla scia dell’interessante dibattito interno al movimento politico Alternativa nato in seguito al pezzo scritto da Giulietto Chiesa (“Riflessioni su alcuni orientamenti tattici e strategici di Alternativa”) del quale condividiamo i contenuti.
Con la nostra analisi, che guarda il problema “Europa sì / Europa no” da un’angolazione diversa rispetto a quanti ci hanno preceduto, speriamo di poter fornire un ulteriore tassello di ragionamento su un tema estremamente complesso.

Per rompere il ghiaccio diciamo subito che, secondo noi, chiunque sostiene l’uscita dell’Italia dall’Unione Europea fa, ovviamente in buona fede, gli interessi della Mafia Spa. Che potrebbe finalmente coronare l’antico sogno di comprarsi il nostro Paese e affermare su di esso la propria totale supremazia.
Nell’avviare la nostra riflessione mettiamo due punti fermi che, a nostro avviso, non sono affatto scontati. Anzi, spesso sfuggono all’opinione pubblica e al dibattito politico.

Punto primo. La criminalità organizzata, nel nostro Paese, non può essere considerata un fenomeno pericoloso ma marginale (da combattere con ordinari strumenti di repressione giudiziaria), un capitolo secondario della nostra storia senza alcuna influenza sulla vita della Nazione.

Al contrario la questione criminale e quella dello Stato e della stessa Democrazia, in Italia, sono coincidenti e ciò è provato da numerosi processi e da indagini in corso che dimostrano:

    a.
    l’utilizzo delle mafie, spesso e volentieri, come braccio armato dello Stato per mantenere o spostare equilibri di potere;
    b.    la corruzione sistemica di buona parte della nostra classe dirigente e imprenditoriale;
    c.    l’utilizzo del metodo mafioso come modello di gestione del potere e di organizzazione sociale.

Per il “capo a” basti pensare alle tante “stragi di Stato” che si sono avvicendate nel corso della storia d’Italia e le conseguenti, raffinatissime, operazioni di depistaggio che da Portella della Ginestra alle bombe  del ’92 e del ’93 non ci hanno mai permesso di giungere a verità processuali sui reali mandanti di quegli episodi eversivi.
Per il “capo b” e il “capo c” valgono, anche se solo a titolo di esempio, le più recenti inchieste sulle varie P3 e P4 o quelle sulla presenza della ‘Ndrangheta in Lombardia. Le quali provano che si è sempre più assottigliato il confine tra il sistema della corruzione politico-amministrativa e il sistema criminale mafioso. Tanto che, lo ha recentemente dichiarato il procuratore aggiunto di Palermo Antonio Ingroia, “finiscono per essere due facce della stessa medaglia”.
E provano anche che la mafia non è un mondo così distante da quello in cui viviamo noi, onesti cittadini. Tutt’altro: è profondamente intrecciato con le nostre vite poiché l’uno alimenta l’altro e viceversa.
L’esempio più semplice, per comprendere questo concetto, è in quella serie di beni e servizi che le mafie offrono quotidianamente a consumatori consenzienti:
Beni come, ad esempio, la droga o gli esseri umani da destinare alla prostituzione;
Servizi come l’offerta di capitali liquidi da riciclare attraverso attività imprenditoriali, l’offerta di esecuzione di lavori d’appalto a prezzi concorrenziali, la fornitura di false fatturazioni ecc. “In estrema sintesi – come spiega Roberto Scarpinato (1), procuratore generale a Caltanissetta – nell’attuale fase di recessione molte imprese cedono alla tentazione di affidare il recupero di competitività sul mercato non all’innovazione dei processi produttivi, ma alla riduzione dei costi e alle opportunità di guadagno discretamente offerti dai colletti bianchi delle mafie. Tale occulta e impropria risorsa competitiva sempre più spesso si coniuga poi con quella dello sviluppo della capacità corruttiva”.

Detto questo arriviamo al Punto secondo, che integra e approfondisce alcuni dei concetti espressi nel primo.
La porta attraverso la quale la Mafia è sempre più penetrata nel tessuto “legale” della nostra società,  fino a conquistarne i vertici e a cambiare le regole del gioco, è quella dei soldi.
Per decenni mercati e governi hanno accettato che fiumi di denaro sporco venissero riversati nell’economia legale nella convinzione che la ricchezza avrebbe portato sviluppo. Errore devastante.
Grazie a questa pericolosa sottovalutazione, nel corso degli anni la criminalità organizzata si è riciclata attraverso il controllo o l’acquisto di innumerevoli società commerciali, forte dell’immenso capitale accumulato con le attività illecite (prima fra tutte il traffico di droga, l’unico che ha un ritorno di investimento di 3 contro 1 in una settimana, secondo dati del 2007). E con la faccia ripulita è entrata a pieno titolo nei salotti buoni della finanza, dell’economia e della politica imponendo le proprie leggi, alterando il meccanismo della libera concorrenza con il fine logico di garantirsi il controllo monopolistico od oligopolistico del settore economico in cui di volta in volta ha operato ed opera (così come ha fatto e sta facendo nei diversi settori dell’economia criminale).
Gli imprenditori che hanno permesso l’ingresso di questi capitali possono essere classificati in due categorie: quella delle vittime, costrette a piegarsi alle richieste delle organizzazioni mafiose; quella dei collusi, che hanno tratto enorme profitto da questo rapporto. “In vari processi riguardanti la mafia siciliana – spiega ancora Scarpinato (2)– è stato accertato che settori di vertice del mondo imprenditoriale, i cui esponenti hanno spesso rivestito anche ruoli dirigenziali nelle varie organizzazioni sindacali degli imprenditori, hanno utilizzato le loro relazioni politiche e le loro relazioni con la mafia tradizionale per assumere una funzione di regolatori di vasti settori del mercato secondo logiche oligopolistiche. In tali settori hanno formato cartelli di imprese che gestiscono l’intera filiera produttiva”. Mentre “la direzione dei cartelli, che operano in diverse zone del territorio e nei vari settori merceologici, secondo una ripartizione delle zone di influenza, è assunta da imprenditori che svolgono una funzione di cerniera con il mondo politico e quello mafioso, dettando le regole di ingresso, stabilendo i prezzi, imponendo le condizioni alla manodopera, indicando i fornitori ecc.”.
Aderendo a questi cartelli gli imprenditori consenzienti sono entrati a far parte di un sistema che, come sopra accennato, ha eliminato rischi e costi della concorrenza, garantendosi lavoro sicuro. Senza più alcuna necessità di investire in innovazione e ricerca. I politici e i soggetti istituzionali invece, in cambio di voti, guadagni facili e favori di ogni genere, hanno garantito il drenaggio di finanziamenti pubblici in direzione degli stessi cartelli e ogni forma di copertura istituzionale e di impunità.
Sono nati così quelli che processualmente vengono definiti “sistemi criminali” o, nel linguaggio giornalistico moderno, cricche e comitati d’affari. Nei quali entrano a pieno titolo le massonerie deviate e all’interno dei quali ognuna delle componenti presenti mette a disposizione i propri mezzi e la propria specifica competenza. Nel caso della mafia, in particolare, le immense liquidità accumulate con i traffici illeciti e la violenza, vero e proprio “valore aggiunto” delle organizzazioni criminali.
Tali sistemi di potere si sono così trasformati in potenti macchine sociali che condizionano settori della vita pubblica e del mercato.
Grazie a questo sistema di penetrazione, una volta conquistate le regioni d’origine, quelle a tradizionale incidenza mafiosa, la Mafia Spa si è spostata al nord e centro Italia e quasi contemporaneamente all’estero. Trasformandosi, negli anni, nella prima azienda italiana “per fatturato e utile netto e in una delle più grandi per addetti e servizi” (e quindi uno dei poteri più forti del Paese) e posizionandosi ai primi posti anche sul mercato internazionale. Dove ha spostato la maggior parte dei suoi capitali.
Per citare alcuni significativi dati, secondo l’ultimo rapporto di Sos Impresa – Confesercenti, pubblicato in questi giorni, il fatturato annuo della Mafia Spa ammonterebbe a 140 miliardi di Euro con un utile che supera i 100 miliardi di euro al netto degli investimenti e degli accantonamenti. Cifre che sono approssimate per difetto, perché è impossibile calcolare esattamente gli introiti delle mafie (basti pensare che i guadagni del traffico di stupefacenti sono calcolati sulla base della droga sequestrata, una minima parte rispetto a quella in circolazione). Cifre che, da sole, potrebbero salvare il nostro Paese dal rischio di default. Mentre la grande disponibilità di capitali liquidi, nella situazione di grave crisi economica che stiamo attraversando, supera quella degli istituti di credito. Un dato allarmante che ha come conseguenza l’ulteriore incremento del riciclaggio di denaro illecito all’interno delle attività imprenditoriali, dal momento che in forte aumento sono gli imprenditori, a cui vengono negati prestiti dalle banche, che decidono di rivolgersi alla mafia. E che quando non possono restituire i debiti si vedono costretti a cedere l’azienda.
Anche in questo modo, nel corso degli anni, la Holding del crimine ha “acquisito” società commerciali, mentre l’enorme massa di denaro accumulato le ha consentito di conquistare sempre maggiore consenso e potere, di comprare poliziotti, giudici, funzionari pubblici, mezzi di informazione e politici. Fino ad acquisire una forza tale da infiltrare propri uomini, direttamente, fino ai più alti scranni del potere politico.
I numeri, ben sintetizzati nel libro “Mafia Pulita” (3), parlano chiaro: cinque Asl e 171 comuni sciolti per infiltrazioni mafiose, 130 amministratori rieletti negli stessi comuni, quattro banche poste in liquidazione per condizionamenti criminali, 40 magistrati processati per collusione con la mafia così come innumerevoli funzionari pubblici o esponenti delle forze di polizia. Ancora, secondo le stime del 2007, i parlamenti (italiano ed europeo) contano 25 condannati definitivi, 8 condannati in primo grado, 17 imputati, 19  indagati, 10 prescritti, più 82 salvati grazie all’immunità. Numerosi, tra tutti i soggetti elencati, processati, o sotto processo, per concorso esterno in associazione mafiosa.
Senza contare che questa enorme  macchina della corruzione, che sta distruggendo l’intero Paese, ha considerevoli costi. Poiché ognuno degli ingranaggi, per poter funzionare correttamente, deve essere opportunamente oliato. Secondo gli studi degli analisti economici i costi della corruzione e dell’economia criminale – che la Corte dei Conti stima in 60 miliardi di euro l’anno - hanno una notevole incidenza sul Pil e sulla vita reale dei cittadini (in termini di disservizi pubblici, maggiore imposizione fiscale, minore opportunità di lavoro per chi è esterno al “sistema”). E se ne nelle fasi espansive del ciclo economico possono essere metabolizzati, nelle fasi recessive, come quella che stiamo attraversando, contribuiscono ad accelerare il rischio di default.

Detto questo veniamo alla questione “Europa/Euro sì – Europa/Euro no”. Partendo da un dato certo: la crisi economica ha manifestato effetti particolarmente gravi soprattutto nel Meridione del nostro Paese. Poiché in quell’area maggiormente devastante è la situazione sin qui descritta. Anche se, per ragioni di spazio, solo in estrema e rude sintesi.
La forbice economica tra Nord e Sud che aumenta di anno in anno rischia, già allo stato attuale delle cose, di provocare una vera e propria secessione economica tra queste due aree del Paese con il conseguente rischio che il Sud venga consegnato alle organizzazioni criminali. Un rischio per nulla remoto, se consideriamo che per zone più ristrette, come il quartiere Zen di Palermo o quello di Secondigliano, a Napoli, di fatto è già così. E che la questione meridionale sembra essere scomparsa dall’agenda dei partiti politici.
La secessione del sud dal resto d’Italia, tra l’altro, è un “sogno nel cassetto” che le mafie nutrono da tempo. “Finora – rivelava il collaboratore di giustizia Leonardo Messina al giudice Paolo Borsellino, nel 1992 – hanno controllato lo Stato. Adesso vogliono diventare Stato”. Un’evoluzione quasi “naturale” di quel sistema di potere, che una volta conquistato il Paese punta a dominarlo.
La dichiarazione di Messina, insieme a molte altre, è riportata nell’indagine denominata proprio “sistemi criminali” (4), secondo la quale nei primi anni Novanta, in un periodo di forte instabilità per l’Italia, si è registrata una molteplicità di contatti tra le organizzazioni criminali fra loro e con settori dell’eversione nera e della massoneria per sviluppare un progetto di ristrutturazione politica del Paese. Progetto che sarebbe passato attraverso un piano di destabilizzazione violenta.
In quegli anni, come si ricorderà, vi era un certo fermento politico di tipo separatista, con il formarsi delle varie leghe in tutta la Penisola. Progetto spinto, in particolare, spiegano i giudici, dal massone Licio Gelli, “in costante contatto con elementi di raccordo tra imprenditoria commerciale e cosche mafiose riconducibili a Cosa Nostra, unitamente ad esponenti della destra eversiva (Stefano Delle Chiaie)”. “Progetti che sembravano poter coniugare perfettamente le molteplici aspirazioni provenienti da quel composito mondo nel quale gruppi criminali con finalità politico-eversive si affiancano a lobbie affaristiche e mafiose”.
Secondo gli inquirenti si era delineata la fisionomia di un progetto di riorganizzazione del sistema dei poteri criminali nazionali, finalizzato ad impossessarsi dello Stato. Attraverso strategie ispirate da un certo entourage delle organizzazioni mafiose, “garante dell’efficienza delle ‘relazioni esterne’ di queste ultime con il mondo della politica, dell’economia, delle professioni e delle istituzioni. Un entourage  capace di orientare le scelte strategiche ad ampio respiro delle organizzazioni mafiose, ma anche ‘tessuto connettivo’ fra le varie mafie nazionali, delle quali ha agevolato il processo di integrazione e compenetrazione che ha dato luogo in una certa fase storica ad uno dei più ambiziosi progetti criminali della storia repubblicana”.
L’obiettivo di questo “sistema criminale”, quindi, sarebbe stato quello di azzerare e rimuovere le reti politico-collusive che fino a quel momento avevano fatto da garante per poi sostituirle con altre più idonee e affidabili. E al fine di raggiungere lo scopo si era cercato di destabilizzare l’assetto politico del paese per poi “trasformare lo Stato unitario in una nuova ‘forma Stato’ che contemplava la rottura dell’unità nazionale, la divisione dell’Italia in più stati o macroregioni e, comunque, la secessione della Sicilia”.
Più specificatamente si puntava a creare uno Stato autonomo del Sud che avrebbe trasformato questa parte del Paese in una sorta di zona franca dove i soggetti che esprimevano gli interessi del sistema criminale avrebbero potuto gestire, anzi, monopolizzare l’economia lecita e illecita.

Quel progetto, così come era stato pensato, non si è potuto, per fortuna, realizzare. Le bombe però sono scoppiate; un intero sistema politico, a far data dall’omicidio dell’on. Salvo Lima, è crollato e la mafia ha trovato nuovi referenti con cui stringere accordi. Nel frattempo il processo di mafiosizzazione del Paese, come già detto, è proseguito in maniera strisciante e, negli ultimi vent’anni, le condizioni a cui il progetto stesso era legato si sono nettamente rafforzate. Espandendosi in modo preoccupante lungo tutta la penisola, sia in orizzontale che in verticale.
Il pericolo di un nuovo “golpe”, quindi, non è per nulla scongiurato. Tutt’altro. Potrebbe ripresentarsi in tutta la sua devastante potenza proprio se il nostro Paese decidesse di abbandonare l’Europa e l’Euro.
La superpotenza della Mafia Spa, nel caso di un ritorno alla lira, aumenterebbe infatti in modo esponenziale. Il potere d’acquisto  delle immense disponibilità liquide in suo possesso -  che sono in euro e in dollari e che si trovano fuori dal nostro Paese - si triplicherebbe. E l’unica azienda nostrana che non soffre la crisi, anzi della crisi si nutre, potrebbe coronare definitivamente il sogno di comprarsi non solo il Meridione d’Italia, già allo stato attuale delle cose sottoposto a un grave rischio, ma l’Intero Paese.
I presupposti, come abbiamo visto, ci sono tutti. E a quanto già detto occorre aggiungere che senza i vincoli dell’Unione Europea il sistema criminale, in Italia, avrebbe campo libero.
Che questa Europa sia da riformare non vi è alcun dubbio. Ma se è vero questo, vero è anche che l’Europa, allo stato attuale delle cose, è l’unica nostra ancora di salvezza.
Il processo di unificazione europeo ha costretto e costringe i sistemi di potere nostrani a fare i conti con le classi dirigenti degli altri Stati  membri, che sono antropologicamente diversi dal nostro e che ci impongono di adeguare la nostra legislazione a quella comunitaria. Ed è un fatto, solo per citare un esempio, che le uniche norme serie contro la corruzione sono quelle approvate dal nostro Parlamento solo ed esclusivamente perché costretto dagli obblighi assunti con il Parlamento Europeo.
Come è un fatto, denunciato da anni da magistrati in prima linea ed esperti del settore, che se la Mafia Spa non verrà combattuta su scala internazionale (5), con una legislazione adeguata e comune a tutti gli Stati (la maggior parte dei quali non contemplano nemmeno il reato di associazione mafiosa), questa proseguirà indisturbata a fare affari ovunque, continuando a sfruttare gli immensi vantaggi della globalizzazione. Per poi, nel caso l’Italia dovesse uscire dall’Euro, venire a riciclare nel nostro Paese capitali sporchi di ogni specie. Senza alcun controllo e potendo agire indisturbata sul territorio italiano come nel cortile di casa sua.
Chi la fermerà? Quei poteri che nell’ultimo secolo hanno stretto accordi con lei, hanno fatto affari con lei, si sono avvalsi della sua forza di intimidazione per conquistare o mantenere il comando del Sud del nostro Paese o dell’intera Italia? Quei poteri che, sin dalla sua nascita, hanno fatto strame della nostra Costituzione? Quella rete nazionale di sistemi criminali che ha ormai nelle mani l’intera Penisola e che trarrebbe ancor più vantaggio dalla nuova situazione?
La fermerebbero forse le “forze alleate statunitensi”? Quelle che nel Kosovo, secondo fonti riservate della Nato, avrebbero appoggiato il primo ministro Hashim Tachi, in passato tra i leader dell’Uck, l’esercito di liberazione kosovaro, che finanziò la guerriglia con i soldi del narcotraffico? Hashim Tachi, sospettato di essere stato alla guida di un gruppo criminale di stampo mafioso che, oltre al traffico di stupefacenti, gestiva quello delle armi e degli organi umani in Kosovo. Recentemente accusato di aver eliminato fisicamente almeno 450 persone e solo nei sei mesi successivi alla fine della guerra contro la Serbia (6).
Meditiamoci su. La storia attuale del Kosovo, o magari quella della Colombia, o del Messico, potrebbero essere il nostro futuro.
In conclusione diciamo che per tutti i motivi sin qui elencati, seppur in forma estremamente sintetica, ci dichiariamo convinti che se nelle nostre analisi non terremo conto anche di questo aspetto, per nulla secondario nella storia del nostro Paese, correremo un grave rischio. Di più. E’ forte in noi l’idea che finché non saranno risolti definitivamente il problema della mafia, della mafiosità, della corruzione sistemica in Italia, difficilmente, potremo fare passi avanti.

Note
1.    Roberto Scarpinato, attuale procuratore generale presso la Corte d’Appello di Caltanissetta, ha fatto parte dello storico pool antimafia con Giovanni Falcone e Paolo Borsellino. Nel corso della sua carriera in magistratura ha svolto le funzioni di pubblico ministero in diversi importanti e complessi processi contro soggetti appartenenti alla politica e alle istituzioni, tra i quali quello contro il senatore Giulio Andreotti o contro l’ex numero 3 del Sisde Bruno Contrada. Per diversi anni, presso la procura di Palermo, ha diretto il Dipartimento mafia-economia.
2.    Tratto dalla relazione presentata a Bruxelles, nel marzo del 2010, nell’ambito delle discussioni al Parlamento Europeo “Verso una strategia europea per combattere il crimine organizzato transnazionale”.
3.    Mafia Pulita, di Elio Veltri e Antonio Laudati (Ed. Longanesi, 2009)
4.    Indagine condotta dall’allora procuratore aggiunto di Palermo Roberto Scarpinato insieme ai sostituti Antonio Ingroia e Nico Gozzo e conclusa con una archiviazione per scadenza dei termini.
5.    Di particolare rilevanza il lavoro svolto dall’onorevole Sonia Alfano (vedi http://www.antimafiaduemila.com/2011103134400/Primo-piano/il-parlamento-europeo-approva-il-rapporto-sulla-criminalita-organizzata-e-le-mafie-nellue.html)
6.    Per approfondimenti vedi
http://eastjournal.net/2011/01/26/kosovo-traffico-dorgani-il-parlamento-europeo-approva-la-risoluzione-marty
http://archivio.antimafiaduemila.com/notizie-20072011/188-world-news/32126-traffico-di-organi-umani-bufera-sul-governo-del-kosovo.html


KOSOVO: GUARDIAN, PER NATO THACI È UNO DEI LEADER MAFIA


25 gennaio 2011
BELGRADO. Il premier kosovaro Hashim Thaci sarebbe uno dei «pesci grossi» della criminalità organizzata in Kosovo, secondo informazioni riservate della Nato riferite stamani dal quotidiano britannico Guardian.
Il giornale di Londra aggiunge che un altro dei maggiori esponenti del crimine organizzato in Kosovo sarebbe Dzavit Haliti, uno dei più stretti collaboratori di Thaci. I documenti in possesso del giornale inglese, ha riferito da parte sua la tv pubblica serba Rts, sono la prova che gli americani e le altre forze occidentali sono stati a lungo a conoscenza dei contatti di Thaci con la criminalità kosovara. Il Consiglio d'Europa voterà oggi su un rapporto del relatore svizzero Dick Marty, nel quale si denuncia un traffico di organi umani messo in atto in Kosovo e Albania alla fine degli anni Novanta dalla guerriglia indipendentista kosovara, ai danni sopratutto di prigionieri serbi. Secondo Marty, difficilmente Thaci, che era uno dei leader dell'Uck (Esercito di liberazione del Kosovo), sarebbe stato all'oscuro di tale traffico.

ANSA

 

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