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di Giorgio Bongiovanni - 20 luglio 2010
Caro Sergio,
a seguito delle tue affermazioni relative a coloro che parlano della strage di via d'Amelio come una “strage di Stato” e che tu stesso definisci “vili criminali” mi sento in dovere di risponderti.


Quasi 10 anni fa tu stesso hai denunciato l'impossibilità di catturare Bernardo Provenzano e gli altri latitanti a fronte dei mezzi e degli uomini che ti erano stati tolti dai vertici dell'Arma. La tua denuncia era rivolta proprio a quei superiori che così facendo ti hanno costretto ad abbandonare Palermo e la caccia ai latitanti.
Quegli stessi superiori sui quali ancora non è stata fatta chiarezza in merito alla mancata cattura di Provenzano a Mezzojuso nel 1995, alcuni dei quali sono attualmente sotto processo con questo capo di imputazione.
Ricordo bene l'indignazione popolare che si sollevò all'epoca in tuo favore, così come la petizione al Ministero dell'Interno, attraverso la raccolta di firme per il tuo reintegro, di cui ci siamo fatti promotori.
Nonostante l'eco mediatico e nonostante la tua pluriennale esperienza i vertici dell'Arma non hanno però provveduto a reintegrarti alla tua principale attività di ricerca dei latitanti. Favorendo così lo smembramento della tua squadra e mettendo fortemente a rischio la tua incolumità (attraverso la divulgazione del tuo nome e cognome), già segnata dalle minacce di morte di Cosa Nostra per l'arresto di Salvatore Riina.
Oggi, a distanza di 10 anni, tu offendi gravemente coloro che nel cercare una verità completa sul biennio stragista '92/'93 cominciano a trovare i riscontri su quelle stesse teorie che già negli anni passati ipotizzavano quegli eccidi come “stragi di Stato”.
Con le tue dichiarazioni offendi il lavoro di quei magistrati che, nonostante i pesanti attacchi di uno Stato che non vuole processare se stesso, si ostinano ad andare avanti nel nome della verità e di una legge uguale per tutti; offendi quei giornalisti liberi come noi che cercano di contribuire al raggiungimento di una verità storica ancor prima che giudiziaria. Ma soprattutto offendi i familiari delle vittime di quelle stragi, che per primi hanno pagato un prezzo altissimo per questa scellerata “trattativa” tra Stato e Cosa Nostra, e che prima di morire chiedono di avere giustizia.
Sarebbero questi i “vili criminali”? No, Sergio. I criminali sono quegli apparati dello Stato che hanno armato il braccio di Cosa Nostra e che si sono macchiati di sangue innocente. Che appartengono a un sistema “criminale” a tutti gli effetti, pronto a eliminare gli uomini migliori dello Stato stesso.
Che questa “trattativa” tra pezzi delle istituzioni e Cosa Nostra possa essere stata progettata ed in parte attuata è scritto anche nelle sentenze delle stragi del 1993.
In quelle sentenze vi sono dei passaggi alquanto inquietanti che sanciscono la gravità della scelta commessa dai tuoi superiori che avendo cercato un contatto con Cosa Nostra hanno fatto sì che mafiosi del rango di Riina si sentissero “accreditati” e presi in considerazione dallo Stato che scendeva a “trattare”. La strage di via d'Amelio, così come quelle del '93 a Firenze, Roma e Milano, sono di fatto una consequenzialità di quella “trattativa”.
Andare a “trattare” con la mafia attraverso Vito Ciancimino è stata una scelta imperdonabile  per lo Stato, così come per i tuoi superiori che si sono prestati a queste direttive. Questi sono fatti incontrovertibili. Che non possono essere smentiti.
Come puoi dire che nella guerra tra Stato e mafia è lo Stato che ha vinto?!
Le diverse “vittorie” di questi anni da parte della mafia sono sotto gli occhi di tutti. La classe politica, per certi versi trasversalmente, ha assecondato aspettative di Cosa Nostra per far cessare le stragi: a partire dallo svuotamento del 41bis, passando per la chiusura delle supercarceri, per non parlare dello smembramento dell'istituto dei collaboratori di giustizia di cui la negazione del programma di protezione a Gaspare Spatuzza è solo l'ultimo caso emblematico. Quella stessa classe di politicanti ha negato o sminuito la pericolosità della mafia e della sua ingerenza nel normale svolgimento della democrazia di un Paese “civile”.
Ed è per questo motivo che non posso accettare queste tue dichiarazioni già fatte in passato da quegli stessi personaggi.
Non posso accettare le tue affermazioni sullo Stato che avrebbe vinto contro la mafia, tu sai che non è così. Lo Stato ha vinto alcune battaglie contro la mafia. Ma non la guerra.
Ma se tu ritieni di poter affermare quanto dici è necessario discuterne in un pubblico dibattito (che tuteli ogni aspetto della tua sicurezza) al quale sono disponibile a partecipare, o comunque è necessario affrontare la discussione in uno spazio telematico accessibile a tutti.
Altrimenti davvero non riesco a riconoscere più il grande investigatore che ho incontrato 10 anni fa, quell'uomo dotato di intuito, di profonda umanità e spiritualità, capace di sacrifici immani per raggiungere gli obiettivi prefissi.
Oggi siamo a un bivio per il futuro del nostro Paese, possiamo finalmente dipanare quelle nebbie che per anni hanno impedito di capire fino in fondo le cause del biennio stragista '92/'93 (per non parlare delle altre stragi a partire da Portella della Ginestra), o altrimenti quelle stesse “cortine fumogene” si materializzeranno nuovamente per occultare una volta per tutte ogni possibilità di avere giustizia.
Sia chiaro che non penso minimamente che tu sia protagonista o complice di trattative tra mafia e Stato, ma non posso nemmeno accettare che tu definisca “vili criminali” coloro che stanno riscontrando con evidenze innegabili come lo Stato abbia collaborato con Cosa Nostra per uccidere Falcone e Borsellino.
Nel frattempo noi dobbiamo pretendere ad ogni costo di conoscere la verità. Tutta. Sia essa scomoda o destabilizzante per una Repubblica fondata sui tanti “segreti di Stato” e sul sangue di troppi martiri.
A quella domanda di giustizia che ormai giunge da più parti abbiamo l'obbligo di dare risposta.
Ma è necessario andare oltre se stessi. Nel nome della verità.
Solamente così potremo gettare le basi per una nuova civiltà finalmente libera.
Con l'amicizia di sempre, ma anche con la franchezza e la trasparenza di sempre.

Giorgio Bongiovanni

Direttore Responsabile

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