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di Giorgio Bongiovanni - 4 febbraio 2009
Intervista al sostituto procuratore di Palermo Roberto Scarpinato



Palermo
. Roberto Scarpinato è uno dei magistrati storici della Procura di Palermo. Vi lavora da Procuratore, sostituto e aggiunto, dai tempi di Falcone e Borsellino. E’ stato testimone diretto degli eventi più tragici e importanti che hanno sconvolto la sua città e cambiato l’assetto politico, sociale ed economico del nostro Paese. Impegnato in inchieste e processi di primo piano, il più celebre è quello al senatore a vita Giulio Andreotti, oggi Scarpinato coordina il pool che si occupa di misure di prevenzione e sequestri di beni. Il destino ha quindi voluto che la sua carriera esplorasse tutti gli aspetti della fenomenologia criminale che incarnano e ruotano attorno alla mafia siciliana: la forza militare, l’interconnessione con i poteri, politico e non, e il legame a doppio filo con l’imprenditoria che hanno consentito alla cosiddetta borghesia mafiosa di rafforzarsi nel tempo e di ascendere al potere nazionale. Ecco quindi che ci ritroviamo al feudalesimo con il Principe che impone ed esige i suoi privilegi con qualunque mezzo a disposizione, sicuro di poter godere dell’impunità che la sua carica gli garantisce per diritto. Ecco quindi spiegato da un punto di vista storico e sociologico lo stato di sfacelo in cui versa l’Italia nostrana, mai diventata moderna, paralizzata da una classe dirigente che non si è mai evoluta, un Paese in cui non riesce a maturare una vera e piena democrazia.
Nel “Il Ritorno del Principe” il procuratore Scarpinato risponde alle puntuali domande del giornalista Saverio Lodato e ripercorre così “le gesta” della criminalità del potenti fino ai giorni nostri fornendo così fondamentali e inestimabili chiavi di lettura.
Uno strumento di eccezionale valore per tutti coloro che vogliono capire dove ci troviamo, e cosa sta accadendo attorno a noi e magari per intuire e cominciare ad imboccare una possibile via d’uscita. Abbiamo posto all’autore alcune domande.

Dottor Scarpinato “Il ritorno del Principe”, è una straordinaria quanto allarmante lettura del nostro tempo. Secondo quanto da lei sostenuto il nostro Paese non solo non pare in grado di compiere il salto evolutivo necessario per divenire una democrazia compiuta, ma sembra essere destinato a ripiegarsi su se stesso a vivere sempre le medesime dinamiche che lo imprigionano in una sorta di irredimibile girone dantesco. La sua analisi parte proprio dalla figura del Principe. Chi è questo Principe e cosa significa il suo ritorno?

Se si pone a confronto la storia italiana con quella di altri paesi europei di democrazia avanzata si registra una significativa anomalia.
In quei paesi la questione criminale è un capitolo marginale delle vicende nazionali che interessa solo  gli specialisti di settore – criminologi, magistrati, poliziotti – perché, tranne poche eccezioni, riguarda solo le gesta della criminalità  comune e della parte meno acculturata ed integrata della società civile.
In Italia invece la questione criminale  è inestricabilmente intrecciata con la storia nazionale, quella  con la S maiuscola, perché protagonisti delle vicende criminali sono stati e sono ampi settori delle classi dirigenti, il Principe appunto.
La nostra storia è segnata infatti da una criminalità dei potenti plurisecolare che si è manifestata essenzialmente su tre versanti: lo stragismo e l’omicidio per fini politici, la corruzione sistemica e la mafia.
Lo stragismo e l’omicidio politico sono rimasti una costante sin dal millecinquecento quando già facevano parte della “normalità” italiana, come dimostra l’ammirazione tributata da Nicolò Macchiavelli ad un notorio assassino e stragista quale era Cesare Borgia, duca di Valentino.
Nessuna storia nazionale europea è segnata da una catena così lunga ed ininterrotta di stragi come quella italiana.
Tralasciando le stragi del periodo monarchico e del Fascismo, basti pensare alla sequenza di stragi dal secondo dopoguerra italiano sino ai nostri giorni. Dalla strage di Portella delle Ginestre del 1 maggio 1947, a quella di Piazza Fontana a Milano, alla strage di Bologna, a quella di Piazza della Loggia a Brescia, all’Italicus e via elencando sino alle stragi politico mafiose del 1992 e del 1993.

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