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Il padre del sistema “Mafia Capitale”, ascoltato ieri dai giudici di Perugia, dice di pentirsi. Ma non basta
di Giorgio Bongiovanni e Karim El Sadi

Roma, 27 aprile 2017, in aula durante una delle ultime udienze del primo grado di giudizio del processo "Mafia capitale", l'ideatore dell'omonimo sistema criminale Massimo Carminati, detto "er cecato", appare in video conferenza. E' calmo, si trova seduto in una stanza del carcere di Parma sotto la sorveglianza dell’ispettore della polizia penitenziaria. Alla richiesta di condanna a 28 anni di carcere per associazione mafiosa nei suoi confronti, pronunciata dal magistrato Luca Tescaroli (pm d'accusa assieme al procuratore aggiunto Paolo Ielo e Giuseppe Cascini) davanti alla X sezione penale del Tribunale di Roma, Carminati rimane impassibile. Quando Tescaroli chiede di considerare l'estremista di destra "delinquente abituale", Carminati perde il controllo, si alza in piedi, sbraita, indica severo la telecamera e rivolge insulti all'accusa. Il pm, oggi procuratore aggiunto a Firenze, se ne accorge ma non vuole fare clamori e attirare le attenzioni della stampa in un processo già di per se estremamente delicato e decide allora di parlare con il procuratore di Roma Giuseppe Pignatone, chiedendo inoltre agli agenti presenti con Carminati una relazione su quei momenti, da cui ebbe la conferma dell’insulto attraverso la trascrizione dell'audio di udienza. Su quei fatti, ieri, i protagonisti di quella concitata giornata di dibattimento sono stati chiamati a testimoniare a Perugia, competente dei fascicoli riguardanti i magistrati capitolini, dove Carminati è imputato per oltraggio a magistrato in udienza. Il primo a parlare nell’aula degli affreschi della corte d’appello di Perugia è stato proprio il magistrato al quale sono stati rivolti i “vaffa”, il quale ha spiegato che quando chiese di dichiararlo “delinquente abituale” (richiesta recepita dal giudice in primo grado, ndr), lo vide “alzare pugni chiusi come gesto di euforia e poco dopo dire alcune cose, che mi parvero delle imprecazioni. Io dall’aula non sentii cosa disse, ma vedendo i gesti che ha fatto, immaginai che fosse un’imprecazione correlata alla mia richiesta”. Circostanza confermata anche dall’ufficiale in divisa presente con l’ex Nar quel giorno che ieri in aula ha sottolineato che “quel vaffanculo era stato rivolto al pm”. Infine è arrivato il turno di Carminati che ha voluto rilasciare spontanee dichiarazioni davanti ai giudici. Il suo gesto di “esultanza”, così lo ha definito l’imputato, a suo dire voleva essere ironico e l’insulto era “impersonale”, non dedicato a qualcuno in particolare, in quanto riteneva “eccessiva la richiesta a 30 anni (28 per i capi di imputazione, 2 per la delinquenza abituale) da parte dei magistrati”. Il “re nero” comunque ha chiesto scusa per quelle parole infelici ma ha ribadito che il pm Luca Tescaroli “era stato molto duro nei miei confronti durante il processo”.
A prescindere dal presunto "passo indietro", con tanto di scuse, che è andato in scena nei giorni scorsi e che è stato raccontato, con tanto di video, dal quotidiano L'Espresso, resta il dato di fatto che le prole di un criminale come "er cecato" non possono essere sottovalutate. Le sentenze dimostrano che lui è un uomo di mafia (è stato condannato in appello a 14 anni e sei mesi per associazione mafiosa), e proprio alla luce di questo elemento è verosimile che abbia voluto dare qualche segnale all’esterno ad altri criminali (vecchi e nuovi) a lui legati, non solo appartenenti al mondo della criminalità organizzata, ma anche a quelli delle alte sfere di potere: i così detti colletti bianchi.
E’ una possibilità, questa, da non escludere soprattutto in vicende scomode e delicatissime come quella di Mafia Capitale, dove il pm Luca Tescaroli, in passato già impegnato in inchieste delicate come quelle sulle stragi di mafia, è riuscito abilmente a scoperchiare un sistema mafioso dentro il quale si vedono coinvolti uomini delle istituzioni, della politica e della malavita.

Foto © Imagoeconomica