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Categoria: Mafia
Editore: Massari editore
Pagine: 238
Prezzo: € 15,00
ISBN: 9788845702693
Anno: 2011

Visite: 2741

Recensione

Recensione di Luciano Mirone


Il nuovo libro dello scrittore trapanese Salvatore Mugno dimostra come il boss di Castelvetrano
a differenza dei predecessori Riina e Provenzano– sia davvero un padrino del nostro tempo, più acculturato, più raffinato e più diplomatico di questi.

Dalle pagine di Mugno emerge anche la strategia stragista messa in atto nel 1993.

Un libro sul nuovo “Capo dei capi” di Cosa Nostra, un libro dal titolo eloquente, “Matteo Messina Denaro. Un padrino del nostro tempo”, un libro che dimostra come, il boss di Castelvetrano – a differenza dei predecessori Riina e Provenzano – sia davvero un padrino del nostro tempo, più acculturato, più raffinato e più diplomatico di questi, con un probabile diploma conseguito alle superiori, qualche buona lettura, magari consumata tra un delitto e una strage, un uso discreto della lingua italiana, ma la stessa abilità nell’impiego del mitra, del kalashnikov e del tritolo.

 

Un libro realizzato dallo scrittore trapanese Salvatore Mugno (237 pagg., 116 foto. Postfazione di Gianfranco Criscenti. Massari editore), dalle cui pagine emergono le differenze tra il super ricercato e i rozzi capimafia che lo hanno preceduto, ma anche delle fortissime analogie, la violenza, l’efferatezza, la capacità di portare avanti un’interlocuzione con lo Stato, che il boss conduce in modo più felpato e discreto, a conferma dell’indiscusso potere del giovane rampollo della Famiglia di Castelvetrano (il padre e il nonno hanno fatto il bello e il cattivo tempo per quasi un secolo), depositaria dei segreti più inconfessabili dello Stato repubblicano: dalla misteriosa morte del bandito Salvatore Giuliano – avvenuta a Castelvetrano il 5 luglio 1950 – fino alle stragi degli anni Novanta, dietro alle quali emerge sempre la regia e la mano “militare” di questo mafioso moderno e contemporaneamente arcaico, appartenente ad una generazione – quella del 1962 – contaminata dalla cultura tardo contadina dei suoi padri e dal traffico di droga e dalle auto di lusso dei tempi di oggi.  

Il libro, oltre a riportare minuziosamente gli omicidi e i tentati omicidi commessi e fatti commettere da Messina Denaro, si sofferma sulle “simpatie” e sulle “contiguità” politiche che il superlatitante (o suo padre) avrebbe avuto in questi anni. Un elenco da fare accapponare la pelle: senatori e deputati (nazionali e regionali), sindaci, presidenti di Provincia, assessori, una pletora di governanti e amministratori eletti per decenni con valanghe di voti: Tonino D’Alì, Francesco Canino, Francesco Spina, Vincenzo Culicchia, Giuseppe Giammarinaro, Bartolo Pellegrino, Paolo Ruggirello, Girolamo Turano e Antonio Vaccarino. Con questi – secondo gli inquirenti – i Messina Denaro, a vario titolo, avrebbero avuto dei rapporti. Stretti con alcuni, cordiali con altri, indiretti con altri.

Un caso – come emerge dagli atti giudiziari – che gli inquirenti, malgrado siano giunti più di una volta a un passo dalla sua cattura, se lo siano misteriosamente lasciati sfuggire all’ultimo momento? Non lo sappiamo. O meglio: a quanto pare non ci sono prove concrete. Sappiamo però che si tratta di un film visto per diversi decenni. Con Riina, con Provenzano e con Santapaola, tanto per fare qualche nome. Quando i superlatitanti di Cosa Nostra sembravano ormai chiusi nella morsa dello Stato, ecco che tutto misteriosamente svaniva, i boss fuggivano, lo Stato allentava la morsa e qualcuno tirava un sospiro di sollievo. L’impressione è che – in seguito alla “pulizia etnica” dei vecchi capi di Cosa Nostra, diventati troppo ingombranti dopo le stragi degli anni Novanta – oggi più che mai sia necessario procedere a un rinnovamento dei quadri dirigenti di Cosa Nostra, senza il crepitio delle lupare e i botti delle bombe, in attesa che la piena passi e il giunco riemerga. Corsi e ricorsi storici.

Un volume, quello di Mugno, che è un pugno nello stomaco perché – a prescindere dallo “status” culturale del capomafia, su cui l’autore si sofferma forse con eccessiva puntualità – dimostra fino a che punto può arrivare la ferocia di un essere umano, dal colpo nella nuca inferto alle vittime, allo strangolamento – quasi sempre attirate a tradimento –, fino alla liquefazione nell’acido, come capitò all’inizio degli anni Novanta al piccolo Giuseppe Di Matteo, figlio del collaboratore di giustizia Santino Di Matteo, annientato per vendetta, dopo due anni di prigionia “in cui si era ridotto a una larva”, perché reo di essere il figlio di un “infame” pentito di mafia.

Da queste pagine emergono alcuni retroscena del delitto dell’ex sindaco di Castelvetrano Vito Lipari e del giornalista-sociologo Mauro Rostagno, nonché del tentato omicidio del funzionario di Polizia Calogero Germanà. A rivelarli sono soprattutto i collaboratori di giustizia Vincenzo Sinacori e Vincenzo Calcara. Ma emerge anche la strategia stragista messa in atto nel 1993: il fallito attentato a Maurizio Costanzo, la strage di via dei Georgofili di Firenze (5 morti e 50 feriti), quella di San Giovanni in Laterano e di San Giorgio al Velabro a Roma (molti feriti e parecchi danni), quella di via Palestro a Milano (5 morti), e la mancata strage allo stadio olimpico di Roma dove per miracolo non ci fu una carneficina di carabinieri, poliziotti e militari dell’esercito.

30 giugno 2011

Tratto da:
iquadernidelora.it

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