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Categoria: Economia
Editore: Minimum Fax
Pagine: 309
Prezzo: € 15,00
ISBN: 88-7521-069-1
Anno: 2005

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Recensione

John Perkins
CONFESSIONI DI UN SICARIO DELL’ECONOMIA
La costruzione dell’impero americano nel racconto di un insider

Recensione by Laura Marano

L’11 settembre 2001 il mondo si è fermato. E’ rimasto scioccato, muto, incredulo. E’ probabile che ognuno di noi ricordi esattamente, come in foto, dove era e cosa stava facendo quando ha saputo cosa era successo. Tutti abbiamo provato pietà per le vittime e orrore per i carnefici.  Ma…..

Ma se si vedono le cose da un altro punto di vista, se qualcuno ci accompagna dietro le quinte, e ci svela la trama segreta che ha tessuto gli eventi mondiali degli ultimi trent’anni, scopriamo che le cose non sono come sembrano, in questo come in tanti altri episodi. Che le responsabilità sono da cercare laddove meno ce lo aspettiamo, che nessuno è innocente, che forse anche i “carnefici” non sono quelli che noi crediamo (o che ci fanno credere…).

L’autore, americano, si è assunto il compito di svelare, attraverso la sua autobiografia, il sistema spietato portato avanti dagli Stati Uniti per costruire un impero economico mondiale. Un sistema così crudele, implacabile e violento che lo stesso autore, nella prefazione al libro, dice: “E ci chiediamo come mai i terroristi ci attaccano?”  

E’ una domanda inquietante, che come uno schiaffo ci costringe a svegliarci e ci invita ad aprire gli occhi e le orecchie, che ci chiede di rinunciare a facili categorie e alle risposte preconfezionate dai media. È una domanda che si pone chi il sistema lo ha vissuto dall’interno e ha contribuito a costruirlo. John Perkins è stato infatti un “sicario dell’economia”, parte di un gruppo ristretto di uomini e donne che nell’ombra hanno lavorato (e lavorano) per favorire gli smisurati, ingordi e smodati interessi commerciali degli Stati Uniti, alimentando nello stesso tempo l’idea che  qualunque crescita economica giova all’umanità, e che chi è ai margini del sistema può essere sfruttato.

Ma lo stesso autore afferma: “il concetto, ovviamente, è sbagliato. Sappiamo che in molti paesi la crescita economica va ad esclusivo vantaggio di una parte esigua della popolazione e può in realtà comportare condizioni sempre più disperate per la maggioranza”. E dà una prima risposta a quella domanda scioccante asserendo: “Quando uomini e donne vengono premiati per la loro avidità, questa diviene un incentivo alla corruzione. Quando equipariamo il consumo ingordo delle risorse della terra a una condizione prossima alla santità, quando insegniamo ai nostri figli a emulare personaggi che conducono un’esistenza non equilibrata, e quando stabiliamo che enormi porzioni della popolazione debbano essere soggette a una minoranza elitaria, andiamo in cerca di guai. E li troviamo.”

L’attentato alle torri gemelle è un momento cruciale per l’autore perché lo inchioda alla necessità di scrivere la sua storia, la sua verità. Ma nel libro se ne parla appena, non perché si neghi la portata della tragedia, ma perché la tragedia è più vasta, viene da più lontano, e la sua portata è sconosciuta ai più. Perkins la racconta attraverso lo snocciolarsi della sua vita, chiarendo attraverso i dettagli del suo lavoro lo scopo generale che vi era sotteso: “ciò che noi sicari dell’economia sappiamo fare meglio è costruire l’impero. Siamo un’elite di persone che utilizza le organizzazioni della finanza internazionale per creare le condizioni affinché altri paesi si sottomettano alla corporatocrazia che domina le nostre grandi aziende,  il nostro governo e  le nostre banche. Come i loro omologhi della mafia, i sicari dell’economia distribuiscono favori. Questi assumono la forma di prestiti per lo sviluppo delle infrastrutture: centrali elettriche, autostrade, porti, aeroporti e poli industriali. Una condizione per questi prestiti è che a costruire tutte le infrastrutture siano gli studi di progettazione e le imprese edili del nostro paese (..) Quando un sicario dell’economia assolve al meglio il suo compito, i prestiti sono così ingenti che il debitore si trova costretto alla morosità dopo pochi anni. Quando ciò si verifica, proprio come fa la mafia, pretendiamo il risarcimento dovuto. Ciò comprende una o più delle seguenti condizioni: il controllo dei voti alla Nazioni Unite, l’installazioni di basi militari o l’accesso a preziose risorse come il petrolio o il canale di Panama. Ovviamente, il debitore ci deve comunque del denaro.. e un altro paese viene annesso al nostro impero globale.”

Tutto questo vuol dire, per esempio, che in Ecuador, dove la longa manus imperialista ha lavorato con particolare successo, al posto del miracolo economico promesso nei primi anni ’70, attualmente risultano aumentati sia il livello di povertà che la disoccupazione che il debito pubblico. Vuol dire che per ogni 100 dollari di greggio estratto dalle foreste pluviali (violentando la natura del luogo), 75 vanno alle compagnie petrolifere (straniere), dei restanti 25 solo una minima parte va a coprire le spese per istruzione, sanità, assistenza sociale. In pratica, dell’enorme ricchezza potenziale dell’Ecuador i suoi abitanti ricevono pochi spiccioli: “tutte queste persone – milioni in Ecuador, miliardi in tutto il pianeta – sono potenziali terroristi. Non perché credano al comunismo, all’anarchia o siano essenzialmente malvagie, ma semplicemente perché sono disperate”.

Mentre gli americani vivono con la paura di attacchi terroristici, proprio alcuni di loro, nei posti chiave delle multinazionali e delle grandi imprese, vanno in giro per il mondo in cerca di queste persone disperate per sfruttarle, per offrir loro un lavoro per pochi spiccioli con la scusa che è meglio che niente. Vivono da mercanti di schiavi ma con la patina di benefattori, raramente consapevoli delle conseguenze di quanto vanno facendo. Senza contare le enormi responsabilità del governo americano nell’aver permesso all’Arabia Saudita di finanziare il terrorismo internazionale, tra cui, per esempio, la guerra di Osama Bin Laden in Afghanistan contro l’Unione Sovietica negli anni Ottanta. Senza contare i legami personali dell’ex presidente George W. Bush con la famiglia reale saudita.

Il libro ci porta in giro per il mondo. Sembra che quasi nessuna parte del globo sia stata risparmiata dalle mire espansionistiche degli Stati Uniti, novello impero che ci continua a vendere la globalizzazione come cosa buona e giusta. Che peraltro potrebbe anche essere, se fosse fonte di cambiamenti positivi e si fondasse sui valori della solidarietà e dell’altruismo. Mentre purtroppo è ancora sinonimo di sfruttamento, dell’ambiente e delle persone. Sembrano le parole che il papa ha scritto in un documento consegnato alla chiesa africana nel recente viaggio in Angola e Camerun: “Le multinazionali continuano a invadere gradualmente il continente per appropriarsi delle risorse naturali. Schiacciano le compagnie locali, acquistano migliaia di ettari espropriando le popolazioni della loro terra, con la complicità dei dirigenti africani. Inoltre, recano danno all’ambiente e deturpano il creato che ispira la nostra pace e il nostro benessere, e con cui le popolazioni vivono in armonia” (dall’”Instrumentum laboris”).

La storia si ripete. Ovunque.

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