La 'ndrangheta nelle terre del Po: l'inchiesta
Visite: 3867
Una notte di novembre, a qualche chilometro da Mantova, va a fuoco l’auto di un imprenditore edile. Autocombustione, si affretta a dichiarare.
Un mese dopo: altro incendio. Stesso posto e stesso proprietario.
Si accendono altri roghi, e le vittime sono sempre imprenditori edili. Il fuoco arriva fino a bruciare le betoniere di una ditta di calcestruzzi impegnata nella costruzione di un centro con parcheggi, un albergo, negozi, appartamenti e uffici all’ingresso della città.
Coincidenze? Lo sono fino al 24 settembre 2011, quando un piccolo imprenditore si presenta alla caserma dei carabinieri. È spaventato, si sente sotto scacco. E il suo racconto apre uno squarcio su un mondo che si credeva lontano almeno mille chilometri.
Saranno le sue denunce a dare il via all’inchiesta Pesci, che smaschererà le mire della cosca di Nicolino Grande Aracri nelle terre dei Gonzaga.
Accanto ai nomi del boss della ’ndrangheta cutrese e dei suoi compari, l’indagine coinvolge nomi come quello del sindaco, del più importante costruttore della zona, di affaristi, di ex senatori, fino all’ex presidente del Consiglio di Stato. Estorsioni, intimidazioni, corruzioni, mazzette che non lasciano tracce, se non le frasi smozzicate captate nelle intercettazioni. In una città, Mantova, simbolo del profondo Nord, che continua a disegnare la ’ndrangheta con coppola e lupara. Fino ad oggi.
«Lo possono dire soltanto le autorità che hanno il compito istituzionale di seguire queste cose. Io come sindaco e come architetto, per di più originario della Calabria, posso assicurare di non aver mai sentito il profumo della mafia».
Nicola Sodano,
ex sindaco di Mantova, ottobre 2011