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“Corpi estranei” oltre lo “Stato-mafia”

di Giorgio Bongiovanni

amduemila n73 bs“Corpi estranei” è il filo che attraversa le pagine di questo numero. A più riprese nel nostro Paese accade che alcune vite diventino granelli di sabbia che bloccano gli ingranaggi del potere deviato. E che vanno spazzate via.

  
Così è stato per Attilio Manca, la cui morte assume sempre più i contorni dell’omicidio, sullo sfondo l’ombra del boss Bernardo Provenzano. Anche se Attilio, entrato incolpevolmente in un gioco troppo grande, non sarebbe stato ucciso solo da mano mafiosa, ma si tratterebbe di vero e proprio omicidio di Stato, come sapientemente descritto nel libro “Suicidate Attilio Manca” scritto dal nostro vicedirettore Lorenzo Baldo. Così è stato per Pierpaolo Pasolini, eliminato a suon di percosse e poi travolto dalla sua stessa auto sulla spiaggia dell’Idroscalo di Ostia.

Così è stato anche per Giovanni Falcone e Paolo Borsellino, corpi estranei e perciò letali per la prosecuzione di qualsiasi dialogo tra Stato e mafia. Dell’esistenza della trattativa lo ha sancito ancora una volta la sentenza Tagliavia, la seconda (passata nel quasi assoluto silenzio) della Corte d’Assise d’Appello di Firenze. Scrivono i giudici come ormai sia provato “che dopo la prima fase della c.d. trattativa, avviata dopo la strage di Capaci, peraltro su iniziativa esplorativa di provenienza istituzionale (cap. De Donno e successivamente Mori e Ciancimino), arenatasi dopo l’attentato di via d’Amelio, la strategia stragista proseguì alimentata dalla convinzione che lo Stato avrebbe compreso la natura dell’obbiettivo del ricatto proprio perché vi era stata quella interruzione”. D’accordo anche il procuratore nazionale antimafia Franco Roberti, che nel suo libro “Il contrario della paura” scrive senza mezzi termini: “Non c’è alcun dubbio che ci sia stata una trattativa tra Stato e mafia in quell’anno”. Altro che presunta, come a volte viene chiamata da ciarlatani e manipolatori della verità. Si rassegnino perchè lo Stato c’è, per quanto macchiato e infangato da traditori ancora resiste in alcune Corti di giustizia dove viene ricostruita la memoria storica di questo Paese, nel quale la corruzione scoperta durante gli anni di Tangentopoli (ci descrive il presidente dell’Anm Piercamillo Davigo nella sua intervista) non diminuisce né accenna a diminuire.

Nuove verità stanno emergendo sulla strage di via d’Amelio, per la quale il processo Borsellino quater si avvia alle fasi conclusive e dove sono affiorati fatti sconcertanti sul depistaggio e sul ruolo che alcuni poliziotti avrebbero avuto nella creazione a tavolino di falsi pentiti, accompagnata dalla conseguente condanna di incolpevoli. Mentre dal canto loro i collaboratori veri sostengono che in quel 19 luglio ‘92 non c’era solo Cosa nostra ad assistere alla strage. Evidenziando così la probabile presenza di mandanti esterni, o persino partecipi, alla strage. Così come sull’eccidio a Capaci, ha sostenuto Lia Sava, procuratore facente funzioni di Caltanissetta, “gli spazi sulle cointeressenze di chi poteva avere interessi coincidenti con Cosa nostra possono ancora essere sviluppati” e per questo “potrebbe esserci un Capaci ter”. Ci sono ancora buchi neri, scrive la giornalista Stefania Limiti, come per l’esplosivo usato il 23 maggio ‘92, e alcune perizie fanno intuire che non tutto è stato chiarito sull’esplosivo usato, o se una parte potesse provenire da organi di Stato. Anche se tutto porta al fatto che Totò Riina, come disse il boss pentito, già appartentente alla cupola di Cosa nostra, Totò Cancemi, era stato “portato con la manina” da potenti personaggi, di Stato e non, per compiere quelle stragi.

Per raggiungere nuove verità sul biennio stragista sarebbe necessario un nuovo impulso, stavolta non da pentiti e figli di mafiosi ma da uomini di Stato. Gli stessi che hanno improvvisamente riscoperto la memoria solo dopo le rivelazioni di Massimo Ciancimino. Uno di questi è Claudio Martelli, ministro della Giustizia degli anni 1992-1993 e collaboratore di Falcone che poco tempo fa al processo trattativa ha dichiarato di essere stato stoppato parlando di “scambi di favori tra mafia, P2, servizi deviati e massoneria deviata”. La speranza è che ora Martelli approfondisca di più sul suo essere stato “vittima” di questi “favori”.

Ma non tutti i corpi estranei sono stati spazzati via dai poteri deviati. A Palermo c’è il pm Nino Di Matteo nel mirino di Cosa nostra (e non solo), condannato a morte niente di meno che da Totò Riina. Mentre oltre lo stretto di Messina, a Reggio Calabria, il pm Giuseppe Lombardo (assieme ad altri magistrati come il neo Procuratore Capo di Catanzaro, Nicola Gratteri) scava a fondo nelle logiche del sistema criminale che vede allo stesso tavolo mafie e altri poteri. E che illustra come la ‘ndrangheta, oggi organizzazione criminale che detiene maggior potere, spesso supporti e avalli alcune scelte di Cosa nostra, oltre a coltivare un rapporto d’affari di lunga data. A provarne la storica partnership le allarmanti analogie tra la latitanza di Marcello Dell’Utri e quella di Amedeo Matacena, e la rivelazione del pentito Vito Galatolo sul tritolo per Di Matteo, che sarebbe arrivato a Palermo proprio dalla Calabria.

Anche per questo in un momento storico tanto delicato, come quello che stiamo vivendo, è più che mai necessario che il contrasto alle mafie sia messo al primo posto dell’agenda politica di qualsiasi governo. Un impegno mancato, da oltre 150 anni, che ha permesso al sistema criminale integrato non solo di mantenere il proprio potere ma anche di svilupparsi. Per contrastare questa avanzata è importante un’assunzione di responsabilità che vada oltre quello della sola autorità giudiziaria o investigativa. Un impegno che sia di ogni cittadino e che già ad ottobre avrà il suo primo banco di prova quando saremo chiamati ad esprimere il nostro parere sul referendum Costituzionale. Solo ribadendo il nostro “No”, possiamo essere “corpi estranei” di fronte alla deriva che vuole cambiare la nostra Costituzione. Un “colpo di mano” che non possiamo assolutamente permettere.

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