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di Jean Georges Almendras
Ancora una Marcia del Silenzio che per molte ragioni dovrebbe estendersi durante tutto l'anno

Siamo in tempo di Coronavirus. L'inconfutabile tempo del distanziamento sociale e delle mascherine. In mezzo a questa situazione di emergenza sanitaria, le madri e i familiari degli uruguaiani detenuti desaparecidos hanno dovuto sublimare il silenzio delle loro rivendicazioni tra le avversità imposte dal Covid 19. Le circostanze hanno impedito la realizzazione della 25ª “Marcia del Silenzio” lungo l’Avenida 18 de Julio, ma sarà ugualmente presente con il nuovo formato del secolo XXI: una imponente convocazione virtuale a livello nazionale e anche regionale. Vale a dire, una mobilitazione virtuale in tutte le sue più inimmaginabili varianti, cioè social network e tutti quelle applicazioni virtuali che il progresso mette a nostra disposizione e che saranno al servizio di una legittima mobilitazione sociale, che in “silenzio” anno dopo anno si è svolta pubblicamente per resistere all'impunità dei genocida.
Un silenzio che non abbiamo mai condiviso, ma questo non ci ha impedito di partecipare e sostenere la marcia fino in fondo, perché le rivendicazioni degli uomini e delle donne che portano le foto dei loro desaparecidos significava (e significa) abbattere l'impunità, vale a dire che venga fatta giustizia, lottare affinché gli scavi non si fermino e che i responsabili delle morti, delle sparizioni e delle torture compaiano davanti ai giudici penali e siano condannati, come sarebbe giusto in un paese nel cui sistema democratico, politici di sinistra, di destra e di centro, si vantano e si compiaciono parlando di principi di giustizia, di libertà e di rispetto dei diritti umani.
Politici che non avrebbero dovuto mai dimenticare che al di sopra dei loro interessi di partito, c'è un energico e legittimo, richiamo rivolto ai governanti dei tempi di brillante democrazia, come Julio María Sanguinetti, Luis Alberto Lacalle, Jorge Batlle, Tabaré Vázquez e José "Pepe" Mujica e, attualmente, Luis Lacalle Pou che con la loro indifferenza e ipocrisia, nei 25 anni di Marce del Silenzio, sono stati complici dei torturatori e degli assassini che agirono ai giorni della dittatura civile-militare. Una dittatura generata da un presidente eletto dal popolo: Juan María Bordaberry, del partito Colorado che, oltre a consegnare il suo paese ai militari, in quei giorni, fu sostenuto nella sua azione anticostituzionale e predatrice della libertà e dei diritti da una classe politica servile agli interessi coniati nelle idee fasciste e nelle metodologie parapoliziali e paramilitari che hanno una sola origine: gli Stati Uniti, di quei tempi.
Oggi la cultura dell'impunità continua ad essere il sublime tesoro di chi non si è mai messo nemmeno per un secondo – né si mette oggi – nei panni delle famiglie che hanno perso i loro cari, vittime del Piano Condor. Perché l'Uruguay non è sfuggito alle sue grinfie; era uno dei paesi scelti per mettere in atto il sinistro piano ideato e architettato in ogni suo dettaglio da Henry Kissinger, il maestro di cerimonia dell'anticomunismo più recalcitrante che imperversava negli anni sessanta, settanta ed ottanta e seminò di tortura, cadaveri e desaparecidos le terre e i mari dal Rio de la Plata fino oltre le Ande senza risparmiare le città brasiliane.
Quando quest'anno, il 20 maggio, la strada principale della capitale uruguaiana sarò vuota senza uruguaiani, l’intero percorso della marcia dall’incrocio dell’Avenida Rivera e Jackson fino alla Plaza Cagancha (Plaza Libertad) sarà chiusa al transito, almeno così è stato chiesto alle Autorità Municipali di Montevideo, come se ci fosse effettivamente la marcia. Ma sarà vuota. Sarà silenziosa. Ironicamente, per la prima volta si potrà dire che sarà davvero una Marcia del Silenzio.
Di fronte alla piazza municipale, come ogni anno, ci sarà uno schermo gigante con i volti dei nostri desaparecidos, le cui famiglie continuano la loro battaglia affinché dall'ambito politico, ci sia la volontà: in primo luogo, di recuperare i resti dei loro cari, rapiti dal terrorismo di stato nei giorni precedenti, durante e dopo la dittatura militare; secondo, affinché, i militari, i poliziotti e i civili - si stima più o meno mezzo migliaio di funzionari pubblici – che hanno partecipato, in varia misura, alle sparizioni forzate, (vittime uccise della dittatura civico militare), siano identificati e quindi affidati alla giustizia penale, in modo da essere condannati; e terzo, affinché, forse, si possa “voltare pagina”, come morbosamente anelano molti cittadini, politici, militari e poliziotti golpisti o pro golpisti, sin dall’istaurazione della democrazia e ancora oggi, come a voler trasmettere ai giovani di oggi e del futuro che in Uruguay non c’è mai stata una dittatura militare e tanto meno i desaparecidos o, ancora peggio, che non c’è stata una guerra e che non c’è stata repressione o che, se anche fosse, la cosa migliore da fare oggi è andare avanti e non guardare indietro. Quanto cinismo di chi parla in questi termini! Termini e pensieri propri di quella criminalità organizzata che era il terrorismo di Stato.

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In quanto al silenzio di questi 25 anni di marce, oso rispettosamente esprimere, ancora una volta, che quel silenzio doveva già essersi trasformato in un grido assordante, in una dimostrazione di unità di lotta che avrebbe fatto tremare i tiranni, militari e civili, che ancora camminano liberi per le strade di Montevideo. Così liberi da aver permesso loro di arrivare ad un punto estremo, infatti oggi, per mano dell'ex Generale Guido Manini Ríos, molto ben accolto da Lacalle junior e, seppure non vogliano ammetterlo, dalla sinistra uruguaiana, sono stati catapultati al seggio politico che oggi occupano sotto l'ala del partito militarista e fascista ‘Cabildo Abierto’.
Un partito politico le cui origini possono perfettamente collocarsi, niente meno, ai tempi della presidenza di Tabaré Vázquez, che nominò Manini Ríos Comandante in Capo dell'Esercito, e diede una strana "protezione" affinché i suoi eccessi in campo di diritti umani passassero inosservati, contribuendo in questo modo alla creazione di un'opportunità che la casta militare, che ancora oggi non ha saldato il conto davanti alla giustizia, entrasse a far parte del sistema politico uruguaiano dopo le ultime elezioni nazionali, che videro la vittoria del candidato nazionalista Luis Lacalle Pou. Trionfo che ha permesso a Cabildo Abierto di ottenere seggi per deputati e senatori nel Parlamento Nazionale. Un trionfo che ha portato ai veri artefici di una linea ideologica militarista e di ideologia fascista ben definita ad occupare delle posizioni strategiche nella vita nazionale, che permetterà loro, come hanno già fatto, di rafforzare la cultura dell'impunità. Di fatto con l’obiettivo che i torturatori e i responsabili di crimini di lesa umanità camminino in mezzo a noi come se non avessero fatto niente. Ma lo hanno fatto e c’è stata una dittatura civile militare. Ci sono stati uruguaiani che che hanno sofferto la repressione. Ci sono stati i desaparecidos.
Alla vigilia di questa "Marcia" del Silenzio che sarà virtuale, sono previsti ogni sorta di attività e di partecipazione, specialmente dopo che il nuovo governo del Partito Blanco ha negato alle madri e ai familiari degli uruguaiani detenuti desaparecidos la presenza sulla rete nazionale di radio e televisione. In questo quadro, nei giorni precedenti alla stesura del presente articolo, i social network hanno divulgato messaggi, foto dei desaparecidos, opinioni, slogan, fazzoletti ed ogni sorta di espressione virtuale possibile per dare risalto alla società uruguaiana su ciò che è inerente alla memoria del recente passato e alle ragioni per le quali la "Marcia del Silenzio”, anno dopo anno, inneggia slogan come: la punizione dei colpevoli, no all'impunità dei colpevoli e l'eterna richiesta di dove si trovano i resti dei desaparecidos che sono circa 200. Non a caso questo 2020, in piena emergenza sanitaria, lo slogan è: "Sono Memoria. Sono Presenti - Dove sono"?
Per quanto riguarda il 20 maggio, questa data ha origine dal 20 maggio del 1976, in cui nella città di Buenos Aires furono trovati i corpi torturati e crivellati di colpi, del senatore del Frente Amplio, Zelmar Michelini, del Presidente della Camera dei Deputati del Partito Nazionale, Héctor Gutiérrez Ruiz e dei tupamaros Rosario Barredo e Willian Whitelaw. Uruguaiani che sono stati sequestrati, torturati e assassinati da militari e poliziotti dei ‘grupos de tareas’ del Piano Condor. Vite falciate dal terrorismo di stato che operava su entrambe le sponde del Rio de la Plata. Quattro delle migliaia di morti registrate in entrambi i paesi che diedero origine ad una marcia. Quella marcia che in questo 2020 ha già un quarto di secolo. Un quarto di secolo di silenzioso grido che chiede giustizia. Grido che insistiamo, deve smettere di essere silenzioso per vincere contro l’impunità. Per rendere omaggio a chi ha dato la propria vita per permettere a noi che siamo vivi, di proseguire la loro lotta.
Soprattutto in questi tempi, i giovani dovranno trasformare quei silenzi. Trasformarli in urla, alle porte delle caserme e degli uffici governativi e parlamentari. Grida e slogan militanti: per scuotere le pareti e i piani; affinché si fortifichino le coscienze e affinché i responsabili delle morti e delle torture sentano la forza di chi lecitamente e legittimamente reclama giustizia e non vendetta, come sostengono gli omertosi complici degli omicidi e delle sparizioni, giustificandosi con principi osceni, nefasti, fascisti ed antidemocratici dall'A alla Zeta.
Ci sono state e ci sono molte adesioni e forme di espressione riguardo questa mobilitazione. Come quella di Irma Leites, emblematico membro di Plenaria Memoria y Justicia. Queste le parole dell'instancabile attivista uruguaiana degli anni di dura repressione, che fu prigioniera politica che soffrì la tortura: "Questo 20 maggio è un giorno molto speciale in cui tutto il mondo sta vivendo il confinamento. Noi crediamo che ricordare le nostre compagne e compagni scomparsi significa rivendicare i loro sogni e i loro progetti sociali di giustizia. Crediamo che le strade sono nostre, le strade devono essere popolate dai compagni e le compagne. Sono in atto centinaia di attività in tutto il paese. È molto importante ricordarli con memoria viva, con le loro idee, con i loro sogni, impegno e dedizione. È un modo per essere coerenti con la lotta che è costata sangue e dolore. Una lotta senza fine che oggi deve proteggere i giovani. La memoria non rispetta la quarantena. Bisogna spezzare l'impunità di ieri e di oggi e la sparizione delle persone è il più grande crimine di Stato”.
Ha aderito anche María Victoria Moyano, nipote ritrovata nata nel Pozo de Banfield, in Argentina, i cui genitori María Asunción ed Alfredo Moyano sono desaparecidos. In un recente articolo di La Izquierda Diario è stato pubblicato un breve video contenente un suo sincero e militante messaggio, in cui ha raccontato la sua storia e sottolineato energicamente all'opinione pubblica, che la sua lotta è la lotta dei familiari dei desaparecidos di Uruguay e Argentina, affinché sia fatta giustizia e sia preservata la memoria del passato.

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Le sue parole mi hanno ricordato un episodio dell'anno scorso: alla fine della "Marcia del Silenzio" Victoria si è avvicinata a noi in Plaza Libertad, dove ci trovavamo in mezzo alla folla. Pioveva copiosamente. Eravamo insieme, redattori di Antimafia Dos Mil e i giovani del Movimento Our Voice che si stavano esibendo in una straordinaria performance artistica che ha attirato l'attenzione di cameraman e fotografi. Portavamo un striscione gigante con le foto di tutti i presidenti della democrazia, governanti della destra e governanti della sinistra, con un solo slogan: i responsabili dell'impunità.
María Victoria Moyano si è avvicinata a noi e ci ha chiesto di farsi una foto con il nostro striscione e con le foto dei suoi genitori scomparsi. La foto scattata sotto la pioggia fu poi pubblicata da La Izquierda Diario e da Antimafia Dos Mil. Pochi giorni fa è stata nuovamente pubblicata da La Izquiera Diario.
In questi tempi di Coronavirus, il sentimento della lotta di questa donna è stata ancora una volta palese. Noi condividiamo la sua lotta e la lotta delle madri e dei familiari di detenuti uruguaiani Desaparecidos, anche se in disaccordo con i silenzi che dovrebbero essere trasformati in urla e in presenze militanti, ogni mese di tutto l'anno, di fronte alle sedi dei potenti che continuano a mettere davanti ai nostri occhi idee che calpestano cinicamente i nostri sentimenti di giustizia e di un'etica rivoluzionaria che loro non hanno, ma che erano proprie dei nostri desaparecidos che in quei anni di orrende repressioni non rinnegarono mai, né le loro idee, né le loro rivendicazioni, anche a costo delle loro vite.
Ora che siamo in democrazia, diciamo piuttosto una democrazia a metà, che questa Marcia del Silenzio "Virtuale" ci serva per riflettere su come nel prossimo futuro porteremo avanti la lotta per i nostri desaparecidos, per onorarli e non deluderli. Perché se continuiamo così, "in silenzio" correremo veramente il rischio di bloccarci da soli. Insisto, corriamo il rischio di essere incuranti del sangue che hanno versato. Perché, parlando chiaro, lo versarono per noi che abbiamo l'obbligo di ribellarci affinché sia fatta giustizia per loro.

Foto di copertina: www.laizquierdadiario.com.uy / María Victoria Moyano con lo striscione che Antimafia Dos Mil e Our Voice esibirono alla Marcha del Silencio del 2019
Foto 2: www.ecos.la /Marcha del Silencio, edizione del 2019
Foto 3: www.amtimafiadosmil.com /Giovani di Our Voice a Plaza Libertad, alla Marcha del Silencio

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