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di Agustín Saiz
Notte del 24 Marzo 1976. Plaza de Mayo. Buenos Aires

Questo 24 marzo Plaza de Mayo (in foto) sarà vuota, con molta gente che chiederà via internet, comodamente dalle loro case, la presenza dei militari sulle strade. È inevitabile rispettare la quarantena anche se sospettiamo che sia insufficiente. Ma oltre a mettere in discussione la politica pubblica in uno stato di emergenza a cui non siamo preparati, il simbolismo emerge comunque sia davanti a noi. La psiche collettiva è un frattale e, come Alberto Fernández, molti tentano di "voltare pagina per scrivere una nuova storia". Purtroppo sappiamo che le società non funzionano così e che tornano a ricostituirsi sugli stessi errori. Fin quando non affronteremo i nostri aspetti più sinistri, la nostra storia si riconfigurerà ancora nei panni delle nuove democrazie.
Di fatto l'attuale catastrofe economica e sanitaria è il solo sviluppo possibile, in una società che non riesce ad emanciparsi nei valori della solidarietà e dell'unione che tanto proclamiamo. Oggi nel 2020 c’è ancora in gioco, più che mai, la possibilità di una riparazione della memoria storica definitiva. E davanti all'indifferenza e all'ignoranza di una società disinformata, dobbiamo diventare responsabili del nostro passato, indipendentemente dal fatto se siamo stati o meno contemporanei di questa tragedia che fa parte di noi. Quest'anno, solo 8 delle 500 cause aperte hanno una data fissata per il processo. Solo una minima parte dei genocida sono stati condannati e la maggioranza di loro è agli arresti domiciliari. I ritardi sistematici e l'apatia della gente vanno di pari passo con la linea ideologica dell'attuale governo e con il simbolismo di una Plaza de Mayo vuota.
Ripetiamo che sebbene la quarantena sia inevitabile, ad ogni modo il simbolismo si riempie di contenuto per mezzo dell'indifferenza di una popolazione sopraffatta dalla situazione attuale. La creazione di una sciocca pace tra gli opposti dalla mano di una giustizia debole e codarda, ci conduce direttamente ad una nuova fase in cui le disuguaglianze sociali saranno ancora più marccate. Gli esclusi dall'attuale sistema capitalista aumenteranno e costringerà intere comunità a spostarsi nelle periferie che, a causa delle catastrofi ambientali e l'uso della forza paramilitare da parte di una nuova oligarchia transnazionale, non faranno che aumentare. Nel frattempo la certezza della minaccia di un'estinzione di massa alla quale stiamo probabilmente assistendo in questi giorni, fa emergere il peggio in gran parte di noi.
Le ansie riempiono le aspettative di molti di ritornare al più presto possibile alla propria insignificante routine. Vanno fuori di testa quando rimangono bloccati di fronte allo specchio e vedono quello che sono. Non perdono l'occasione per scaricare la propria frustrazione contro il più debole della scala sociale se commette per sbaglio un'infrazione in una quarantena per alcuni quasi ossessiva. “Ci ucciderai tutti”! urlano scandalizzati ostentando un falso coraggio nel denunciare, non un genocida, ma un semplice lavoratore informale sulla strada. Ci fanno pensare alle orde che nell'antichità uscivano correndo a cercare pietre, come animali in branco, per scagliarle con le proprie mani a nome della giustizia.
Ci ricordano anche quelle voci che nel ‘76 chiedevano disperatamente che i militari uscissero sulle strade per fermare il terrorismo di guerriglia urbana. Nello schema di quella normalità alla quale vogliamo ritornare e che nessuno mette in discussione, le persone muoiono a migliaia ma per cause strutturali che non sono disposti a modificare. Se il coronavirus fosse un sistema naturale intelligente per attaccare le cause di tutte le ingiustizie che l'uomo produce, fanno bene a temerlo. Sembra che in fondo sono uniti e solidali nel male, quando viene messa a rischio la sopravvivenza di uno stile di vita che è possibile solo a spese di chi più soffre.

Foto © Archivio Memoria Abierta/Héctor Osvaldo Vázquez

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