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di AMDuemila
L’appello del padre di Julian Assange al governo britannico: "Respingere la richiesta di estradizione"
Lunedì l’udienza cruciale davanti alla Woolwich Crown Court

La data da cerchiare in rosso è il 24 febbraio. Sarà quello il giorno della verità per Julian Assange. Lo sa bene John Shipton (in foto), padre del fondatore di Wikileaks, che da mesi, nonostante l’età, sta girando tutto il mondo senza tregua in cerca di supporto per il figlio, diffondendo un messaggio chiaro quanto sconcertante: “Estradare Julian equivale condannarlo a morte”. Ieri a Londra John Shipton lo ha ripetuto anche a Il Fatto Quotidiano a seguito della conferenza stampa organizzata dalla Foreign Press Association per la stampa internazionale, uno degli ultimi incontri prima dell’udienza di lunedì davanti alla Woolwich Crown Court dove si deciderà sulla richiesta di estradizione di Assange negli Stati Uniti. Oltreoceano Assange rischia 175 anni di carcere per 18 capi di imputazione fra i quali la complicità con Chelsea Manning, l’informatrice statunitense di Wikileaks, nella sottrazione illegale e pubblicazione di materiale classificato. “Cerchiamo di non pensare all’udienza. Prendiamo ogni giorno come viene, altrimenti rischiamo di deprimerci”, ma Julian sa che “tutta la nostra famiglia, gli altri fratelli, i suoi figli saranno con lui in aula. Ha bisogno di tutto il nostro supporto”, ha detto Shipton rispondendo a una domanda sui dialoghi avuti col figlio nel carcere di Belmarsh, dove è detenuto da aprile dopo oltre 7 anni di totale isolamento trascorsi nell’ambasciata dell’Ecuador. Lunedì “sarà il giorno dell’accusa, - ha continuato Shipton - quindi ci aspettiamo una giornata dura, piena di menzogne, false accuse e calunnie. Ma ci siamo già passati. Questa è una battaglia che non riguarda solo Julian. Gli Stati Uniti hanno centinaia di persone che lavorano a questo caso, milioni di dollari investiti per ottenere la sua estradizione. È la misura dell’intimidazione che gli Stati Uniti possono imporre sui giornalisti di tutto il mondo. Riguarda tutti voi, perché nessuno di voi o dei vostri giornali potrà mai mettere in campo altrettante risorse”. E sulle condizioni di salute del figlio: “L’ho visitato in carcere la scorsa settimana. - ha detto il padre del giornalista - Sta come ha scritto nel suo rapporto ufficiale il relatore speciale dell’Onu sulla tortura, Niels Melzer: ha subito per nove anni una costante e crescente tortura psicologica, sotto sorveglianza costante, senza mai poter lasciare l’ambasciata e sottoposto ad attacchi da ogni parte. È molto magro, ha perso 15 chili. - ha spiegato - Ma da qualche giorno va meglio. I suoi compagni di cella hanno fatto tre raccolte di firme perché uscisse dall’isolamento. La gente comune in Australia ha mandato centinaia di email di sostegno alla direzione del carcere. Voi giornalisti state facendo un fondamentale lavoro di informazione. Tutto questo porta dei risultati: ora finalmente non è più da solo”. John Shipton nel corso dell’intervista ha voluto inoltre lanciare un messaggio forte diretto a Westminster. “La richiesta di estradizione deve essere immediatamente respinta. Se questo non accadrà andrò a prendere Julian in prigione, perché possa difendersi a casa, sorretto dalla famiglia. Ora voglio che il mondo lo veda per ciò che è davvero: un uomo che, a prezzo di un enorme sacrificio, ha dato un grande contributo alla comprensione del mondo contemporaneo. - ha continuato - Ci ha aiutato a prendere decisioni sulla base di informazioni reali su cosa fanno davvero i nostri governi, ha portato allo scoperto crimini tremendi, omicidi di massa, fiumi di sangue. E questo - ha concluso Shipton - è un dono immenso, poter sapere e chiedere ai nostri governi di cambiare politica e diventare umani”.

Foto © Imagoeconomica

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